Distefano e il suo libro nato dal razzismo «Ma quello vero è tra ricco e povero…»

A tu per tu con il 23enne ravennate, genitori originari dell’Angola, narratore su facebook poi ambito scrittore pubblicato da Mondadori

Distefano scrittoreIl suo libro ha venduto in poche settimane 10mila copie, diventando uno dei casi letterari dell’anno. Un libro che nasce da una storia di razzismo come ce ne sono ancora tante in Italia e che ha vissuto in prima persona.Antonio Distefano ha 23 anni ed è nato in Italia da genitori angolani, cresciuto a Ravenna e ora finito alla Mondadori con il suo libro nato praticamente da Facebook.
E il merito in fondo è anche un po’ della mamma della sua ex, bianca, che non voleva che sua figlia frequentasse un ragazzo nero. «Tra di noi andava bene, ma sua madre le diceva che ero uno spacciatore, un criminale… Siamo stati costretti a vederci di nascosto. E tra i miei amici, sempre a Ravenna, di casi del genere ne sono successi altri, con protagonisti albanesi per esempio».
Ma Ravenna è una città razzista?

«Non saprei, diciamo che è una città dove nessuno ama esporsi più di tanto… Ma girando l’Italia per il mio libro ho visto realtà molto peggiori»
Del tipo?
«Per esempio a Verona ho avuto l’impressione, facendo un giro in centro di trenta minuti, che le persone mi guardassero come se stessi per esplodere da un momento all’altro…».
Sei stato vittima di episodi di razzismo, oltre a quello di cui parli nel libro della mamma della tua ex fidanzata?
«Diciamo che tendo a rimuovere le cose brutte. Però, ecco, sì, ricordo come nella mia Ravenna fosse davvero impossibile trovare una casa. Al telefono mi presentavo, dicevo che mi chiamavo Antonio ed era tutto ok, ma quando mi vedevano, candidamente, mi dicevano che non affittavano a stranieri… Ma il vero razzismo secondo me è un altro».

E quindi di cosa si tratta?
«Il razzismo vero non è questione di bianco e nero, ma di ricco e povero. E lo si vede nella scuola, già alle medie c’è chi non ha i libri, o chi ha solo le fotocopie. La differenza si vede. Mentre invece dovremmo avere tutti le stesse opportunità. Dovremmo partire tutti dalla stessa riga di partenza, magari chi con le scarpe più fighe e chi meno, ma nessuno dovrebbe partire qualche metro più indietro degli altri…».
E come si combatte questo fenomeno di discriminazione?
«Con la comunicazione e la consapevolezza. Purtroppo gli essere umani non parlano la stessa lingua e questo è un bel problema. Per esempio se io oggi dovessi dire a un ragazzo nero che è un coglione, lui mi risponderebbe, sei un coglione anche tu. Ma se glielo dicessi tu, lui direbbe che sei un razzista. Solo grazie alla comunicazione riusciremo a sconfiggere le discriminazioni, parlando, conoscendoci anche solo quando ci incontriamo per strada, aprendoci l’un con l’altro, distruggendo le certezze che spesso si hanno senza conoscere davvero le persone. E la consapevolezza, sì, dobbiamo essere consapevoli che noi non siamo come le persone razziste, stupide, che non dobbiamo essere come loro…».
A proposito di comunicazione, tu in questi mesi hai avuto modo di frequentare anche i salotti televisivi, come viene affrontata la questione?
«Il problema principale della televisione è che si tratta il tema in modo semplicistico e chi fa tivù ha capito che è la cronaca nera a fare audience e punta tutto su quella, moltiplicando così la paura di giorno in giorno. Confrontandomi nei talk-show anche con dei politici, invece, mi sono reso conto di quanto siano fedeli alla propria fazione, come dei cani. È come se recitassero, imparano la loro parte e dicono quello che i loro seguaci vogliono sentirsi dire. La ripetono fino a crederci realmente. Ma se poi ci parli lontano dalle telecamere, cerchi di farli ragionare, capisci che sono vuoti, che senza copione non hanno più nulla».
Con il tuo libro senti di aver fatto qualcosa, anche per combattere il razzismo?
«Beh, spesso i ragazzi mi raccontano storie di discriminazioni, io cerco invece di parlare solo di cose belle. Ma poi in tanti mi scrivono per dirmi che leggere il mio libro li ha aiutati e io cosa devo dire, sono contento…».

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