venerdì
18 Luglio 2025

Comune e Confindustria rinnovano il protocollo per il monitoraggio dell’aria

Si prosegue con l’aggiornamento tecnologico delle stazioni di rilievo. Particolare attenzione sull’area industriale

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È stato firmato questa mattina (6 febbraio) il nuovo protocollo d’intesa tra il Comune di Ravenna, Confindustria Romagna e le aziende dell’area industriale di Ravenna per la gestione della rete privata di monitoraggio della qualità dell’aria. Si tratta del rinnovo di un protocollo, sottoscritto periodicamente dal 1998, che ha consentito negli anni, un’attività di continuo miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza delle rilevazioni.

Tra gli obiettivi prioritari della politica ambientale del Comune di Ravenna rientra infatti il miglioramento della qualità dell’aria, un processo che richiede un sistema di monitoraggio articolato basato su rilevamenti sistematici effettuati grazie a una rete di controllo della qualità dell’aria pubblica (Rrqua, gestita da Arpae) e integrati da quelli una rete privata (Rqa), costituita da 6 stazioni fisse con strumentazione per il controllo delle sostanze inquinanti, collocate in punti significativi per monitorare le ricadute delle emissioni dell’area industriale di Ravenna, una stazione metereologica e da un centro di acquisizione ed elaborazione dati.

Il nuovo protocollo sarà valido fino al 31 dicembre 2025 e le aziende si impegnano con il Comune a proseguire il monitoraggio della qualità dell’aria dell’area industriale di Ravenna, e a proseguire l’aggiornamento tecnologico della rete di rilevamento privata, prevedendo il passaggio ad un nuovo sistema di acquisizione, gestione ed elaborazione dati della rete (Open Air System – Opas) che permette la perfetta interscambiabilità dei dati con Arpae e l’installazione di uno strumento “contaparticelle” ad integrazione della misura di particolato Pm10 e Pm 2.5 nella stazione di Marina di Ravenna 2. È previsto inoltre il supporto all’opera della Protezione Civile in caso di incidenti rilevanti, mediante l’acquisizione in tempo reale dei vari parametri inquinanti e meteorologici.

«Un protocollo al servizio dell’ambiente che mette in luce la virtuosa collaborazione tra pubblico e privato che già dagli anni settanta caratterizza il nostro territorio – dichiarano il sindaco di Ravenna Michele de Pascale e l’assessore alla Transizione Ecologica Gianandrea Baroncini. Risale infatti al 1978 la prima convenzione tra Provincia e Anic/Enel per l’ampliamento e la gestione della rete privata di monitoraggio. I protocolli sottoscritti successivamente tra Comune, Confindustria Romagna e le aziende del polo industriale ravennate hanno ribadito poi, nel corso del tempo, l’impegno costante degli enti locali e del mondo produttivo verso politiche volte al miglioramento e alla tutela ambientale. Una strada che negli anni ha portato ad una capacità di monitoraggio dell’aria sempre più efficiente ed aggiornata con l’obiettivo di garantire un pieno equilibrio tra aziende, ambiente e territorio».

Ultimi lavori a Faenza per la messa in sicurezza del Lamone. Cantiere da 3,5 milioni

Fondazioni dei “muretti” fino a 12 metri di profondità, calcestruzzo e ferro per aumentare la stabilità

Lamone

Ha preso il via lo scorso settembre il cantiere di somma urgenza da 3 milioni e mezzo di euro, lungo le sponde del Lamone a Faenza, per il ripristino dei danni causati dall’alluvione. Nel corso di questi mesi, i lavori non si sono mai interrotti e stanno per essere ultimati. Nello specifico, si stanno completando alcuni muretti, come quelli di via Renaccio, parzialmente crollati a causa della piena del fiume del 16 maggio scorso, allagando la zona “Bassa Italia”.

I nuovi muretti coprono due tratti dell’argine, per una lunghezza totale di circa 400 metri. Hanno fondazioni profonde in micropali che scendono fino a 12 metri, con soletta in calcestruzzo e ferro così da aumentarne la stabilità e sono più alti dei precedenti. La realizzazione con lastre di calcestruzzo precompresso ha permesso di lavorare velocemente, ora si pensa al lancio di un concorso per la realizzazione di murales per decorarle e integrare la nuova struttura al meglio nel contesto circostante. L’intervento sarà completato con il rivestimento, lato fiume, di bio-stuoia naturale per la crescita dell’erba sull’argine appena ricostruito.

Per il cantiere sono stati utilizzati mezzi meccanici importanti, insieme all’attività di manodopera come quella svolta dai “ferraioli”, manovalanza di origine indiana o pakistana che lega il ferro a mano. La vicepresidente della Regione con delega alla Protezione civile, Irene Priolo, il sindaco di Faenza, Massimo Isola, la consigliera regionale Manuela Rontini e i tecnici dell’Agenzia regionale per la Sicurezza territoriale hanno effettuato un sopralluogo nella zona, trovando l’occasione per fare il punto della situazione con alcuni rappresentanti dei Comitati dei cittadini alluvionati.

