In memoria di un grande progettista

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Woodpecker – da F. Bertoni, D. Rava; Filippo Monti architetto

Un omaggio, attraverso un viaggio fra le sue opere, a Filippo Monti, architetto d’eccellenza e uomo schivo ma dalla ricca personalità

Nato a Faenza nel 1928,
Filippo Monti diviene geometra nel 1947 e nel frattempo arricchisce il proprio percorso
di formazione professionale
ed artistica seguendo i corsi
di pittura e disegno alla Scuola di Arti e Mestieri, sotto la guida di Francesco Nonni, poliedrico artista faentino di fama internazionale. Laureatosi
in architettura a Firenze
nel 1954, subito vince
 il concorso pubblico nazionale per il progetto della chiesa
di San Vincenzo de’ Paoli
 a Bologna

Il 15 dicembre Filippo Monti ci ha lasciato. Un compito a cui non possiamo sottrarci è il ricordarlo attraverso le sue opere, sempre molto originali. Per l’occasione, accanto alla solita rubrica Casa Bella Casa, questa volta concentrata sull’ultima opera del maestro faentino, ripercorriamo brevemente alcune tappe della sua lunga e prestigiosa carriera di progettista e un breve ricordo dell’architetto Paolo Rava. Nato a Faenza nel 1928, Monti diviene geometra nel 1947 e nel frattempo arricchisce il proprio percorso di formazione professionale ed artistica seguendo i corsi di pittura e disegno alla Scuola di Arti e Mestieri, sotto la guida di Francesco Nonni, poliedrico artista faentino di fama internazionale. Laureatosi in architettura a Firenze nel 1954, subito vince il concorso pubblico nazionale per il progetto della chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Bologna. In breve diviene una figura d’eccellenza nel panorama architettonico, non soltanto a Faenza, dove lascia opere significative, a partire dalla propria straordinaria casa in via Torino (1964-66), fino ai complessi residenziali degli anni Settanta: il Condominio Le Terrazze, i complessi di via Ferrari e di Santa Margherita, la villa dell’artista Ivo Sassi. Sono opere in cui dimostra, come nei terrazzi di via Volpaccino o di via Vittorio Veneto, che la capacità di conferire dinamismo plastico e spaziale all’architettura non risiede nell’adozione di una forma dinamica come la linea curva, ma nella sapienza compositiva del progettista. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Monti costruisce anche nel litorale, come dimostrano l’albergo Bellevue (1957-59) e il night club estivo Woodpecker (1965-67), in cui si rivela invece la predilezione per le linee curve, che ritroveremo, trascorso circa mezzo secolo, anche nelle due ville di Castel Raniero, a dimostrazione che il tema va svolto a partire dall’analisi del contesto. La storia del mitico Dancing di Milano Marittima, dalla caratteristica immagine ad ombrello, ci porta fino ai nostri giorni: chiuso dal 1970, ora sembra uscire dall’obsolescenza e dall’oblio, anche in virtù delle decorazioni pittoriche dello Street artist Blu e dell’intervista a Monti effettuata da collettivo MAGMA nell’ambito di Modulo Fest 2015 nella sua casa di Faenza il 26 giugno, proiettata recentemente a Palazzo Rava di Ravenna. Negli anni Ottanta realizza il nuovo Palazzo delle Poste in via Naviglio (con Paolo Baccherini) e ristruttura la Camera di Commercio di Ravenna. Ed arriviamo alle ultimissime opere degli anni Dieci del XXI secolo, segnalate dall’architetto Ennio Nonni come «l’apice della splendida architettura contemporanea faentina: la casa Gargiulo  e la casa Bassetti in via Castel Raniero, la casa Padovani in via Ospitalacci» (Faenza 100 anni di edilizia. Un Novecento da ricordare, vol. II, p. 552). In tutte le proprie opere Monti ha sempre dimostrato una felice capacità di ideazione e controllo dell’atto progettuale, improntato ad una concezione organica dell’architettura, curata in maniera maniacale nei raffinati dettagli. Il suo gesto è semplice, elegante ed essenziale, ma mai meramente minimalista.

