Pagnani, Ghigi, Martini: tre comete che illuminarono la cultura ravennate

Una mostra a Palazzo Rasponi (ancora per pochi giorni) e una alla Classense per ripercorrere l’esperienza che tra il 1955 e il 1965 portò la città al centro dei grandi movimenti artistici europei. Tra le tante, opere di Moreni, Giacometti, Mathieu, Rossello e Vaglieri

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Ci sono traiettorie di vita e convergenze di amicizie e interessi felici, nonostante e a dispetto del destino. Ci sono tre vite – quella di una coppia di collezionisti e di uno storico dell’arte – che con generosità e impegno sono molto informati sul panorama artistico europeo. Viaggiano, creano collezioni e curano mostre, intrattengono relazioni con numerosi artisti italiani e stranieri, ideano e fanno nascere cataloghi e nuove linee editoriali di successo sul tema dell’arte antica e contemporanea. Se pensiamo poi alla minuscola area di Ravenna, queste tre comete hanno reso più vivace la cultura ravennate di un intero decennio, dal 1955 al 1965, quando si spengono anzi tempo insieme in un incidente stradale.

Parliamo di Roberto Pagnani, della moglie Raffaella Ghigi e dell’amico e storico dell’arte Alberto Martini a cui sono dedicate due mostre a Ravenna – a Palazzo Rasponi e alla Classense – che meritano di essere visitate insieme per comprendere l’intreccio delle personalità, il frutto di questa grande passione condivisa per l’arte e il contributo dato da loro alla città. La mostra a Palazzo Rasponi – curata da Paolo Trioschi e in chiusura il 26 gennaio – è dedicata alla coppia di collezionisti Pagnani-Ghigi che raccolsero un’importante collezione d’arte oggi ancora integra e presente nella villa ravennate costruita dall’architetto Galassi con la doppia funzione di abitazione e luogo adatto alla raccolta ed esposizione delle opere. La collezione consta di più di 200 lavori fra dipinti, sculture, incisioni e disegni, che vennero selezionati in base alla coerenza fra processo generativo ed esecuzione. Il criterio è significativo per la generazione che aveva vissuto la seconda guerra mondiale, soprattutto da chi, come nel caso di Pagnani, era stato un attivo antifascista. L’esperienza politica come direttore di “Democrazia”, il periodico del Comitato di Liberazione Nazionale, segna la traccia di una militanza che si allarga a comprendere l’approccio estetico. Ed è interessante che la collezione, nata nel contesto dello scontro tutto italiano fra chi nel dopoguerra sosteneva un’arte impegnata ad approdo realista e un’arte libera da vincoli politici o contenutistici, sia nata all’interno di questa seconda corrente. Dopo decenni di opere vincolate alla propaganda fascista, la scelta dei due collezionisti ravennati si indirizzava a considerare l’impegno interiore all’opera stessa all’interno di una linea estetica che guarda al dramma della storia da un’altra finestra, seguendo un progetto coerente all’assunto di partenza.

Nelle sei stanze della mostra ci sono numerose fotografie e lettere che testimoniano della ricchezza dei contatti fra Pagnani con artisti, galleristi, critici e storici dell’arte – fra gli altri Alberto Martini, Mattia Moreni, Ben Shahn, Georges Mathieu, Emilio Vedova – oltre a una selezione di opere che narrano lo sviluppo della raccolta: dall’interesse esordiente verso i pittori bolognesi fino alle correnti più rappresentate dell’Informale, dell’Espressionismo astratto, fino al movimento anti-process e all’esistenzialismo lombardo, oltre ad alcuni fuori pista come il piccolo lavoro a tecnica mista di Niki de Saint Phalle (1962). Una Natura morta del 1955 di Sergio Vacchi testimonia l’interesse verso il gruppo bolognese che lo storico Arcangeli definiva degli “ultimi naturalisti”, mentre le opere di Vaglieri e Rossello inquadrano il versante esistenzialista lombardo della collezione, acquisito a partire dal 1958 grazie all’iniziale mediazione di Alberto Martini, da poco trasferito da Ravenna a Milano.

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Da ammirare poi le bellissime tele di Mattia Moreni, che Pagnani incontra a Ravenna e che probabilmente presenta all’amico Martini: le fotografie, le opere, le lettere indicano un’amicizia e un sodalizio che produrrà mostre, in Italia e in Europa, oltre a rilevanti testi critici. Se pure a distanza Pagnani e Martini continuano per tutta la vita un rapporto di collaborazione: dopo averlo conosciuto nel 1959, il collezionista invita l’artista francese Georges Mathieu a lavorare nella casa di Ravenna, aperta anzitempo a residenze artistiche, testimoniate da interessanti fotografie d’epoca: da questa permanenza nascerà il progetto e la realizzazione del mosaico oggi conservato al Mar, inserito nella famosa mostra dei Mosaici moderni del 1959, curata dallo stesso Martini. Ed è a quest’ultimo – nato nella provincia mantovana, romagnolo di adozione e milanese per lavoro – che la Biblioteca Classense fino al 15 febbraio dedica un’esposizione (I colori di un intellettuale. La raccolta Alberto Martini in Classense) a cura di Daniela Poggiali, allo scopo di inquadrare la versatilità culturale e lo spessore della figura. Grazie al legame con Ravenna, alla Classense è stato donato l’intero archivio di Martini dalle eredi, fornendo gran parte del materiale in mostra.

Suddivisa in sezioni, l’esposizione parte da una raccolta di famosi esempi di storiografia artistica attraverso i secoli per passare alla figura dell’intellettuale, celebre per aver ideato e curaato alcune famose linee editoriali come i Maestri del Colore. I documenti, le lettere, le fotografie illustrano i passaggi fondamentali della vita di Martini, dalla laurea su Bartolomeo della Gatta con Roberto Longhi a Firenze fino alle relazioni stabilite con artisti e studiosi d’arte internazionali come Alberto Giacometti e Peter Anselm Riedl. Fondamentale il rapporto con Ravenna e i ravennati fra il 1954 e il ‘58, proseguito nel tempo anche dopo il trasferimento a Milano: a questi anni si devono la stesura del catalogo della Pinacoteca locale – che cade dopo i precedenti di Corrado Ricci e Adriana Arfelli – e l’amicizia con Roberto Pagnani e Guido Rosetti, coi quali condivide la passione per l’arte contemporanea.

A queste congiunture si deve la trasformazione dello spazio di Anna Fietta in una galleria d’arte dove vengono proposte con successo mostre di artisti italiani e stranieri, una trasformazione auspicata da Martini e replicata nella Bottega di Giuseppe Maestri e Angelina Tienghi, che lavora con artisti di grande rilievo fino al nuovo millennio. Ma la dimensione non è solo quella locale, se pure di calibro internazionale: Martini cura mostre di arte contemporanea a Bologna e a Milano, e allestisce eventi internazionali che lanciano l’arte italiana in un contesto europeo. Inoltre, comprendendo l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione, in accordo con l’editore Dino Fabbri idea nuove collane che con un taglio divulgativo portano l’arte antica – italiana e del mondo – nelle case degli italiani mediante immagini curate e inedite, raccolte nel corso di lunghi viaggi e corredate da una narrazione criticamente esatta e aggiornata, sempre piacevole alla lettura.

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