Lamone

Un altro cantiere ultimato riguarda via Cimatti: qui si è intervenuti con il rifacimento dell’argine sotto il ponte della circonvallazione. Si tratta di un’ulteriore opera di somma urgenza dal valore di 400mila euro. In questo tratto l’acqua aveva superato la sommità dell’argine erodendolo, con l’allagamento della via e della parte di città limitrofa.

«All’indomani dell’alluvione, l’intervento sul Lamone è stato immediato – ha commentato Priolo-. Si è partiti ricostruendo, tra maggio e luglio, l’intera difesa delle sponde e la vicina area golenale. In estate, a partire dal mese di luglio, sono state fatte indagini geotecniche ed eseguiti rilievi topografici necessari per progettare la ricostruzione dei muretti. Il cantiere di somma urgenza non si è mai interrotto: partito l’8 settembre scorso, finanziato con 3 milioni e mezzo di euro, ha uno stato di avanzamento del 90%: si prevede di concluderlo entro questo mese di febbraio». Il sindaco Isola aggiunge: «La piena riconquista della città sta avvenendo attraverso una serie di azioni che si muovono lungo diverse linee. Il tema più importante e sul quale il nostro impegno sarà costante è quello della sicurezza idro-geografica che dobbiamo garantire ai nostri cittadini, e a chi è in procinto di ‘rigenerare’ la propria abitazione dopo le alluvioni. Assieme alla Regione e con le risorse del Commissario straordinario stiamo realizzando opere che vanno in questa direzione, per rendere più sicura Faenza. Il muro di contenimento che stiamo completando in questi giorni, realizzato con determinazione attraverso un importante investimento della Regione, permetterà di dare una risposta concreta ai nostri cittadini».

Da luglio Hera sarà il nuovo gestore del servizio elettrico a “tutele graduali”

Il gruppo si è aggiudicato 7 lotti della gara nazionale, tra cui la provincia di Ravenna. Disponibile un numero verde per gli utenti interessati dal passaggio

Presidente Esecutivo Gruppo Hera Cristian Fabbri Bassa
Il presidente esecutivo del Gruppo Hera, Cristian Fabbri

A partire dal prossimo 1 luglio, il Gruppo Hera sarà il nuovo gestore del servizio elettrico a “tutele graduali” dei clienti domestici non vulnerabili per la provincia di Ravenna, che coinvolge circa 29 mila punti di fornitura, attualmente serviti a “maggior tutela”.

L’arrivo di Hera è stato determinato dalla vincita della gara nazionale indetta dall’Acquirente unico, in relazione alla fine del mercato elettrico di maggior tutela a partire dal prossimo 1° luglio. Oltre alla provincia di Ravenna, Hera si è aggiudicata il servizio elettrico a tutele graduali in altre 36 province italiane, tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Toscana, Abruzzo, Lazio, Umbria, Liguria, Piemonte e Campania, per un totale di oltre 1 milione di nuovi clienti elettrici e consolidandosi come terzo operatore a livello nazionale nel settore. Il gruppo si è aggiudicato infatti 7 lotti, il massimo consentito sui 26 in cui è stato diviso il Paese.

Dal 7 febbraio, tutti i clienti attualmente serviti a maggior tutela potranno rivolgersi per qualsiasi informazione sul passaggio in corso al numero verde Hera 800.554.000, attivo da lunedì a venerdì dalle 8 alle 22 e il sabato dalle 8 alle 18.

Tra i motivi dell’assegnazione dei 7 lotti al gruppo Hera, l’esperienza già maturata nella gestione dei servizi a tutele graduali e su significative sinergie industriali.

Leonardo Maltese, da Ravenna al grande schermo: «Recitare mi fa sentire giusto»

Il 26enne, che ha già girato con Amelio e Bellocchio, vestirà i panni di Giacomo Leopardi in tv e si prepara a un futuro (anche) nella musica. «Mi piacerebbe lavorare con Alice Rohrwacher, è straordinaria»

LEONARDO MALTESE Leonardo Maltese 02

Quella di Leonardo Maltese, è una storia tutto sommato ordinaria di un ragazzo senza dubbio straordinario, nel senso squisitamente etimologico del termine. Figlio di padre siciliano e madre inglese, parla perfettamente due lingue e a soli 26 anni è una delle giovani promesse del cinema italiano. Non solo. nel tempo libero si dedica alla musica, scrivendo e componendo canzoni che pubblica sotto lo pseudonimo di Leo Fulcro. Niente male per un semplice ragazzo di provincia. «Sono nato a Ravenna per motivi di lavoro di mio padre – spiega – che ha deciso di mettere su famiglia lì. Io sono felice di questa scelta, devo dire. Ho vissuto lì fino ai 16 anni, dove ho frequentato il liceo linguistico, poi mi sono trasferito in Inghilterra e ho finito le superiori all’Exeter City College, dove mi sono diplomato nel 2016. Dopodiché sono andato a Roma».

