«Con i post Csi teniamo vivo il 25 aprile I Cccp? Mai più nessuno come noi…»

Parla Massimo Zamboni, fondatore della storica band che guardava
all’Unione Sovietica. «Ferretti? Non è il momento di tornare insieme»

Non chiamateli Ex Csi, come si legge anche nei comunicati ufficiali. «Meglio Post Csi», un particolare terminologico in linea con la loro storia, nata dalle ceneri dei CCCP Fedeli alla linea, che definire come scrive Wikipedia un “gruppo musicale punk rock italiano ampiamente considerato uno dei più importanti e influenti nell’Italia degli anni ottanta”, è pure riduttivo. Ora i Csi (che sta per Consorzio Suonatori Indipendenti ma era chiaramente anche un esplicito omaggio sempre agli stati dell’ex Urss) sono tornati con la formazione originale – fatta eccezione per il cantante Giovanni Lindo Ferretti –, con cui stanno girando da mesi l’Italia. Il 7 marzo saranno al Bronson di Madonna dell’Albero. Abbiamo intervistato per l’occasione Massimo Zamboni, che oltre a essere mente e cuore dei Csi è anche il fondatore dei Cccp insieme a Ferretti.

Cosa vi ha spinto a tornare a suonare insieme e come è nata questa reunion?
«Per alcuni anni ho portato in giro uno spettacolo con Angela Baraldi (nota anche per la sua carriera di attrice e che ora è diventata la cantante dei Post-Csi, ndr) a cui si sono aggiunti come ospiti a turno alcuni ex compagni di gruppo. Ci siamo ritrovati volentieri ed è stato un piacere, prima di tutto dal lato umano. Ci è venuta voglia così di suonare di nuovo insieme le nostre vecchie canzoni, solo perché ci andava, come abbiamo sempre fatto, senza calcoli o programmi».
Cosa si devono aspettare gli spettatori del Bronson?
«Suoniamo esclusivamente canzoni del repertorio dei Csi, da quelle più dolci alle più fragorose. Ma la data di Ravenna sarà l’ultima del tour e poi guarderemo al futuro…».
Avete già pronto del materiale nuovo?
«Stiamo preparando la pubblicazione di un cofanetto sul 70esimo anniversario del 25 aprile, una data di cui bisogna tenere vivo il ricordo, quel 25 aprile era nata l’Italia migliore, cancellata poi da quella peggiore… Il cofanetto si chiama Breviario Partigiano e conterrà un film, un album che ne è la colonna sonora con anche nuove canzoni originali di questi Post Csi e un libretto con testimonianze sul tema di artisti di ogni campo».
Facendo un passo indietro e tornando alla reunion, avete cercato di coinvolgere Giovanni Lindo Ferretti? Com’è ora il vostro rapporto dopo anni piuttosto conflittuali?
«Non abbiamo tentato di coinvolgerlo perché non è così che funziona, a volte basta guardarsi negli occhi. Io e lui siamo in buoni rapporti, ci parliamo, ma non è ancora il momento per fare di nuovo musica insieme, potrebbe succedere in futuro come invece no. Poi ci sono anche altre persone coinvolte…».
E il pubblico come reagisce a questa sorta di assenza-presenza di Ferretti?
«In quattro anni che suono canzoni dei Csi con Angela Baraldi non ho mai sentito una lamentela. D’altronde lei ha una grande personalità e sul palco è straordinaria».
Ma è vero che è stato il successo a far morire i Csi?
«Sì, è andata proprio così. Dopo Tabula Rasa Elettrificata (terzo disco dei Csi e ultimo in studio, capace di vendere 50.000 copie nella sola prima settimana e di arrivare al primo posto degli album più venduti in Italia, con somma sorpresa tra tutti gli addetti ai lavori, ndr) ci hanno travolto entusiasmo, incredibilità, confusione fino a che il mondo musicale, di fatto assumendoci, non ha finito con lo sbriciolarci…».
Perché non è mai nato un altro gruppo in Italia come i Cccp?
«Perché non è stato un percorso semplice, abbiamo mangiato tanta polvere, bisognava avere le spalle larghe e non voler guardare solo al proprio ombelico…».
C’è qualcuno che ha raccolto la vostra eredità?
«No, ma semplicemente perché l’orizzonte di un gruppo è solitamente sempre quello musicale. I nostri orizzonti invece erano l’impero sovietico, le strade verso l’est e in un certo senso la condizione umana».
Sul fronte politico, come vive questi anni “post-ideologici” il fondatore dei Cccp?
«Penso a come il muro di Berlino sia sempre stato un simbolo dell’oppressione e a come si pensava che con la sua caduta le cose sarebbero cambiate, che fosse finita l’epoca degli sfruttamenti. C’era chi pensava che il trionfo del capitalismo avrebbe sistemato le cose. Beh, ora io penso invece a quei ragazzi che ai nostri tempi prendevano la loro R4 e andavano verso l’Est, i viaggi in Siria, in Libano, mentre oggi invece si fa fatica ad arrivare in Slovenia e vivere in pace nel mondo è ancora più difficile…».
E in Italia, prima parlava del 25 aprile, può bastare il suo ricordo?
«Penso al popolo felice che riempie le piazze il 25 aprile e mi chiedo dove sia tutti gli altri giorni. I valori del 25 aprile devono essere il fondamento della nostra società, non lasciamoceli scappare».
Per chi vota?
«Non ho mai nascosto di aver votato sempre per il Pci e poi per i suoi derivati, fino anche al Pd. Ma per la prima volta alle ultime Regionali (Zamboni è di Reggio Emilia, ndr) non sono andato a votare. La politica è sempre più lontana dai cittadini e non fa i loro interessi. Ma io continua a credere nel suo ruolo, deve essere la politica a fare andare meglio le cose, non possiamo certo affidarci alla bontà dell’animo umano…».

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