Archeologia, gli studenti ravennati negli scavi di tutto il mondo

La ricercatrice: «Si può imparare la professione in termini operativi e pratici». A disposizione del campus strumenti innovativi

Arch«Mamma, voglio fare l’archeologo». I sogni di tanti bambini si realizzano anche all’università di Ravenna, grazie al corso di laurea magistrale in Beni archeologici, artistici e del paesaggio, che permette agli studenti usciti dal triennio universitario in Beni Culturali (che oggi conta circa 200 matricole, a Ravenna) di specializzarsi nell’ambito dei beni archeologici.

«Offriamo una formazione abbastanza particolare, estesa, molto complessa, perché ovviamente ci occupiamo di un range cronologico e un ambito geografico molto vasti». A parlare è la professoressa Federica Boschi, ricercatrice dell’ex Dipartimento di Archeologia, ora Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà, che ha una sede proprio nel Campus di Ravenna, a Casa Traversari. «Grazie alle tante opportunità riservate agli studenti di prendere parte a progetti di ricerca condotti sul campo, attraverso scavi archeologici e laboratori dedicati allo studio e alla classificazione dei reperti o alle tecniche di documentazione e indagine archeologica, offriamo la possibilità di imparare la professione di archeologo in termini operativi e pratici e di vivere importanti esperienze formative».

Gli studenti, in particolare, partecipano a campagne di scavo un po’ in tutta Italia e anche all’estero. «Abbiamo progetti praticamente ovunque – continua Boschi – a partire da quelli in Romagna: da Classe a Zagonara, dal sito di Solarolo alla nuova esperienza del castello di Rontana (a Brisighella), per poi proseguire sempre in regione a Marzabotto e poi Suasa, nelle Marche e cantieri anche in siti archeologici patrimonio Unesco come Pompei, Agrigento, Paestum, Tharros. All’estero abbiamo collaborazioni e scavi in Albania, Egitto, Oman, Turchia e in generale nel Medio Oriente…». Gli scavi dell’università durano circa un mese: «Organizziamo turni di partecipazione, con ogni studente impegnato per almeno due settimane, nel corso delle quali viene formato da un punto di vista operativo, concreto. Imparano a documentare, a utilizzare strumentazioni all’avanguardia». Strumenti di cui si è dotata in questi anni pure il Campus di Ravenna, grazie anche agli investimenti di Fondazione Flaminia rivolti in particolare al tema della cosiddetta “archeologia preventiva”, con metodologie innovative, non invasive. «Una sorta di radiografia del sottosuolo – spiega Boschi –, utile per pianificare un eventuale intervento. Un modo per fare entrare l’archeologia nelle operazioni preliminari che possono riguardare le trasformazioni del territorio per evitare che si ripetano situazioni in cui si incappava in ritrovamenti imprevisti nel bel mezzo di un cantiere. Sono strumenti che soddisfano tutti gli interessi coinvolti nell’operazione, compresi quelli legati alla ricerca e alla tutela, senza bisogno di dover scavare. Abbiamo collaborato anche alla redazione di “carte del potenziale archeologico” (non però per quella di Ravenna, di cui parliamo alle pagine 12 e 13, ndr), tra cui anche quella relativa al territorio di Classe, molto utile per poi lavorare sul campo».
Ovviamente, accanto a questo – prosegue Boschi – «cerchiamo sempre di partire dalle nozioni base: i ragazzi non si devono mai dimenticare i metodi tradizionali, dal disegno archeologico alle documentazioni, sempre con il fine ultimo della ricostruzione storica».

E quali sono gli sbocchi professionali? «La nuova legge sull’archeologia preventiva per la prima volta riconosce la figura dell’archeologo, creando una sorta di albo professionale. Si tratta di un’evoluzione importante con una ricaduta positiva sulle possibilità di impiego».

Da pochi anni, infine, a Ravenna esiste anche il corso di Laurea a ciclo unico in Conservazione e Restauro dei beni culturali, «un percorso diverso da quello propriamente archeologico – sottolinea la ricercatrice –, incentrato sul restauro, ma che si caratterizza e distingue sul piano nazionale per l’aspetto applicativo e pratico, tramite la possibilità di svolgere concrete esperienze formative in cantiere anche in contesti archeologici».

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