Bar e ristoranti allo stremo: «Lasciateci aperti anche in zona arancione»

L’appello dei pubblici esercizi tramite le associazioni di categoria Confesercenti e Confcommercio: lettera alle istituzioni locali perché facciano pressioni sul Governo

Ristorante 3 2I tempi di adozione dei provvedimenti che regolano aperture e chiusure dei pubblici esercizi non lasciano la possibilità di organizzare il proprio lavoro. È questo il disagio che maggiormente avvertono le imprese associate a Confcommercio e Confesercenti in provincia di Ravenna. I due presidenti, Mauro Mambelli e Monica Ciarapica, hanno inviato una lettera al presidente della Regione Emilia-Romagna, al prefetto, al presidente della Provincia e ai sindaci dei comuni ravennati perché si facciano carico di rappresentare lo stato di sofferenza delle piccole e medie imprese al Governo, affinché se ne tenga conto nelle nuove ed importanti decisioni che si stanno assumendo in queste ore.

«Nel decreto appena varato dal Governo – scrivono le associazioni di categoria – pare che i pubblici esercizi possano stare aperti il 7 e 8 gennaio e debbano richiudere il 9 e il 10 in quanto zona arancione. Sarebbe necessario e opportuno che in zona arancione, alla pari degli altri esercizi commerciali e artigiani, bar e ristoranti possano dare continuità al proprio lavoro rimanendo aperti fino alle 18, nel massimo rispetto delle prescrizioni sanitarie. Considerato l’andamento dei contagi, appare peraltro evidente che non vi sono certezze circa la presunta diffusione del virus attraverso la frequentazione di bar e ristoranti».

Tra le tante professioni che stanno soffrendo la complessa situazione pandemica, la categoria che a giudizio dei due presidenti è ormai allo stremo è proprio quella dei pubblici esercizi. «Costretti da diversi mesi fra esclusiva possibilità di asporto e domicilio o, nei momenti migliori, apertura solo fino alle 18. Completamente perso l’importante periodo lavorativo delle feste natalizie, riceviamo quotidianamente segnali di preoccupazione ed esasperazione, come se si trattasse di un accanimento verso la categoria».

Alla luce di tutto questo, la lettera chiede che i pubblici esercizi vengano totalmente riconsiderati e catalogati con modalità «che permettano di esercitare il proprio lavoro in sicurezza ma con dignità e possibilità di programmazione, indipendentemente dalla classificazione adottata sulla base del colore di appartenenza».

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