Come è diventato attore?

«Ho frequentato l’Accademia Teatrale Sofia Amendolea. Sono stati tre anni di studio molto intensivo. Lì e dove è avvenuta la mia evoluzione da ragazzo acerbo appassionato di recitazione ad attore con una formazione più solida. Quando sono uscito dall’Accademia ero molto cambiato».

Quando era a Ravenna recitava già?

«Sì, il primo incontro con la recitazione in realtà è avvenuto quando facevo lo scout. Altri ragazzi erano più bravi a fare il fuoco, le legature o altre discipline dello scautismo. Io invece ero gracilino e non molto esperto nelle avventure all’aria aperta, ma ero bravo nelle “scenette”, degli sketch messi in scena intorno al fuoco. Poi a scuola decisi di frequentare il laboratorio della non-scuola del Teatro delle Albe. È stata un’esperienza incredibile, non dimenticherò mai l’accoglienza del pubblico dopo il primo spettacolo al teatro Rasi. Lì ho capito che recitare era una cosa che mi veniva bene, che funzionava, mi faceva sentire giusto»

Il film Il signore delle formiche di Gianni Amelio segna l’inizio della sua carriera. Come c’è arrivato?

«Dopo essere uscito dall’Accademia ho cercato su internet delle agenzie e ho cominciato a mandare le mie foto e il mio materiale. L’agente di allora mi fece fare un provino con Gianni Amelio. Di provini ne avevo già fatti e li prendevo tutti molto serenamente perché conosco la brutalità di questa industria, è perfettamente normale prendere anche cento rifiuti, fa parte del mestiere. Anche quella volta sono andato senza aspettative. È stato il giorno più sconvolgente della mia vita».

Come andò esattamente?

«Amelio mi fece fare qualche esercizio, chiacchierammo, e prima di uscire dal provino mi disse: “Leonardo, tu farai questo film”. Io ero incredulo: quando inizi con la carriera da attore pensi di arrivare al massimo a fare qualche piccola parte, e comunque non succede mai che il regista ti dica subito che sei stato preso. La casting director, infatti, mi disse di andarci piano, di non dirlo a nessuno, di non gasarmi. Passarono alcuni mesi durante i quali feci un incontro con Luigi Lo Cascio, il co-protagonista, e un altro incontro per la prova costume, finché un giorno Amelio mi guardò e mi disse: “Guarda Leonardo che il provino è finito, il film lo fai, sta succedendo”. Io ero sempre agitato, non ci credevo che mi avessero preso veramente!».

Il signore delle formiche è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, mentre con Rapito, il film di Marco Bellocchio, è stato a Cannes. Cosa si prova a partecipare a festival cinematografici così importanti?

«Non so spiegarlo, è stato tutto assurdo. Quando decidi che vuoi fare l’attore sogni questi momenti, ma non ci credi veramente, o comunque pensi che potranno capitare in un futuro imprecisato. A me è successo subito, ed è stato molto bello. La gente parla del tuo film, se ne discute. L’arte stimola le domande delle persone, fare film non è solo una questione di ego o di esibizionismo. Quando vedi che i film hanno un impatto sulle persone capisci il senso di quello che fai».

Che rapporto ha con la stampa e la critica cinematografica? Legge le recensioni dei suoi film?

«Sì! Io ho molto rispetto per il giudizio del critico, che in fondo non è altro che uno spettatore particolarmente attento e preparato. Sicuramente è complicato sentirsi esposti, ma se scegli di fare l’attore è anche normale che sia così. E comunque, secondo me, la critica cinematografica non dovrebbe essere interpretata come una controparte dell’industria, ma come una sua componente».

Ha un modus operandi nell’approcciarsi al lavoro? Come si prepara di solito?

«Sto ancora sviluppando un metodo, non ho così tanta esperienza. Cerco di prendere dagli attori che incontro, come Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, Elio Germano, Luigi Lo Cascio, e chiedo loro dei suggerimenti. Una cosa che ho capito, però, è che bisogna avere una propria base solida ma anche sapersi adattare alle esigenze del copione e del regista. La sceneggiatura contiene già la maggior parte delle informazioni che servono. Il mestiere dell’attore consiste nel prendere ciò che è scritto e dargli vita».

Il suo ultimo lavoro è quello sulla miniserie Rai di Sergio Rubini Leopardi – Vita e amori del poeta, girata l’autunno scorso. Quando potremo vederla?

«Non si sa ancora, non posso parlarne perché è ancora un work in progress».

Cosa consiglierebbe a un giovane ravennate che vuole fare l’attore?

«Gli direi “tu sii attore, non pensare a farlo ma ad esserlo. Resta in movimento, fai quello che ti fa stare bene, non aspettare che sia qualcuno a tirarti fuori”. Continuare a muoversi e essere soddisfatti di questo è la cosa più importante».

La provincia è un limite secondo lei in questo contesto?

