Salgado in mostra a Ravenna: 180 foto che raccontano la galassia delle migrazioni

Al Mar di Ravenna fino al 2 giugno la mostra fotografica Exodus di Sebastiao Salgado. L’evento fa parte del Festival delle Culture

 NGL7479La condizione di profugo, l’istinto di sopravvivenza, i momenti di esodo, i disordini urbani e le tragedie di continenti ormai alla deriva, la paura e la povertà, la volontà, la dignità e il coraggio: c’è tutto questo nelle 180 fotografie di Sebastiao Salgado che compongono la mostra “Exodus” inaugurata oggi, 21 marzo, al Museo d’arte della città di Ravenna (Mar) all’interno del calendario del Festival delle culture. L’esposizione curata da Lélia Wanick, moglie del fotografo, sarà visitabile fino al 2 giugno 2024.

Queste le parole del fotografo nato in Brasile 80 anni fa: «La mia speranza è riuscire – come individui, come gruppi, come società – a fermarci per riflettere sulla condizione dell’umanità alla soglia del nuovo millennio. Oggi più che mai, sento che il genere umano è uno. Vi sono differenze di colore, di lingua, di cultura e di opportunità, ma i sentimenti e le reazioni di tutte le persone si somigliano. Noi abbiamo in mano la chiave del futuro dell’umanità, ma dobbiamo capire il presente. Queste fotografie mostrano una porzione del nostro presente. Non possiamo permetterci di guardare dall’altra parte».

Nel 1993 Salgado ha iniziato il suo viaggio fotografico, fisico ed esistenziale nella galassia delle migrazioni. In sei anni il reporter brasiliano ha percorso quattro continenti con opere che catturano partenze e approdi, campi profughi dove milioni di persone vivono un destino incerto. Da allora la mappa del mondo appare cambiata, ma l’esodo di intere popolazioni è quanto mai attuale e le condizioni di profughi o migranti rappresentano uno scenario che assume dimensioni sempre più globali.

«Quasi tutto ciò che accade sulla Terra è in qualche modo collegato – afferma la curatrice, Lélia Wanick –. Siamo tutti colpiti dal crescente divario tra ricchi e poveri, dalla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura, dalla distruzione dell’ambiente, dal fanatismo sfruttato a fini politici. Le persone strappate dalle loro case sono solo le vittime più visibili di un processo globale. Le fotografie che qui presentiamo catturano i momenti tragici, drammatici ed eroici di singoli individui. Eppure, tutte insieme, ci raccontano anche la storia del nostro tempo. Non offrono risposte, ma al contrario pongono una domanda: nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?».

Come è organizzata la mostra Exodus di Salgado

La mostra si compone di varie sezioni a carattere geo-politico. La prima sezione, intitolata Migranti e profughi: l’istinto di sopravvivenza, tratta in particolar modo le motivazioni che tristemente accomunano i profughi: la povertà e la violenza, il sogno di una vita migliore, la speranza. Si prosegue poi con La tragedia africana: un continente alla deriva, si concentra sul trauma della sofferenza e disperazione di popoli profondamente segnati dalla povertà, dalla fame, dalla corruzione, dal dispotismo e dalla guerra nonostante l’Africa sia un continente con una storia importante per l’umanità, in grande fermento, ricco di energie e vitalità, oltre che di materie prime e ricchezze naturali. La terza sezione, L’America latina: esodo rurale, disordine urbano, racconta una parte del mondo segnata dalla migrazione di decine di milioni di contadini, spinti dalla povertà, verso le aree urbane come Città del Messico e San Paolo, circondate da baraccopoli, dove persino la vita privilegiata è assediata dalla violenza. La sezione Asia: il nuovo volto urbano del mondo si concentra sull’esodo di massa dalla povertà rurale alla creazione di megalopoli in cui i migranti vivono in condizioni precarie, pur credendo di aver fatto un passo verso una vita migliore. Chiude la mostra una sala dedicata ai ritratti di bambini, rappresentativi di altre decine di milioni che si possono incontrare nelle baraccopoli, nei campi profughi e negli insediamenti rurali di America Latina, Africa, Asia ed Europa. La particolarità di questi ritratti risiede nel fatto che hanno scelto di essere fotografati, scegliendo loro la posa da assumere davanti alla macchina fotografica del grande fotoreporter, compiendo così un fiero atto di autodeterminazione di quelle che sono le vittime principali dei fenomeni migratori, senza alcun controllo sul proprio destino.

 

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