Gallery delle opere realizzate dall’architetto

Come sottolineava Gabriele Lelli già nel novembre 1996, «le opere di Filippo Monti a Faenza sono un raffinato esempio di architettura moderna, impostato su un personale e meticoloso lavoro sullo spazio e sulla costruzione delle forme che lo definiscono. La qualità delle opere e la quantità delle idee messe in campo a risolvere problemi diversi (interni domestici, arredi, interni pubblici, edifici residenziali e specialistici, interventi urbani) è tale da costituire un vero e proprio patrimonio prezioso da riscoprire e da far conoscere. Da riscoprire perché Monti si è preoccupato poco di promuovere il proprio lavoro o di teorizzare sulle proprie idee. Si è preoccupato di “come” costruire le cose: di risolvere concretamente i problemi dell’abitare che via via gli venivano sottoposti» (Polis, anno II, n. 8, p. 126). In quell’occasione la rivista, che si concentrava sulla città di Faenza, dedicava a Monti una decina di pagine, con i contributi, oltre che di Lelli e di Ennio Nonni, anche di Paolo Rava (autore di alcune foto che accompagnano questo pezzo e il suo ricordo del maestro Monti alla Facoltà di Architettura), Alessandro Bucci, Alessandro Tabanelli, Davide Cristofani e Pierluigi Cappelli. Nel 2009 Franco Bertoni e Davide Rava gli hanno dedicato una ricca ed elegante monografia, dal titolo Filippo Monti architetto, nelle cui duecento pagine si dipanava la vasta avventura professionale dell’architetto faentino. Oltre all’architettura, Monti spazia dal mondo dell’arte ceramica a quello della letteratura. “Compagno di bottega” nella passione per la ceramica è in questo caso Ennio Nonni, che tuttora espone con lui alla Bottega Bertaccini di Corso Garibaldi (Filippo Monti – Ennio Nonni, Ceramiche). Come scrivono Viola Emaldi e Anty Pansera nel breve testo di introduzione all’esposizione delle opere ceramiche dei due architetti, «i pezzi di Monti hanno un’estetica quasi minimalista, sorta dall’uso radicale della nuda terra(cotta) come nude sono, spesso, le pareti esterne dei suoi edifici».

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Monti costruisce anche nel litorale, come dimostrano l’albergo Bellevue (1957-59) e il night club estivo Woodpecker (1965-67), in cui si rivela invece
la predilezione per le linee curve, che ritroveremo, trascorso circa mezzo secolo, anche nelle due ville di Castel Raniero,a dimostrazione che il tema va svolto
a partire dall’analisi del contesto

La sua curiosità lo ha condotto ben oltre la ceramica, in un territorio molto distante da quello del progetto di architettura. Firmandosi come «Filèp», ha curato una versione in romagnolo delle tre cantiche della Divina commedia; L’Inféran, dedicato A la garnê (che lo ha portato via da noi) risulta originale fin dall’incipit: «Ins la mitê de zircuit dal mura». Poi E Purgatori, che rivolge alla memoria della madre (A mi mê); infine E Paradîs, dalla struggente dedica A mi fiôla. In questa veste ho avuto la sorpresa di ascoltarlo mentre declamava brani della “sua” Divina Commedia nella basilica di San Francesco a Ravenna. Poi l’ho intervisto due volte. La prima avvenne nella villa di via Torino, quando mi accolse insieme a suo figlio Marco nella bellissima promenade d’ingresso costituita dalla lunga scala rampante in curva, che solleva la casa mentre il giardino prosegue al di sotto.

