Arpae: «L’Adriatico è in buona salute». Ma la “noce di mare” minaccia la pesca

I dati del monitoraggio Daphne nel 2016 sul tratto emiliano-romagnolo: non sono stati registrati casi di inquinamento ma una presenza eccezionale degli organismi gelatinosi che si nutrono di uova di pesce creando danni al settore ittico

Alla vigilia della Pasqua, che abitualmente segna la partenza della stagione turistica sulla costa, il tratto emiliano-romagnolo del mare Adriatico si presenta con il biglietto da visita incoraggiante dei risultati del monitoraggio condotto dalla struttura oceanografica Daphne di Arpae Emilia-Romagna tra Goro e Cattolica nel 2016 e presentata ieri 6 aprile a Cesenatico: non sono stati registrati casi di inquinamento e non sono state rinvenute mucillagini, assente anche la microalga Ostreopsis ovata, che può causare disturbi alle vie respiratorie e stati febbrili e che è presente nel periodo estivo lungo tutte le coste italiane, fatta eccezione per le regioni del nord Adriatico (Veneto ed Emilia-Romagna).

«Al quadro positivo del 2016 – ha dichiarato la responsabile di Daphne Carla Rita Ferrari – hanno contribuito gli scarsi apporti di acqua dolce dai bacini costieri e le frequenti mareggiate. Si conferma che l’area di mare dell’Emilia-Romagna è molto sensibile all’andamento delle condizioni meteorologiche e alle pressioni antropiche derivanti dai fiumi che sfociano in mare.».

Le buone notizie si fermano sul fronte turistico. Perché se si passa a quello della pesca infatti da segnalare la presenza eccezionale della specie di ctenofori Mnemiopsis leidyi, conosciuto anche come “noce di mare”, lungo tutta la fascia costiera, fino a 10 km al largo: si tratta di organismi gelatinosi simili alle meduse, non urticanti e innocue per l’uomo, che si nutrono di larve e uova di pesce, creando indirettamente danni al settore della pesca. I fenomeni eutrofici sono stati prevalentemente localizzati nella zona settentrionale della costa.

L’organismo è originario delle coste atlantiche del continente americano, ma negli anni ’80 è stato introdotto nel Mar Nero tramite acque di zavorra di petroliere. Qui ha trovato un ambiente favorevole al suo sviluppo, soprattutto grazie all’abbondanza di cibo e alla scarsità di competitori e predatori e iniziato a produrre grandi aggregazioni che, alimentandosi soprattutto di uova e larve di pesce, nel giro di pochi anni hanno decimato i già traballanti (a causa della sovrapesca) stock ittici del Mar Nero. La grande tolleranza di questa specie ai diversi fattori ambientali, lo rende capace di adattarsi alle condizioni del Mediterraneo, compromettendo gli stock ittici sia attraverso una competizione per le risorse, sia a causa della dieta costituita prevalentemente da uova e larve di pesce. Tutto questo fa sì che Mnemiopsis leidyi sia in grado di modificare fortemente interi ecosistemi e ridurre drasticamente l’ittiofauna delle aree che riesce a colonizzare.

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