L’entusiamo “cieco” di Agata e Davide: ecco la Polis di ErosAntEros

A tu per tu con gli organizzatori della nuova rassegna: «Puntiamo il dito su argomenti che riteniamo interessanti: è la nostra parte politica. Ma non vogliamo rinunciare al valore estetico della forma spettacolo»

Saccotomsic

Davide Sacco e Agata Tomsic

Nel sole di maggio i palazzoni del quartiere Sant’Agata non hanno l’aspetto di quei brutti alveari che sono, arrivati chissà come in pieno centro. Sarà la luce a rendere tutto più bello, o l’abside della chiesa a pochi passi, ma pare di trovarsi sul set di un film ambientato negli anni ’70. Agata Tomsic e Davide Sacco, in arte ErosAntEros, mi aprono la porta del loro appartamento. Mentre parlano della loro vita, del festival Polis ormai alle porte, sorridono, si guardano spesso come per cercare sostegno reciproco: un insolito amalgama di felicità e preoccupazione.

Una parola torna spesso nei loro discorsi: scommessa. È una scommessa questo nuovo festival in una città piccola, già saturata di eventi; così com’è una scommessa vivere d’arte nel 2018, in questi tempi paradossali che, se da un lato hanno elevato la cultura a confuso feticcio, usato spesso per creare consenso, dall’altro non reputano i suoi “operatori” degni di stipendi ragionevoli. «È la prima volta che curiamo e dirigiamo una rassegna interamente da soli», mi dice Agata. «È una grande opportunità, un progetto che vorremmo fare crescere. Ma c’è molto lavoro da fare in città. È pur sempre la prima edizione di un festival: tutte le relazioni sono da costruire». Come se non bastasse, il festival ha l’obiettivo di mettere al centro la relazione fra artista e città, di stimolare il dibattito e la partecipazione. Cosa che, in tempi di individualismo esasperato, di autismo della parola pubblica, di slogan urlati e negazione della dialettica, suona come il richiamo di un anacoreta nel deserto. È ammirevole questa ostinazione.

«Pensiamo alla relazione fra attore e spettatore. A noi interessa che sia bidirezionale: da qui l’idea di Parteci-polis, un momento di condivisione finale che segnerà il termine di questa prima edizione. Durante il festival forniremo agli spettatori dei bigliettini sui quali lasciare commenti. A partire da questi contributi ci auguriamo che nasca un momento di condivisione collettiva. Sappiamo che non è scontato. È una scommessa, anche questa», mi spiega Davide.

Il cognome di Agata, il taglio dei suoi occhi, gli zigomi alti tradiscono la sua origine slovena. Perché non provare a organizzare un festival in quei meravigliosi territori di confine? «In Slovenia la situazione è particolare», mi spiega Agata. «Sono nata in un piccola cittadina sul mare, Isola d’Istria, Un gioiellino turistico di 10mila abitanti, a maggioranza slovena. Faccio parte della minoranza italiana, sono bilingue dalla nascita. Da qualche tempo il nostro teatro ha una vocazione più politica e impegnata, e si incentra sulla parola: fare spettacoli in italiano sarebbe difficile».

«Abbiamo ragionato molto negli anni. In alcuni momenti abbiamo pensato di spostarci da Ravenna, andare in altri territori», confessa Davide. Ma poi le cose sono andate diversamente: a Ravenna gli ErosAntEros hanno messo le radici, hanno acceso un mutuo. A Ravenna si sono conosciuti. «È stato nel gennaio 2010, a un laboratorio dei Motus organizzato ad Ardis Hall», racconta Davide.

Come sono finiti alle Bassette? «Il mio percorso è complicato», continua Davide. «Ho sempre affiancato la passione musicale a studi che non m’interessavano assolutamente. Ho una laurea magistrale e un master in scienze dell’informazione, ma per me studiare era come andare in fabbrica. Facevo il minimo indispensabile per prendere una sufficienza, per poi dedicarmi al punk più estremo, all’elettronica, alla classica, all’anticapitalismo. A un certo punto sono stato preso come manager a Roma per una grande multinazionale. Sono rimasto tre mesi: attorno a me erano tutti felici, io sono caduto in una depressione terribile. Quindi sono tornato a casa. Ho scritto al Teatro delle Albe, che non conoscevo affatto. Il mio percorso teatrale è cominciato così, grazie alla risposta di Marco ed Ermanna. Nel 2009 stavo lavorando al mio primo spettacolo, Treno fantasma, quando è iniziato il mio percorso con Agata». Sì, perché, come vuole il cliché, il loro primo incontro fu una folgorazione. «All’epoca avevo appena iniziato la magistrale in discipline dello spettacolo dal vivo, allo IUAV di Venezia. Sei mesi dopo l’incontro con Davide mi sono di nuovo trasferita a Bologna e ho finito il DAMS, che avevo già frequentato in triennale», ricorda Agata.

Perché proprio a Bologna? «Volevo fare teatro. Provai ad entrare nell’Accademia di Lubiana, ma non mi presero. Durante l’anno sabbatico che seguì decisi di andare a Bologna a studiare: era il 2005. Ho sempre pensato che per stare in scena bisogna sapere qualcosa di teoria», continua.

L’interesse per il pensiero, lo studio approfondito, le basi speculative su cui costruire una poetica: non è un caso che i primi spettacoli di ErosAntEros grondassero teoria. «Sì, i nostri primi spettacoli tendevano ad essere molto criptici, con un grande studio filosofico alla base. Ci siamo resi conto che questo apparato teorico spesso non passava e perciò abbiamo cambiato modalità di lavoro», ammette Davide. Da allora gli ErosAntEros ricercano una forma per tenere assieme militanza ed estetica. Come spiega Agata: «Puntiamo il dito su argomenti che riteniamo interessanti e li condividiamo con il pubblico. La parte politica, semplicemente, sta qui. Ma ci interessa molto portare avanti anche un discorso formale, a differenza di tanto teatro civile. Non vogliamo rinunciare al valore estetico della forma spettacolo».

Abbandono il loro salotto dopo una chiacchierata fitta: mi raccontano della loro testardaggine; di come, dopo litigi feroci, entrambi cedano all’altro, inverando nella vita il loro nome d’arte. Mi raccontano della delusione per il Pd e della preoccupazione per il nuovo ipotetico governo 5 Stelle-Lega; anticipano qualcosa del loro prossimo spettacolo, Vogliamo tutto, dedicato al ’68. Sono un fiume in piena.

Uscendo, mi tornano in mente le parole di Eugenio Barba su di loro: «Nulla mi riempie di gioia come la loro cecità». Difficile prevedere come reagirà la città a questo nuovo festival; comunque vada, l’entusiasmo cieco di questa coppia non si lascerà spegnere facilmente.

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