È possibile vivere in una città ideale?

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La Città Ideale, Palazzo Ducale, Urbino

«…è inutile stabilire se Zenobia

sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici.

Non è in queste due specie che ha senso dividere le città,

ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni

e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle

in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati».

Italo Calvino, Le città invisibili

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Arte romana, II Sec. d.c

Una suggestiva testa femminile di marmo greco in dimensioni naturali fa bella mostra di sé nelle collezioni del Museo Nazionale di Ravenna; sormontata, a guisa di corona, dalla raffigurazione di una cinta muraria.
Si tratta della dea Tyche, rappresentante o protettrice della città, sia essa Ravenna o Classe.
E immediatamente ci evoca la sacralità e l’importanza del rito di fondazione di una città, il cui sito non può essere scelto arbitrariamente e neppure razionalmente dai fondatori, ma deve essere “scoperto” attraverso la rivelazione di un mediatore divino.

Altre mura, costruite con sfolgoranti mattoni aurei, compaiono nelle rappresentazioni di Classe e di Ravenna nei mosaici parietali commissionati da Teodorico per la sua chiesa palatina di Sant’Apollinare Nuovo ma, se vogliamo elevarci ad un’ottava superiore è necessario approdare alla basilica di San Vitale (o di Sant’Apollinare in Classe) dove, dopo aver scavalcato tutti gli ostacoli e sciolto i molteplici nodi della nostra esperienza terrena, giungeremo nella Gerusalemme celeste.
Così viene descritta nel 21 capitolo dell’Apocalisse la città di Gerusalemme:
«Lo splendore di lei era simile a pietra assai preziosa, come il diaspro cristallino. Aveva un muro grande e alto munito di dodici porte, presso le quali vi erano dodici angeli; vi erano scritti i nomi che sono quelli delle dodici tribù dei figli di Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte, a occidente tre porte. Il muro della città ha dodici fondamenta e sopra di esse dodici nomi, quelli dei dodici apostoli dell’Agnello … La città è un quadrato, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza … il materiale del muro è di diaspro, e la città d’oro puro, simile  a puro cristallo. I basamenti del muro della città sono ornati d’ogni sorta di pietre preziose: il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardonice, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoprasio, l’undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Le dodici porte sono dodici perle; ogni porta è fatta di una sola perla. La piazza della città è d’oro puro, come cristallo trasparente».

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La Gerusalemme Celeste, San Vitale, Ravenna

Dopo tanto splendore e perfezione, sempre restando sul piano dell’utopia, ecco apparire le nitide e perfette città ideali del Rinascimento, tanto perfette da sembrare inabitabili, come se la presenza umana potesse alterarle, scuoterle e diminuirle nella loro algida essenza.
Come poter vivere in tanta inossidabile perfezione? Allora, volendo rimettere i piedi in terra, torna alla mente, prepotente, l’immagine di una città per noi più accessibile e vivibile, quella che Ambrogio Lorenzetti ha affrescato nel 1338-39 nella Sala della Pace del palazzo Pubblico di Siena.
E noi ci perdiamo con gioiosa curiosità ad osservare i molteplici fotogrammi che l’artista ha voluto cogliere e che a distanza di secoli ci immergono nella realtà della vita quotidiana di una città laboriosa e in crescita, come ci indicano i maestri muratori che lavorano alacremente sulla sommità di un tetto.
Una città dove ciascuno trova il suo posto. La strada è piena di vita e animazione, gli artigiani lavorano ed espongono le loro merci sui banchi di legno, un oste salumiere ha appeso ad una stanga insaccati e carne fresca, un calzolaio espone calze suolate e mostra sul banco, sparpagliati, gli strumenti del mestiere.

In una loggia un maestro in cattedra tiene la sua lezione, mentre, un pastore conduce fuori dalle mura il suo piccolo gregge, mercanti scaricano le loro merci dagli asini, sfila un corteo di personaggi d’alto rango, e dieci leggiadre fanciulle tenendosi per mano muovono passi di danza al ritmo di un tamburello. Tutta questa laboriosa serenità ci racconta che nella città regnano giustizia, pace e concordia, garantite dalla Sicurezza, Securitas, posta proprio fuori dalla cinta muraria verso la ridente campagna che, portando come vessillo una forca con un malfattore impiccato, ricorda a tutti che banditi e trasgressori saranno puniti, ed enuncia nel suo cartiglio:
«Senza paura ogn’uom franco camini/ e lavorando semini ciascuno/ che sul comuno/ manterrà questa donna in signoria  [la Giustizia]: che l’a levata a’ rei ogni balia».

Iconologia E Storiajpg03 Gli effetti del Buon Governo in città, Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, Siena

Massaie portando ceste e galline, contadini con muli carichi di sacchi entrano nella città, e dalla porta escono cavalieri, e oltre si schiude la campagna ondulata di colli, ben coltivata e animata da contadini al lavoro.
La città è resa sicura e protetta dalla cinta muraria che, al di là della funzione specifica, racchiude un profondo significato simbolico, come sottolinea Rabano Mauro, nel XII secolo, nel De Universo:
«Le mura della città significano l’inespugnabile fermezza della fede, della speranza e della carità».
Le tre virtù teologali diventano quindi le virtù civiche per eccellenza, perché sono quelle che assicurano il buon governo e infatti nel dipinto di Ambrogio Lorenzetti esse si librano, quasi incoronando il personaggio che rappresenta il Bene Comune, il Buon Monarca, che si oppone all’allegoria del cattivo Governo, del Tiranno, accompagnato dai vizi capitali.
Questo affresco è senza alcun dubbio una delle opere più grandiose in cui il ritmo della vita civile è mostrato nel suo duplice aspetto urbano e rurale, e che riesce a condensare contenuti filosofici e politici, sottolineando come motivi fondamentali dell’ordine politico siano l’autorità (rappresentata nelle allegorie) e la socialità umana (negli effetti che ne conseguono).
E a questo proposito è utile ricordare che questo formidabile manifesto politico affrescato nel lontano Trecento, si intitola Gli effetti del Buon Governo, in città e in campagna.
Allora, soffermandoci un momento a riflettere sull’uso delle parole, forse potremmo rimanere colpiti perché quel mirabile “scatto” fotografico ci appare molto convincente e persuasivo, e ci sembra che sostanzi concretamente la parola buono …tremendamente abusata ai nostri giorni.
Tramontata l’era del sostenibile e dell’imprescindibile, caduta in disgrazia quella della trasparenza e della visibilità, insieme a quella della sinergia e della necessità di “fare sistema”, oggi il buono va per la maggiore.
Buone pratiche… buona scuola… cosa altro di buono dobbiamo aspettarci? Forse basterebbe abolire tanti buoni che a ben guardare non sembrano poi così buoni e auspicare semplicemente un Buon Governo!

a sinistra: La Securitas, particolare degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, Siena.
a destra:Allegoria del Buongoverno, particolare degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, Siena.

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