Una “pubblica ristorazione” per «emozionare e stupire» il cliente. «Con semplicità»

Davide Grumbianin è lo chef di Benso, ai giardini Orselli, in centro a Forlì. «Con l’aperitivo stimoliamo il cervello in cucina»

Davide Grumbianin

Davide Grumbianin

Dove c’era un vecchio chiosco, ai giardini pubblici Orselli, oggi c’è un ristorante che riesce a unire l’eleganza all’informalità, la tradizione all’avanguardia. All’insegna di una cucina fin quasi minimale, attenta alla stagionalità e al territorio.

Benso ha aperto i battenti a fine 2017 affacciato sulla piazza che porta anch’essa il nome del conte di Cavour, con l’ambizione di fornire una «pubblica ristorazione», citando il pay-off, quasi quindi con l’obiettivo, si direbbe, di portare l’alta cucina a un livello in qualche modo popolare, da giardinetti, appunto. Potendo già vantare un “cappello” – l’unico a Forlì – nella prestigiosa guida dell’Espresso, I ristoranti e i vini d’Italia 2021.

Ne abbiamo parlato con lo chef, Davide Grumbianin, protagonista sin dall’apertura, quando consulente era Pier Giorgio Parini, stella Michelin al Povero Diavolo di Torriana.

Chef, innanzitutto, come è cambiato il vostro lavoro con la pandemia?
«Nel periodo di lockdown abbiamo scoperto tutti un diverso tipo di ristorazione, con alcuni piatti pensati appositamente per l’asporto e la consegna a domicilio, da far rigenerare ai clienti. Personalmente ho riscoperto anche la cucina di casa, un aspetto positivo senza dubbio, ma che mi ha anche inevitabilmente disorientato. Ora la situazione è tornata quasi alla normalità, la gente ha voglia di uscire, di venire a trovarci, fortunatamente potendo restare anche nel nostro ristorante…».

Ecco, che cosa significa «pubblica ristorazione», cosa cercate di offrire con il vostro locale?
«Il nostro approccio è quello di tentare di offrire una cucina semplice, ma con una visione innovativa. Alla portata di tutti, anche, con il nostro “Pranzetto” di mezzogiorno con cui proponiamo due piatti a scelta su cinque (a 20 euro, calice di vino compreso, ndr). Nel tardo pomeriggio iniziamo invece con gli aperitivi, diversi dalle solite focacce ovviamente, con “piattini” serviti espressi per ogni drink, senza seguire un ordine, improvvisando mentre in cucina stiamo preparando la linea per la cena. Un modo di lavorare che stimola molto anche il cervello».

Benso PiattiCome definirebbe invece la sua cucina?
«Colorata. E poi semplice, nel senso che prediligo nel piatto 2-3 ingredienti al massimo, i cui sapori si devono sentire bene tutti. Guardo molto alla tradizione, cercando di proiettarla poi nell’innovazione, verso la cucina 2.0».

Come nasce la passione per i fornelli?
«Con me, nel senso che io stesso nasco quasi fisicamente in un forno, da padre fornaio, a Forlì. Ho sempre avuto le mani in pasta. Un’infanzia casa e bottega. La scelta poi di fare l’alberghiero è venuta spontanea…».

E come si è evoluta con il tempo la sua cucina?
«Ho sempre lavorato in locali molto “tradizionali”, che avevano come base i piatti romagnoli e locali. Poi grazie a Pier Giorgio (Parini, ndr) ho scoperto un lato nuovo della cucina, a cui mi sono appassionato».

Dopo l’iniziale consulenza, in che modo prosegue la vostra collaborazione a Benso?
«Ci sentiamo spesso, per dei consigli».

Ci faccia un esempio di piatto tradizionale che vira verso l’innovazione…
«Visto che andrà in menù in questo periodo, mi viene subito in mente la tagliatella. Fatta però con farina di polenta. E con un ragù di fagiano».

Piatti invece che sono stati particolarmente apprezzati dai clienti, che sono diventati una certezza nei vostri menù?
«Gli spaghettoni con un sugo di susine, pomodori e verbena. O la faraona con uva arrosto e funghi galletti. O come dolce, il semifreddo all’amarena con pralinato di nocciola e finocchio marino».

BensoIl lato vegetale è sempre molto presente.
«Assolutamente, ci piace molto giocare, in questo senso. Penso anche alle nostre polpette di fico… In generale, siamo molto legati ai fornitori locali, andiamo dai “nostri” contadini che troviamo al mercato ortofrutticolo di Forlì, per la carne ci forniamo da Pelloni (azienda agricola di Glorie di Bagnacavallo che abbiamo da poco intervistato e che alleva selvaggina e animali da cortile allo stato brado, ndr). Per la farina ci serviamo al San Biagio Vecchio di Faenza, mentre il pane, vista la mia “formazione”, è sempre fatto in casa, da quello ai tre risi alla focaccia alla polenta. In generale fa parte del nostro lavoro cercare di scoprire sempre nuove, piccole, attività locali».

Qual è il suo obiettivo, cosa vuole lasciare ai suoi clienti?
«Il mio obiettivo è lasciare un ricordo positivo, far vivere loro un’emozione. Mi piace stupire e quando un cliente torna e mi parla di un piatto che ha mangiato qui da noi ne vado molto fiero, anche se spesso sono costretto a dirgli che non è più in menù. Lo cambiamo spesso, seguiamo la stagionalità. E così l’obiettivo è far sentire ai clienti abituali cose ancora più buone di quelle che ricordavano…».

La Stella Michelin, invece, è un obiettivo?
«Sono solito restare sempre con i piedi per terra, ma cerco sempre di pensare a traguardi importanti. Stiamo lavorando tutti insieme, tra sala e cucina, per raggiungere obiettivi del genere. In generale, se i critici gastronomici vogliono venire a sperimentare il nostro locale noi se siamo sempre ben felici, siamo qui, impegnati a fare meglio. D’altronde siamo “criticati” ogni giorno, i clienti sono sempre più esigenti ed è un lato che apprezzo del lavoro, uno stimolo continuo».

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