Thriller al femminile con inganno finale

La SpintaCelebrato come thriller psicologico al femminile, La spinta è il romanzo di esordio della canadese Ashley Audrain tradotto in Italia da Isabella Zani per Rizzoli.
L’inizio è sicuramente promettente con la scena di una donna che guarda, attraverso una finestra, una famiglia felice mentre festeggia il Natale dentro casa propria.
Lei è fuori, al freddo, ed è la voce narrante che parla in un convincente “tu”, rivolta evidentemente all’ex marito, l’uomo dentro la casa.
Ripercorre la loro storia d’amore, così travolgente e totalizzante agli inizi, così perfetta, fino all’arrivo della prima figlia Violet.
Un rapporto difficile, quello della donna con la figlia primogenita, che la riporta a ripercorrere la sua storia di figlia di una madre difficile, a sua volta figlia di una donna mentalmente instabile.
Un filo che corre lungo le generazioni, le donne della famiglia, da cui sembra impossibile emanciparsi. Ed è così che la voce narrante mette il lettore o la lettrice in una condizione ambigua, dove il dubbio sulle parole della narratrice è costante.
Cosa ha davvero visto? Quanto è ella stessa prigioniera di un disturbo mentale? Quanto la depressione post parto si sta trascinando nella sua vita? Lo scopriremo all’ultima riga dell’ultima pagina, quando sarà però troppo tardi. Perché a quel punto vorremmo capire e sapere e indagare e invece ci troviamo fustrati, ad aver assistito a una storia di cui in realtà non ci sarà poi molto da capire.
Un effetto speciale che in qualche modo però indebolisce il lungo travaglio interiore, la lunga introspezione e ricostruzione di una vita tutto sommato così comune per tante donne: la difficoltà di ritrovare se stesse dopo la maternità, oltre la maternità.
Il corpo che cambia, la fatica quotidiana, il rapporto con il compagno, l’arrivo di un secondo figlio. Ciò che invece non ha nulla di comune è l’esperienza con la propria madre della protagonista, che viene solo in parte indagata e serve soprattutto a gettare una sorta di ombra di sospetto sulla voce narrante: può una persona cresciuta da una madre così diventare una buona madre? E cosa significa essere buone madri?
Un tema sempre attuale in tempi in cui tocca ancora sentire dire (guarda caso a uomini di una certa età, peraltro) che per essere realizzata una donna deve generare figli e che le famiglie senza bambini non possono dirsi tali.
Peccato per quella sensazione di incompiutezza e un po’ di inganno con cui ci si ritrova a chiudere il libro (disponibile anche in una bella versione in audiolibro con la lettura di Chiara Francese).

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