«Quel film amatoriale girato in campagna con mia zia che piacque anche a Sorrentino»

La storia di Alessandro Tamburini, giovane regista da Barbiano di Cotignola che ha debuttato nelle sale con “Ci vuole un fisico”. «Mi ha fatto strano sentire la gente ridere nelle parti che pensavo facessero schifo»

Ferraioli Ravel Bruscolini Tamburini

Alessandro Tamburini con

Tra i film finanziati grazie alla nuova legge regionale sul Cinema c’è anche (con 120mila euro investiti dalla Regione, oltre alla coproduzione di Rai Cinema e la collaborazione di Apapaja e Margutta Digital International) la commedia Ci vuole un fisico, opera prima girata a Modena (con incursioni a Formigine e Lido degli Estensi) del 34enne Alessandro Tamburini, da Barbiano di Cotignola, con alle spalle comunque una lunga carriera tra documentari, corto e lungometraggi, più o meno professionali. Il film è tratto dall’omonimo e pluripremiato cortometraggio del 2013, che aveva sempre come protagonisti lo stesso Tamburini e Anna Ferraioli Ravel. Proprio il corto ha catturato l’attenzione di Elisabetta Bruscolini di Csc Production società del Centro Sperimentale di Cinematografia, la più antica scuola italiana di cinema, di cui il regista e attore è stato allievo e dove è stato poi selezionato come autore da valorizzare con la produzione di un lungometraggio.

Il film è uscito nelle sale di tutta Italia lo scorso 3 maggio «ma in sole 12 copie – ci racconta al telefono lo stesso Tamburini –, che hanno ottenuto comunque un risultato di tutto rispetto, con una media di spettatori per copia che è stata quasi allineata con i migliori incassi del primo fine settimana di maggio».

Com’è andata alle presentazioni a cui hai partecipato? Cosa ti ha stupito di più?
«Forse il fatto che la gente ride nei pezzi che pensavo facessero schifo. E poi naturalmente i complimenti, ho la mandibola bloccata a forza di ripetere grazie. Sono stati giorni decisamente molto faticosi, ma anche naturalmente appaganti».
Dove nasce la tua passione per il cinema?
«A 14 anni mi hanno regalato una telecamera e ho iniziato a riprendere i fiori di casa mia. Poi ho scoperto lo zoom e via dicendo e ho iniziato a fare filmini coinvolgendo in particolare mia nonna. Sono stato decisamente un autodidatta. Il comune denominatore dei miei lavori erano spesso gli anziani nelle campagne della Romagna, tra Barbiano e Solarolo in particolare, con attori presi dalla strada, che poi spesso si sono rivelati ugualmente capaci di quelli professionisti. Per un mio cortometraggio ho pure portato qui in Romagna, gratis, Sandra Milo…».
A cambiare le cose è stato però il tuo primo lungometraggio amatoriale…
«In Ti uccido il cane! (anno 2005, vincitore del Dams Film Festival di Roma, ndr) era protagonista mia zia: l’ho girato per un anno in campagna, inventandomi la storia di questo cane, un boxer, che faceva fuori tutti i polli delle fattorie. Quello fu il film che mi fece entrare al Centro Sperimentale e alla prova orale dell’esame d’ammissione, con i docenti Paolo Sorrentino, Giuliano Montaldo e Umberto Contarello, parlammo solamente di questo mio lungometraggio».
Vivi ancora a Barbiano?
«Praticamente sì, anche se faccio un po’ e un po’. Spero ancora di non “romanizzarmi” troppo…».
Quali sono i tuoi modelli e ispirazioni?
«Adoro Marco Ferreri, ma ovviamente ne potrei citare tanti altri. La mia passione è però quella di scoprire il sottobosco cinematografico fuori dai circuiti distributivi ordinari, penso a uno degli ultimi film di Walter Chiari, Romance, che non ebbe praticamente distribuzione. O a Sciopèn, film che mi ha spedito direttamente il regista Luciano Odorisio e che adoro. Tra le mie ispirazioni anche sicuramente Gian Vittorio Baldi (regista e audace produttore, anche di Porcile di Pasolini, ndr)».

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