Barcelò al MIC: i linguaggi della pittura totale oltre il tempo e lo spazio

Miquel Barcelò CeramicheMiquel Barceló (1957, Felanitx, Maiorca) ha attraversato la Spagna di Franco, Parigi, Dubuffet. È stato avanguardia, Africa, materia e decomposizione. Nomade per necessità e vocazione, ha sperimentato l’inutilità degli oggetti in Mali, il richiamo di Gaudì a Barcellona, gli echi cosmopoliti di New York.
In Paso doble, performance-installazione e poi film, realizzato nel 2006, in collaborazione con il coreografo ungherese Joseph Nadj, offre metaforicamente un saggio dell’immersione-emersione e fusione con la materia, che si porta dietro nella vita ovunque vada, come un guscio di tartaruga, l’unità di misura minima dell’espressione che si trasforma tra le sue mani di prolifico alchimista.

Il viaggio di Barcelò ora sosta al MIC – Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (fino al 6 ottobre 2019), per la prima mostra antologica sulla ceramica dell’artista.
Qui, tra reperti che arrivano a noi dalle civiltà Precolombiane, sino alle creazioni di Picasso, sono le opere del Rinascimento faentino – l’istoriato’, la Giulia bella o i bianchi di Faenza – a originare maggiore risonanza e corrispondenza con la ricerca creativa di Barcelò, che dalle opere degli anni Novanta arriva fino ai giorni nostri in un percorso-installazione di grande armonia.

«Il corridoio della sezione faentina è stata come un’epifania per l’artista – ci ha raccontato Irene Biolchini, curatrice della mostra faentina, insieme a Cécile Pocheau Lesteven –. Fin dalla sua prima visita è stato chiaro che avrebbe lavorato in dialogo con le opere con un intervento site-specific, proprio per onorare una tradizione così cara e importante. Faiance, infatti, significa per estensione “maiolica” in francese (e la Francia è la seconda casa di Barceló). Per lui lavorare sulla tradizione faentina, quindi, significava dialogare con tutta la storia della ceramica, certo cercando di mantenere le sue specificità. Credo che in questo senso il dialogo più efficace avvenga proprio tra i preziosi smalti bianchi della maiolica faentina e la serie delle ceramiche monocrome dell’artista. Nella produzione dei bianchi di Barceló, infatti, il colore non è un non-colore, ma una materia: egli riveste la superficie cotta con della calce bianca a freddo. Il risultato finale è un bianco pastoso, ma certamente più opaco dei bianchi, sul quale si impongono i suoi disegni a carboncino. Sono proprio questi disegni gestuali di carboncino nero su calce ad essere un contraltare molto efficace del prezioso istoriato, dallo stile decisamente pittorico, della storia faentina».

Dialoga insieme a questo artista così poliedrico, che non teme l’apertura alle arti performative, alla letteratura e a tutte le espressioni in genere, il tema onnicomprensivo e mutevole della riflessione sul tempo. Quel tempo che sale sul palco, aprendo il sipario attraverso le parole di Borges, e che prende forma nella mostra al MIC attraverso un allestimento volutamente non cronologico: «Per Barceló tutto è pittura, soprattutto il gesto – prosegue Biolchini –. Per questa ragione molti linguaggi convivono nella sua ricerca pittorica, che passa anche attraverso la ceramica. Al centro rimane sempre la pittura e non la storia della pittura: questo è fondamentale per comprendere come per lui non ci siano stili, separazioni, periodi. Tutto ritorna continuamente nell’arte e nella vita. Per questo motivo abbiamo deciso di offrire allo spettatore un percorso che non fosse cronologico ma si muovesse invece attraverso le sue “ossessioni”, i temi ricorrenti della sua ricerca».

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