Convincente – seppur con qualche sbavatura – la “ricostruzione” di pagine classiche eseguite dalla WunderKammer Orchestra

WunderKammer OrchestraNell’arte l’avanguardia è un movimento che propugna un diverso modo d’espressione, in contrasto con le prassi precedenti. Sotto questa lente va letto il concerto andato in scena il 23 marzo al teatro Rossini di Lugo, all’interno della stagione concertistica: protagonisti di questo appuntamento sono stati la WunderKammer Orchestra diretta da Carlo Tenan ed il pianista Marco Vergini. L’interesse che questo evento portava con sé non era il solo essere un concerto, ma il proporre, per gran parte, una ricostruzione di capolavori della letteratura musicale in un’altra veste.

È stata la Sonata n.6 di Gioacchino Rossini, proposta per il 150º anniversario della morte del compositore di origini romagnole anche se di natali marchigiani, ad aprire la parata di arrangiamenti che hanno deliziato il pubblico lughese. La rielaborazione ad opera proprio di Tenan ha aggiunto timbri non sempre adeguati allo spirito del brano che solo nella rivisitazione della tempesta finale trae vantaggio dai tuoni evocati in lontananza dalla grancassa e non previsti dal giovane Rossini. Proprio la freschezza di questa composizione appare, infatti, minata, quasi appesantita da una forzata ricerca timbrica avulsa dall’estetica rossiniana ed invece più vicina ad un’idea cinematografica del suono.

Il brano So find him, presentato in prima esecuzione assoluta, di Danilo Comitini, commissionato proprio da WunderKammer Orchestra è perfetto paradigma di come l’arte sia l’esatta rappresentazione della società della quale è figlia. Il modo di comporre di Contini si inserisce nel solco della tradizione novecentesca che a partire dagli Internationale Ferienkurse far Neue Musik di Darmstadt ha portato alla ribalta una nuova poetica alla quale il pubblico, anche a causa della scarsa rappresentazione di queste opere, non riesce ancora ad abituare le proprie orecchie.

Il Concerto per pianoforte n.4 op.58 di Ludwig van Beethoven era l’ultimo brano in programma. La rielaborazione attuata da Paolo Marzocchi, presente sul palco in veste di conduttore della serata, ha “disidratato” la scrittura beethoveniana, togliendo solo qualche sfumatura, ma restituendo inalterato lo sguardo intimistico che le mani di Vergini riuscivano a proporre. Interessante, infine, la cadenza, scritta per l’occasione da Mauro Montalbetti.

Nonostante qualche stonatura di troppo, specie da parte dei legni, ed un vibrato troppo elettrico degli archi, il gruppo pesarese ha proposto una convincente esecuzione di un modo di intendere la musica troppo ignorato, a volte non senza ragioni, dalle stagioni concertistiche.

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