Un viaggio per riportare l’eroe greco alla sua identità

Venere MAN Napoli

“Venere”, Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Una mostra che promette di essere assolutamente da non perdere tra quelle del 2020 e riconferma il San Domenico di Forlì come tappa imprescindibile per gli amanti dei progetti espositivi di qualità è Ulisse. L’arte e il mito. L’impostazione originale e un ampio percorso, con oltre duecento opere collocate in un arco temporale che va dalla classicità fino al Novecento, toccano i differenti linguaggi tra scultura e pittura, ma anche quelli meno “mainstream” della miniatura e dell’arazzo, o della ceramica.

Un viaggio al centro della storia dell’uomo che in Ulisse trova le sue innumerevoli incarnazioni lo traccia il professor Marco Antonio Bazzocchi, membro del comitato scientifico e delegato per le iniziative culturali dell’Università di Bologna.
«La mostra vuole ripercorrere il tema di Ulisse e del viaggio all’indietro che deve riportarlo alla patria, ma soprattutto alla sua all’identità. È un percorso che getta luce sull’importanza dei differenti significati assunti dalle figura di Ulisse» spiega Bazzocchi.
«A partire dal mondo greco – la cui interpretazione si traduce letteralmente in “colui la cui mente riesce a guardare in molteplici direzioni” e lo considera un eroe che affronta avventure e situazioni fantastiche, come la vicenda di Polifemo, fino a quelle più umane e private, come il rapporto con la moglie e il figlio – ogni epoca ha dato le sue letture e questo progetto vuole rendere le fisionomie dei tanti Ulisse nella storia».

Interpretazioni che non sono di certo sempre solo lusinghiere: nel Medioevo infatti, con Dante, Ulisse diventa un personaggio problematico, l’incarnazione dell’inganno e della frode attraverso un’intelligenza usata a fini negativi. Qui è soprattutto l’Ulisse che ha inventato il cavallo di Troia. Contrariamente, l’Ulisse rinascimentale è un eroe della sapienza, arma con cui vince tentazioni come le sirene o Polifemo. «Nel Cinquecento è addirittura un artista – prosegue Bazzocchi – colui che sa e crea: tutte le grandi opere tra ‘500 e ‘600 mostrano infatti un uomo capace di produrre grazie all’intelligenza, che riesce ad arrivare dove gli altri uomini non vanno».

Assume poi nuove sembianze anche nell’Ottocento, con il Romanticismo, quando incontriamo il viaggiatore diretto verso mete impossibili, che potrebbero anche non condurlo ad alcun approdo. «Giovanni Pascoli è l’autore della variante in cui un Ulisse invecchiato decide di rifare il viaggio per conoscere ciò che prima gli era sfuggito, e parlare ad esempio con le sirene, o con Polifemo dopo l’antico scontro. Ma nondimeno si fa carico del valore di un’esistenza inquieta che non ha una risposta univoca, è l’uomo moderno che affronta una serie di questioni a cui non c’è soluzione».
Il Novecento infatti, foriero di una riflessione che mette in crisi definitivamente i valori del passato, con Joyce vedrà Ulisse trasformato nell’uomo qualunque che si interroga su problemi del quotidiano: i soldi, i tradimenti della moglie, i problemi dell’Irlanda.

La mostra insomma «sostanzialmente mette in luce come la storia di Ulisse sia in fondo la storia del mondo occidentale. Non a caso titola “arte e mito” perché il mito si è incarnato nella letteratura e nell’arte, per secoli, sotto agli occhi di tutti».
“Ulisse, uno di noi” potremmo dire, mosso dalla sua interminabile ricerca di verità e autocoscienza che lo porta verso l’oscurità degli stati più profondi dell’essere umano, compiendo un viaggio che a Forlì si trasforma in pura bellezza.

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