L’annosa questione dello stupore nella musica pop

English Teacher This Could Be Texas CoverEnglish Teacher – This Could Be Texas (Island 2024)
Molte persone che ascoltano musica da decenni si lamentano del fatto che non esca niente di veramente nuovo, o veramente inedito. È logico che sia così, e ovviamente non è un problema della musica quanto dell’ascoltatore. Limitandosi alla musica popolare, diciamo così, è abbastanza normale sentirsi spaesati la prima volta che si ascoltano i Joy Division ed è altrettanto normale sentirsi annoiati la milionesima volta che si ascolta un gruppo che si ispira in una qualche misura ai Joy Division. E quindi forse un po’ è sparita la voglia di stupirci dei musicisti, ma più che altro è aumentata un po’ troppo la nostra esperienza. Il risultato finale è che la stragrande maggioranza dei dischi che escono sul mercato riusciamo a risolverli nel giro di pochissimo.

Capita di tanto in tanto che esca un disco che, invece, ci stupisce. Non sono quasi mai casi alla Joy Division, dischi che sembrano venire dalla luna. Molto spesso sono dischi di generi che pensiamo di conoscere a menadito, e pensiamo di sapere che strada prenderanno da lì alla fine, e quali curve ci saranno, eccetera. E invece, improvvisamente, ti rendi conto che ti stanno facendo fare un giro panoramico che non avevi mai fatto prima. È una cosa che potrebbe capitare, ad esempio, con il nuovo disco degli English Teacher. I quali sono una band piuttosto recente, formatasi a Leeds e relativamente imparentabile alla nuova scena postrock inglese. Il trucco degli English Teacher è piuttosto semplice, forse perfino becero: suonano perlopiù musica tranquillissima e banalissima, quell’indiepop stupidino e un po’ dimenticabile che discende un pochino dai Belle&Sebastian.

E tu rimani lì ad ascoltarli col cervello staccato, e quando ricominci a prestare attenzione alla band ti trovi in mezzo a un momento di profondità musicale che non riesci ad associare a quello che era successo fino a quel momento. In quei dettagli si costruisce tutto il disco: squarci che suonano un po’ di Rachel’s, doppiature di chitarre acustiche di scuola freefolk, momenti Deerhoof ai limiti del math. E per tutto il tempo è un saliscendi emotivo così, ti obbligano a staccare il cervello e tornare a prestare attenzione alla musica. Uno di quegli album minori, tranquilli e senza pretese, che non vedi arrivare e dopo essere stato colpito in piena faccia scopri che era un bus a due piani.

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