«È una domanda che mi faccio spesso. A volte in provincia si creano dei microsistemi che sono fertili e attivi e da lì si creano delle cose belle, anche perché le grandi città sono abbastanza sature e peccaminose, piene di brutture. Altre volte, invece, la vita provinciale può essere una gabbia pesante dalla quale si vuole uscire per scoprire cosa c’è fuori. D’altra parte, io sono uno che ne è scappato».

Oltre a fare l’attore, è anche musicista e cantautore. Com’è nata la sua passione per la musica?

«È nata prima della recitazione. La musica è qualcosa che frequento da sempre, suono sin da quando ero piccolissimo. A Roma, dove c’è una quantità di stimoli e di studi di registrazione, ho deciso di produrre della musica. Nel 2020 è uscito il mio primo ep, poi un disco e ora un secondo ep, Boy on Earth, assieme al quale ho scritto anche un libro per ragazzi. La musica mi tiene sempre attivo e mi stimola molto».

Parliamo di futuro. Quali sono i suoi progetti per il 2024?

«Vorrei fare uscire della musica, far qualche bel concerto, possibilmente anche a Ravenna, e vedere cosa succede nel campo recitazione. Per il momento non ho nulla in cantiere».

C’è un/a regista in particolare con cui vorrebbe lavorare in futuro?

«Alice Rohrwacher, è straordinaria».

Un pronostico sugli Oscar 2024?

«Ho visto Perfect Days e mi ha fatto stare benissimo, ma anche Poor Things è bellissimo e innovativo (trovi qui una nostra recensione, ndr). Di premi però non ne capisco molto, non so mai quali sono i criteri di selezione. Il cinema me lo godo molto di più da fruitore».

Il sindaco scrive a Amadeus: «Va tenuta alta l’attenzione dopo l’alluvione»

Il 7 febbraio a Sanremo è atteso Mirko Casadei che eseguirà Romagna Mia e il sindaco di Ravenna invia una lettera aperta al conduttore del festival, nato a Ravenna, perché l’occasione serva per ricordare di quanto ha ancora bisogno la terra flagellata dall’alluvione

354062761 6583776611667784 5686523296339355652 NAlla vigilia dell’esibizione di Mirko Casadei con “Romagna mia” al Festival di Sanremo, prevista per mercoledì 7 febbraio, il sindaco e presidente della Provincia di Ravenna, Michele de Pascale, scrive una lettera aperta al conduttore Amadeus sui temi dell’alluvione che a maggio dello scorso anno ha colpito la Romagna.

Carissimo Amadeus,

la scelta di portare sul palco dell’Ariston l’esibizione di Mirko Casadei per onorare i 70 anni di “Romagna mia” è per noi romagnoli commovente; ti siamo grati per il segnale di grande attenzione e per la volontà di rendere un tributo pubblico alla nostra meravigliosa terra, tanto più dopo i devastanti eventi alluvionali dello scorso maggio.

Da romagnolo, ravennate di origine quale sei, puoi ben comprendere come le note di quella canzone, ancora di più dopo le alluvioni, accendano in noi sentimenti di orgoglio e dignità e ci facciano sentire una comunità ancora più forte e coesa. Romagna mia in questi 70 anni è diventata anche la canzone di milioni e milioni di italiani e stranieri che hanno trascorso nella nostra terra indimenticabili giorni di vacanza ricevendo affetto, ospitalità e servizi come in nessun altro luogo del mondo.

Romagna mia, riecheggiata spesso nei giorni terribili dell’alluvione, è diventata il simbolo della forza operosa dei romagnoli, ma la realtà è che i problemi legati all’alluvione sono ancora moltissimi e abbiamo bisogno degli aiuti economici e della determinazione necessaria per indennizzare i danni a famiglie e imprese, rendere questa meravigliosa terra più sicura e tornare a guardare il futuro con fiducia. A volte siamo quasi tentati di pensare che la nostra forza d’animo e il carattere allegro possano diventare un pretesto per minimizzare la nostra condizione e magari dimenticarsi di ciò che invece va fatto.

Facciamo che le note di Romagna mia, risuonando nel tempio della musica italiana, possano rappresentare un’esortazione per tutti a tenere alta e vigile l’attenzione su quanto è avvenuto qui in Romagna, perché famiglie e aziende ricevano gli indennizzi indispensabili per ripartire e perché vengano realizzate le opere di ripristino di ciò che è andato distrutto, ma anche quelle necessarie a mettere in sicurezza il territorio in un’ottica di prevenzione.

Ringraziandoti ancora, e certo che capirai il nostro stato d’animo, ti mandiamo dalla Romagna i più cari auguri per un Sanremo di successo. 