Oltre all’architettura, Monti spazia
dal mondo dell’arte ceramica
a quello della letteratura.
“Compagno di bottega” nella passione
per la ceramica è in questo caso
Ennio Nonni, che tuttora espone con lui alla Bottega Bertaccini di Corso Garibaldi (Filippo Monti – Ennio Nonni, Ceramiche). Come scrivono
Viola Emaldi e Anty Pansera nel breve
tsto di introduzione all’esposizione delle opere ceramiche dei due architetti,
«i pezzi di Monti hanno un’estetica quasi minimalista, sorta dall’uso radicale della nuda terra(cotta)
come nude sono, spesso,
le pareti esterne dei suoi edifici»

Mi sembrò un personaggio che pesasse le parole prima di dirle, silenzioso ma dal grande fascino. Cominciò a raccontare la  risistemazione della Camera di Commercio di Ravenna (1987-90, vedi «Rav&Rav», n. 354/1998), dalle scelte strutturali (in cui era coinvolto anche il figlio Marco) ed estetiche per la nuova sala convegni, caratterizzata dal grande specchio triangolare, fino al trasferimento della biblioteca al piano mansardato e alla realizzazione di un collegamento vetrato con il fabbricato adiacente verso ovest. Fu in quella occasione che confermò la sua predilezione per i colori vivaci, come si vede nelle vetrate iridescenti della Camera o all’ingresso di villa Bassetti, e per i rivestimenti a bande marmoree bicolori, alternate sui toni del bianco e del grigio o del verde, che ritroviamo confermate nella villa faentina.

Ho intervistato Filippo Monti due volte.
La prima avvenne nella villa di via Torino,
quando mi accolse insieme a suo figlio Marco nella bellissima promenade d’ingresso costituita dalla lunga scala rampante in curva, che solleva
la casa mentre il giardino prosegue al di sotto.
Mi sembrò un personaggio che pesasse le parole prima di dirle, silenzioso ma dal grande fascino.
La seconda volta avvenne nel corso
di una emozionante “visita guidata” a Villa Gargiulo a Castel Raniero nel 2011, alla fine
della quale mi portò al cantiere di villa Bassetti

Pezzi di assoluto pregio nella Camera, tra gli impianti viola indaco, è il tavolo di cristallo a fuso lobato e la monumentale porta triangolare in doghe inclinate in Paduk, che riprende l’andamento della falda mansardata. La seconda intervista a Monti avvenne nel corso di una emozionante “visita guidata” a Villa Gargiulo a Castel Raniero nel 2011 (firmata con la collaborazione dell’architetto Alessandro Tabanelli), alla fine della quale mi portò al cantiere di villa Bassetti. In entrambi i casi emerge un’immagine dinamica della bellezza, come rivelazione dell’espansione e del rinnovamento della natura, attuata per mezzo dell’uso di cerchio e ellisse, e delle loro reciproche intersezioni, e dei rapporti con la linea retta, alla volta di un dinamismo equilibrato.
Quando un grande architetto parla e ti mostra la sua architettura si dovrebbe tacere e ascoltare in silenzio. Ma, per mantenerne alta la memoria e rendere testimonianza del suo eccezionale talento, abbiamo pensato di ricordarne le opere, un bene culturale che la città di Faenza deve rimanere impegnata a tutelare e a far conoscere.

 

 Da un ricordo personale dell’architetto Paolo Rava

«Al corso di progettazione alla Facoltà di Architettura chiamo il maestro Monti. Mi interessava una sua lezione di approfondimento sul suo modo progettuale… A noi studenti e docenti ci ha “tramandato” una semplice frase che a mio parere sintetizza il fare architettura: alla domanda come era nato il progetto della morfologia architettonica e strutturale dell’edificio “Le terrazze”, un tipo edilizio che gioca la sua spazialità con la natura delle alberature, una sorta di case fra gli alberi, dove le terrazze appunto sono l’elemento emergente, lo spazio onirico, l’archetipo della struttura dell’albero, il maestro sentenzia: «Us puteva fe’ sol acsè» (si poteva fare solo in questo modo), sintesi romagnola del fare architettura, dove il legame con la propria terra, la natura del luogo e delle proprie origini ed identità, la cultura del genius loci si sintetizzano in una descrizione semplice di un elemento così complesso. Come solo un maestro può concepire. Un aforisma di un noto architetto racconta: «la città é quello spazio dove un bambino può capire , camminando e osservando cosa potrà fare da grande»…
Grazie Filippo del tuo lavoro di Architetto».

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