
Quanta gente verrà? Questa è la domanda che, alla fine della fiera, si pongono gli organizzatori di qualsiasi evento. Il pubblico è il punto, chi fruisce dello spettacolo. I promotori lo sanno bene e, infatti, si spendono in campagne pubblicitarie importanti pur di attirare l’interesse del pubblico. Ciò è vero anche nel mondo della musica, anche se è vero che un concerto di Vasco Rossi ha certamente meno difficoltà a fare il tutto esaurito rispetto al duo che esegue musiche di Giuseppe Gariboldi (no, non è un refuso, era un compositore coevo del quasi omonimo Eroe dei due mondi). C’è, quindi, un problema legato al nome dell’artista e uno legato al genere musicale che si propone.
Il primo è, in verità, uno sviluppo del secondo, poiché è vero che ci sono sancta sanctorum nei quali un artista di grido, come poteva essere Benedetti Michelangeli (escludiamo ecumenicamente i viventi), riempie ogni singola seduta del luogo deputato al concerto, ma lo stesso artista, proposto anche in maniera roboante nella rassegna di Frescacce di Sotto (tranquilli, su Google Maps non esiste) stenta a riempire la platea di una saletta parrocchiale. Il perché è legato, come si accennava, al genere musicale.
La musica classica, colta o come volete chiamarla, ha vissuto fasti importanti, tuttavia oggi è in declino, e questa è un’evidenza mostruosa. Parte della colpa la possiamo imputare alla storia che, facendo il proprio mestiere, fa procedere le mode e devia gli interessi ora qui, ora lì. In parte agli artisti che hanno cambiato la loro percezione nel mondo passando da intrattenitori a tedofori di cultura.
Ciò non è di per sé un male assoluto, tuttavia si è perduta (speriamo non irrimediabilmente) una componente fondamentale che è quella del divertimento. Le opere composte da Vivaldi, Mozart o Schubert parlavano a più livelli, da quello più epidermico a quello più cerebrale. Oggi, invece, ci si dimentica questa componente, se vogliamo più superficiale, al fine di dover per forza veicolare il messaggio di importanza capitale. Ciò poi è stato cavalcato in maniera deleteria (per la musica, s’intende) dalla politica tanto da rendere spesso indispensabile per gli artisti uno schieramento che, invece di portare a una maggior diffusione dell’arte, ha creato inutili divisioni che hanno irrevocabilmente minato il piacere della fruizione.
Ciò detto, le sale si presentano sempre più vuote e se non si corre ai ripari c’è il fondato rischio che tra qualche anno non ci siano più neppure gli esecutori. Prepariamoci…