Michele de Pascale, sindaco e presidente della Provincia di Ravenna

Migranti, nuovo sbarco a Ravenna. A bordo della Geo Barents 134 persone

Tra i salvati anche 34 minorenni, di cui 15 non accompagnati

Geo Barents
Lo sbarco della Geo Barents lo scorso gennaio

Nuovo sbarco di migranti al terminal crociere di Porto Corsini. Si tratta dell’ottavo, a partire dal 31 dicembre 2022, il terzo per la Geo Barents, dopo l’ultimo avvenuto il 3 gennaio. La nave di Medici Senza Frontiere arriverà a Ravenna sabato 10 febbraio con a bordo 134 migranti salvati nel Mediterraneo (87 uomini e 13 donne adulti e 34 minorenni, di cui 15 non accompagnati) provenienti da Siria, Pakistan Bangladesh, Marocco, Palestina, Egitto, Etiopia ed Eritrea.

Oggi pomeriggio (6 febbraio) il prefetto di Ravenna Castrese De Rosa ha convocato alle 16.30 una prima riunione del Tavolo di Coordinamento con tutti gli enti interessati per stabilire tempi e modalità per l’accoglienza dei migranti.

Una lughese al Festival di Sanremo per massaggiare i cantanti in gara

Elena Giacomoni sarà tra i professionisti all’interno della Spa del “Salotto delle celebrità”

Elena Giacomoni Sanremo

A massaggiare i cantanti del Festival di Sanremo al via oggi (6 febbraio) ci sarà anche la lughese Elena Giacomoni.

47 anni, Giacomoni è la titolare della Bottega della Bellezza a Ca’ di Lugo, esperta in «riflessologia plantare, massaggio tensio-riflessogeno, master in ayurveda conseguito in India, master in aromaterapia e appassionata di discipline olistiche ma anche tecnologie avanzate», scrive sui social, parteciperà a Sanremo per la prima volta.

Il compito della professionista lughese sarà appunto quello di massaggiare le star del Festival, in una sorta di Spa allestita all’interno del “Salotto delle celebrità”.

Al Cmp apre la nuova Centrale Operativa Territoriale, una “regia” per i più fragili

Investimento da 280mila euro con fondi Pnrr. L’attiveranno i professionisti che si stanno occupando del piano di cura dei cittadini

Foto Inaugurazione Cot (1)

Ancora più integrazione tra professionisti e maggiore prossimità per garantire al cittadino una presa in carico tempestiva e globale. È l’obiettivo della nuova Centrale Operativa Territoriale di Ravenna, entrata in funzione oggi (lunedì 5 febbraio) e che funge da sede provinciale Hub con funzioni di coordinamento per le altre due che verranno attivate nei distretti di Lugo e Faenza.

Il modello organizzativo trova le sue radici all’interno del DM 77 – il decreto ministeriale che potenzia l’assistenza sanitaria territoriale e fornisce i nuovi indirizzi per la sanità del futuro – e rappresenta la chiave per l’integrazione tra la filiera dei servizi e i professionisti coinvolti nei diversi luoghi e livelli di cura, assicurando continuità, accessibilità e integrazione dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria.

La Centrale Operativa Territoriale (Cot) di Ravenna si trova al primo piano del Cmp di via Fiume Abbandonato in un’area dedicata e ristrutturata che ha previsto un finanziamento complessivo di circa 280.000 euro (con fondi Pnrr), costituita da 11 locali più servizi igienici, per un totale di circa 270 metri quadrati.

La riqualificazione ha riguardato le finiture edili (incluso l’esecuzione dei nuovi controsoffitti antisismici) e l’adeguamento impiantistico e tecnologico, ai fini della sicurezza antincendio. Sono stati riqualificati anche alcuni ambulatori del primo piano per liberare i locali su cui è stata poi ricavata la Cot.

Chi può contattare la Centrale Operativa Territoriale? Non il privato cittadino, ma uno dei professionisti che si stanno occupando del piano di cura e assistenza. I destinatari della sua attività sono i cittadini cosiddetti “fragili”, persone prevalentemente anziane, o con disabilità o malattie particolarmente invalidanti, che nella maggior parte dei casi presentano un quadro composto da più patologie che coesistono, e che dunque richiedono la necessità di cure.

A spiegare di cosa si tratta, è Roberta Mazzoni, direttrice del distretto sanitario di Ravenna: «La Cot mette come elemento centrale l’integrazione fra i diversi professionisti che si prendono cura delle persone e assolve al suo ruolo di raccordo attraverso funzioni distinte e specifiche, occupandosi del coordinamento tra i servizi e i professionisti coinvolti nella transizione della persona con bisogni sanitari e socio-sanitari tra i diversi setting assistenziali: rientro a domicilio dal Pronto Soccorso; dimissione da strutture ospedaliere sia verso il domicilio che in altre strutture residenziali e semiresidenziali; ammissione, dimissione o trattamento temporaneo in Casa Residenza Anziani o negli Ospedali di Comunità, lungodegenza e post-acuti. Inoltre costituiscono interfaccia continua le relazioni con la rete delle Cure Palliative Locale, i servizi socio-sanitari e l’Infermiera Referente del Progetto Dama – percorso sanitaria per l’accesso alle prestazioni specialistiche per pazienti con disturbi dello spettro autistico e disabilità intellettiva».

