L’arringa difensiva: «Crolla la prova regina su Cagnoni, Giulia uccisa da altri due»

Ventottesima udienza / L’avvocato Trombini parla per sette ore in assise per smontare pezzo a pezzo la requisitoria del pm D’Aniello: prima cancella il movente poi si concentra sulle impronte di mani e scarpe sulla scena del crimine e sulle porte di accesso alla villa. Il 22 giugno l’avvocato Dalaiti proverà a sminuire le aggravanti contestate

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Il modellino di auto Mercedes usato dall’avvocato Trombini per mostrare alla corte che le telecamere stradali avrebbero dovuto mostrare l’apertura dello sportello

Solamente la presenza contemporanea di due uomini sulla scena del crimine può spiegare l’omicidio di Giulia Ballestri secondo la dinamica emersa dalle indagini e la successiva opera di ripulitura della villa di via Padre Genocchi a Ravenna. E nessuno di quei due è il marito Matteo Cagnoni, unico imputato alla sbarra, «perché la prova regina delle impronte palmari a nostro avviso crolla, non sono attribuibili a Cagnoni». L’avvocato Giovanni Trombini ha speso sette ore di arringa per lavorare ai fianchi, colpo dopo colpo, il castello accusatorio del pubblico ministero cercando di convincere la corte d’assise che il 53enne dermatologo non è l’assassino della moglie 39enne oltre ogni ragionevole dubbio. L’affondo contro quella che è stata battezzata come prova regina sin dal principio del dibattimento, ventotto udienze fa quando era il 10 ottobre, è arrivato a fine giornata quando il legale – a differenza di molti in aula – non mostrava il minimo segno di cedimento nonostante le ore di discussione. L’impressione è che avrebbe potuto continuare a oltranza e l’avrebbe fatto con la promessa che gli sarebbe servito ancora solo un quarto d’ora per chiudere ma è stato il presidente Corrado Schiaretti dopo nove ore totali trascorse in aula a decidere che si concluderà in apertura della 29esima udienza il 22 giugno. In quell’occasione sarà soprattutto l’avvocato Francesco Dalaiti a prendere la scena per smontare le aggravanti contestate, premeditazione e crudeltà. Poi spazio a repliche e controrepliche e camera di consiglio per una sentenza che a questo punto è attesa in serata.

Ma perché, secondo la difesa, crolla la prova regina? «La dattiloscopia non è una scienza, non ha regole scientifiche, è una disciplina che si affida all’occhio di colui che vede. E l’unica parte della disciplina con scientificità è la parte che fa riferimento alla matematica in cui si contano quante creste papillari di distanza ci sono tra una minuzia e un’altra che rendono unica un’impronta». Nel fascicolo di indagine le impronte cruciali sono due, denominate palmare muro e palmare frigo. Sono in cantina, dove è stata massacrata la donna. Per gli investigatori della polizia scientifica sono sufficientemente nitide da poter essere utilizzabili e corrispondono a quelle prelevate all’accusato. Per i consulenti tecnici della difesa, la cui relazione è stata ripercorsa e riassunta oggi da Trombini a favore della corte, siamo all’esatto opposto. E con una rappresentazione visiva proiettata sul maxi schermo mostra che non c’è il supporto dell’unica parte scientifica: «Abbiamo più di un caso in cui emerge che è diversa la distanza tra due minuzie se confrontiamo l’originale di Cagnoni con quella in cantina». Addirittura per quella sul muro, secondo la difesa, non ci sarebbero nemmeno elementi a sostegno dell’ipotesi che sia una sola impronta anziché più di una sovrapposte: «Manca continuità tra due parti della mano e questo non consente la misurazione».

RAVENNA 18/06/2018.PROCESSO CAGNONI PER L’ OMICIDIO DI GIULIA BALLESTRIAd agire devono essere state per forza due persone, sempre stando alla versione prospettata dall’entourage dell’imputato, perché negli ambienti della villa ci sono impronte di due tipi di scarpe diverse, entrambe nello scantinato. Secondo l’accusa questo è spiegabile perché Cagnoni sarebbe tornato sulla scena anche il giorno dopo l’omicidio (16 e 17 settembre 2016) indossando un paio di scarponcini del padre. Ma la difesa respinge l’ipotesi del ritorno: «Non ci sono elementi per dire che Cagnoni è tornato a Ravenna da Firenze dove è arrivato il pomeriggio del 16 a casa dei genitori». E su questo aspetto c’è una delle stoccate più velenose verso l’accusa: «Perché non sono state acquisite le immagini di videosorveglianza delle telecamere in via Genocchi del pomeriggio del 17 mentre sono state acquisite quelle di altri incroci? A mio avviso perché sono state visionate e si è visto che non c’è traccia della Chrysler di prorietà dell’imputato». L’avvocato però non sa trovare una spiegazione alle due telefonate fatte dalla casa di via Bruno a Ravenna alla casa di Firenze nel pomeriggio del sabato: «Restano un mistero». E se gli scarponcini Timberland trovati sul termosifone in Toscana hanno la suola ancora sporca di terra come si spiega che non ci siano tracce di sangue? «È possibile indossarli per camminare in quella cantina in quelle condizioni senza che si sporchino di sangue? E poi come è possibile che l’imputato li indossi ma non vengano trovate tracce di suo dna ma solo del padre?». Per questo Trombini usa la definizione simil-Hogan e simil-Timberland per descrivere le impronte repertate sulla scena.

RAVENNA 18/06/2018.PROCESSO CAGNONI PER L’ OMICIDIO DI GIULIA BALLESTRIIn mattinata era già stato affrontato il tema della presunta mancanza del movente, mentre nel pomeriggio l’avvocato fa quello che prima di lui hanno fatto il pm Cristina D’Aniello e l’avvocato dei familiari della vittima Giovanni Scudellari: «Entriamo nella villa dell’omicidio». Trombini ci entra soprattutto con due intenti: mostrare che l’allarme non funziona, che la porta di ingresso al piano terra non era chiusa a chiave e quella in terra era aperta. Un tris di elementi che spalancherebbero lo spazio all’ipotesi dell’azione compiuta da un estraneo che potrebbe essere entrato e uscito da una delle due porte. Anche se il legale non si spinge a spiegare per quale motivo un malvivente estraneo alla vita di Giulia e a quegli ambiente sentisse il bisogno di ripulire una casa abbandonata portando via stracci e vestiti della vittima. I filmati girati dalla Scientifica nel sopralluogo che porterà al rinvenimento del cadavere nella notte tra il 18 e il 19 settembre vengono mostrati di nuovo in aula: «Voi sentite forse un segnale acustico di qualunque tipo che comunichi il disinserimento dell’allarme quando la guardia giurata della Colas digita il codice di sblocco? Sentiamo che la guardia sussurra “ok” per entrare ma non sentiamo altro. E l’operatore di centrale qui in aula ha anche testimoniato che a lui nel sistema non risultava il disinserimento e fosse rimasto sorpreso quando il collega di pattuglia gli disse che erano entrati. Quell’allarme non funziona o non è mai stato inserito». E la porta in terrazza? Un fermo immagine mostra una fessura che lascia ipotizzare sia aperta al momento dell’inquadratura: era così o è stato filmata dopo che qualcuno degli agenti l’ha aperta? Trombini non ha dubbi: «L’agente in aula ci ha spiegato viene ripreso lo stato dei fatti come è quando si entra e allora dobbiamo dedurre che quella porta lassù è aperta…».

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