In altri termini, la Cot deve rappresentare una vera e propria “regia”, che si prende cura dei diversi bisogni del paziente, organizzando per lui le risposte più appropriate. Il sanitario o l’assistente sociale che per primo viene a contatto col cittadino e identifica un nuovo bisogno di salute (anche temporaneo), che cambia la situazione precedente, attiva la Cot che velocemente mette in rete le risorse per individuare la miglior soluzione.

La Centrale nella prima fase sarà operativa dalle ore 8 alle 20 dal lunedì al venerdì e dalle 8 alle 14 il sabato (poi si passerà a un servizio 7 giorni su 7 per 12 ore). È composta da infermieri, assistenti sociali e medici che partecipano alle valutazioni multidimensionali d’equipe e alla progettazione degli interventi.

«Si tratta di un pezzo molto importante del nuovo sistema sanitario e sociale, che cerca di essere sempre più vicino ai bisogni delle persone – sottolinea Tiziano Carradori, Direttore generale di Ausl Romagna -. La Centrale Operativa Territoriale è l’esempio lampante che per realizzare la prossimità delle cure, principio guida della sanità di oggi e di domani, servono anche cambiamenti organizzativi e non solo strutturali. Questo ulteriore tassello che inauguriamo oggi , insieme ad altri interventi già operativi, quali il Cau e l’Ospedale di Comunità, provano a dare gambe alla necessità di una potente assistenza primaria, in cui il cittadino non deve più mettere in fila tutti i passaggi e tutti i pezzi per trovare le risposte giuste ad un bisogno di cura, sia di natura sanitaria che sociosanitaria. La famosa presa in carico che altro non è che un’assunzione di responsabilità da parte del sistema. Oggi si attiva a Ravenna, dopo che sono già state attivate le Centrali Provinciali di Rimini e Forlì lo scorso 15 gennaio e, nei mesi prossimi si completerà il piano di realizzazione con le ulteriori otto Cot previste dal piano aziendale».

Nel distretto di Ravenna esisteva già da qualche anno un meccanismo di centralizzazione di percorsi per persone con fragilità sanitarie, assistenziali e sociali che aveva l’obiettivo di renderli più fluidi creando le necessarie connessioni per una presa in carico globale. Nel 2023, grazie all’integrazione interdisciplinare di vari professionisti, sono state gestite più di 4.100 persone e più di 1.700 insieme agli assistenti sociali del Comune. La Cot dovrà essere un ulteriore sviluppo organizzativo per migliorare e potenziare i servizi di transizione e di presa in carico territoriale.

Nelle mense di scuola una giornata con un menù attento alla sostenibilità ambientale

L’8 febbraio i seimila pasti delle scuole del comune di Ravenna saranno con prodotti locali, biologici con piatti a base di legumi e miglio

Il Comune di Ravenna, in collaborazione con la società Camst che gestisce il servizio di mensa scolastica, aderisce anche quest’anno alla Green Food Week promossa da Foodinsider (settimana dal 5 al 9 febbraio) per sedersi, idealmente, a questa grande tavolata dove i commensali di mense scolastiche, universitarie e aziendali, associazioni e medici pediatri, si uniscono per fare qualcosa per proteggere l’ambiente.

Lo scopo è promuovere i valori di sostenibilità anche attraverso la ristorazione scolastica che coinvolge circa seimila pasti al giorno nel comune. Giovedì 8 febbraio nelle mense scolastiche, dai nidi alle scuole secondarie di primo grado, verrà privilegiato il consumo di prodotti locali, biologici e alimenti a basso impatto ambientale con piatti a base di legumi e miglio a cui le Nazioni Unite ha dedicato l’anno 2023. Il menu proposto consiste in: gramigna al ragù vegetale, sformato di zucca fagioli e miglio, verdura cruda, pane, frutta, merenda nei nidi e scuole d’infanzia con grissini bio e marmellata bio.

Una scelta che vuole contribuire significativamente a ridurre l’impatto dell’alimentazione sul clima perché, come tutti gli studi scientifici confermano, il sistema alimentare genera più di un quarto di tutte le emissioni di gas serra del pianeta.

La Green Food Week è l’occasione per ritornare alla dieta Mediterranea, dove i legumi sono i protagonisti del pasto, il cibo è stagionale e locale, prodotto con tecniche che preservano la fertilità del suolo (biologico), tutte condizioni che garantiscono una migliore qualità del cibo evitando sprechi alimentari. L’iniziativa si lega, come avvenuto gli anni scorsi, a “M’illumino di meno” promossa dalla trasmissione Caterpillar di Rai Radio2, prevista per il 16 febbraio.

Per promuovere i valori della Green Food Week sono stati messi a disposizione delle scuole materiali a supporto della didattica per aiutare gli insegnanti a spiegare e diffondere il significato di un’alimentazione sana e sostenibile con un linguaggio semplice e comprensibile ai bambini. Scegliere cosa mangiare può ridurre l’impronta ambientale personale, ma farlo insieme a tante persone che mangiano in mensa ha un impatto significativo sul clima, perché può stimolare la condivisione di un’etica con un profondo valore conviviale.

Per una settimana le farmacie raccolgono donazioni di medicinali per i bisognosi

In provincia di Ravenna 46 farmacie aderiscono all’iniziativa del Banco farmaceutico per il contrasto alla povertà sanitaria

FarmaciaDal 6 al 12 febbraio in cinquemila farmacie italiane, tra cui 46 in provincia di Ravenna (qui l’elenco), si possono donare uno o più medicinali da banco per i bisognosi. I farmaci raccolti (circa 3.800 confezioni nel 2023, pari a un valore di 29mila euro) saranno consegnati a realtà benefiche che si prendono cura di circa 3.300 persone in condizione di povertà sanitaria, offrendo gratuitamente cure e medicine.

Il fabbisogno segnalato a Banco Farmaceutico da tali realtà supera il milione di confezioni di medicinali in Italia. Servono soprattutto antinfluenzali e medicinali pediatrici, antifebbrili, analgesici, preparati per la tosse e per i disturbi gastrointestinali, farmaci per i dolori articolari e muscolari, antistaminici, disinfettanti, vitamine e sali minerali.

In Emilia-Romagna la Raccolta si svolgerà in 522 farmacie. I volontari del Banco saranno presenti sabato 10 febbraio. Nel 2023 sono stati oltre 2300 i volontari e 1820 i farmacisti coinvolti nella raccolta. I farmaci raccolti sosterranno 198 realtà benefiche del territorio regionale che hanno espresso un fabbisogno di 77.600 confezioni di farmaci. Durante l’edizione del 2023 sono state raccolte 53.484 confezioni (pari a un valore di 477.383 euro) che hanno aiutato 40.203 ospiti di 198 enti assistenziali.

«È purtroppo un dato incontrovertibile che la povertà sanitaria bussi con forza crescente anche alla porta di regioni come la nostra, idealmente caratterizzate da un’alta qualità di vita e da un alto livello assistenziale – è il commento di Achille Gallina Toschi, presidente Federfarma Emilia-Romagna –. Purtroppo la situazione sociale è molto articolata e complessa e assistiamo a forme di povertà sanitaria del tutto nuove: per questo anche quest’anno partecipiamo attivamente alla Giornata di Raccolta del Farmaco, che ci consente di essere concretamente vicini a chi ne ha più bisogno. La farmacia è il primo punto di riferimento per la salute, spesso anche per chi non può permettersi le cure: come farmacisti siamo quindi particolarmente sensibili alla tematica e viviamo questo impegno come parte integrante della nostra missione al servizio della salute di tutti, anche dei più fragili».

La raccolta si svolge sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con il patrocinio di Aifa e in collaborazione con Cdo Opere Sociali, Federfarma, Fofi, Federchimica Assosalute, Egualia – Industrie Farmaci Accessibili. Intesa Sanpaolo è Partner Istituzionale dell’iniziativa. La GRF è realizzata grazie all’importante contributo incondizionato di IBSA Italy, Teva Italia, EG Stada Group e DHL Supply Chain Italia e al sostegno di DOC Generici, Accord Healthcare, Piam Farmaceutici, Zentiva Italia e Zuccari.

Albertosi, il portiere azzurro di Italia-Germania 4-3, operato al cuore a Cotignola

L’84enne vice campione del mondo nel 1970 aveva avuto già due infarti e il professor Castriota è intervenuto per risolvere una insufficienza della valvola mitrale

Ricky Albertosi A Maria Cecilia Hospital Dopo L'interventoL’84enne Enrico Albertosi, ex portiere di calcio campione d’Europa nel ‘68 e vicecampione del mondo nel ’70 quando si giocò quel Italia-Germania 4-3 passata alla storia come “la partita del secolo”, è stato operato al cuore a Cotignola, alla clinica privata Maria Cecilia Hospital del Gruppo Villa Maria (Gvm). L’operazione, eseguita dal professor Fausto Castriota, è stata fatta a metà dicembre per uno scompenso cardiaco associato ad un’insufficienza della valvola mitrale. Albertosi, che in passato ha avuto due infarti, è già tornato nella sua Forte dei Marmi ed è in buone condizioni.

Dott. Castriota Maria Cecilia Hospital 02«Il percorso di cura è stato articolato – commenta il professor Castriota – perché la situazione era cronicamente delicata e il paziente mostrava una ridotta tolleranza allo sforzo. aveva continui scompensi cardiaci. Abbiamo quindi prima ottimizzato la situazione con un defibrillatore ma, dopo circa quattro mesi, abbiamo riscontrato la necessità di intervenire. In persone di una certa età con un cuore non in forma, la chirurgia tradizionale è ad altissimo rischio. Abbiamo quindi optato per un approccio percutaneo che invece abbassa notevolmente il rischio operatorio e dà un risultato ottimale».

Dott. Castriota MCHSi chiama MitraClip ed è una metodica che viene eseguita nel mondo già dal 2003 (primo caso eseguito in Brasile); tuttavia i numeri sono ancora abbastanza contenuti: nel 2023 sono stati solo 1.400 gli interventi di MitraClip in Italia, una cifra decisamente inferiore rispetto ai volumi della cardiochirurgia tradizionale “open” (ovvero che prevede l’apertura del torace). Gli studi dimostrano la sua efficacia, in particolare in situazioni a elevato rischio chirurgico, in quanto la MitraClip ha il vantaggio di riparare la valvola mitrale senza utilizzare la circolazione extra-corporea – si inseriscono attraverso la vena femorale delle “mollettine” che riassestano i lembi non funzionanti della valvola -, a cuore battente, con una ripresa post operatoria rapida.

A dicembre è arrivata la chiamata dell’ospedale e Albertosi temeva che non avrebbe potuto trascorrere le feste di fine anno con i familiari: «E invece mi sono dovuto ricredere. Il 16 dicembre sono stato ricoverato e due giorni dopo ero a casa».

Entrò nei servizi segreti grazie a un prete: Mancini racconta la sua vita da 007

L’ex carabiniere che viveva a Lugo ha scritto un libro in cui ricostruisce anche i motivi del suo pensionamento forzato dopo la vicenda dell’incontro con il senatore Renzi in autogrill a dicembre 2020. Una carriera al Sismi di 35 anni: dagli anni di piombo vissuti con la squadra del generale Dalla Chiesa alle indagini di intelligence che sventarono un attacco all’ambasciata di Beirut. «Sono stato arrestato due volte ma mai andato a processo»

ManciniLa raccomandazione di un parroco delle campagne ravennati con il generale al comando del Sismi. Così sono cominciati i 35 anni di carriera da agente segreto per Marco Mancini. L’ex carabiniere 63enne ha raccontato l’aneddoto al ristorante Casa Spadoni il 26 gennaio in occasione di un incontro per la presentazione del suo libro “Le regole del gioco” appena uscito per Rizzoli.

Stando ben attento a non rivelare nulla che sia coperto dal segreto di Stato – «Perché altrimenti mi prenderei 25 anni di galera» -, Mancini ha dialogato con il giornalista Maurizio Marchesi e ha raccontato dettagli di missioni nell’Italia degli anni di piombo o nell’Iraq delle brigate jihadiste, ha svelato curiosità su come si lavorasse sotto copertura nell’epoca pre internet, ha ricostruito a memoria le descrizioni di criminali visti l’ultima volta negli anni ‘80 con una dovizia di particolari tale che più di altre circostanze ha mostrato l’abilità dello 007. E il pubblico numeroso intervenuto alla serata si è dimostrato interessato a una figura che ha attraversato una fetta di storia d’Italia.

Nato a Castel San Pietro, Mancini ha trascorso l’infanzia con la famiglia a Sant’Alberto di Ravenna per poi trasferirsi a Lugo, una casa che a un certo punto ha dovuto vendere per ragioni di sicurezza e trasferirsi altrove per le minacce di morte ricevute.

Don Isidoro fu il prete che lo fece entrare al Sismi. Agli inizi degli anni ‘80, Mancini si stava congendando dalla sezione speciale anticrimine del generale Carlo Alberto dalla Chiesa con l’intenzione di imboccare la carriera in magistratura (il fratello Alessandro è stato procuratore capo a Ravenna fino a pochi anni fa). Ma quel parroco, insegnante di religione del carabiniere, lo accompagnò al ministero della Difesa – «usando una piantina di Roma tenuta in mezzo al Vangelo» – per incontrare il generale Ninetto Lugaresi che conosceva di persona.

«A 21 anni giravo con tre pistole addosso. Non perché fossi fanatico, ma perché ogni situazione richiedeva l’arma adatta, per evitare di ferire innocenti in caso di sparatorie». Ma l’arma non puoi tenerla a portata di mano: «In certe situazioni devi mantenere le mani in vista così che non pensino che sei armato». Usò la pistola, ma senza sparare nemmeno un colpo, per arrestare uno dei terroristi più ricercati d’Italia, Sergio Segio. «Lo trovammo a Milano. Lo riconoscemmo dalla camminata, perché quella è come un’impronta digitale e parla più del volto. Mi avvicinai alle sue spalle e gli puntai la pistola alla nuca armando il cane. Lo chiamai Sirio, il nome di battaglia, e si consegnò».

Ma ci sono state anche scene degne di un b-movie poliziottesco. «Un giorno all’alba dovevamo fare un arresto in un appartamento al settimo piano. Rimanemmo bloccati in ascensore e la prima persona che venne a chiederci aiuto fu la madre dell’uomo che dovevamo arrestare. Con una scusa riuscimmo a farla allontanare e poi a uscire dall’ascensore».

Mancini ha fatto parte della squadra che ha sventato, parole sue, «l’11 settembre dell’Italia». Era il 2004 e le fonti in contatto con i servizi italiani rivelarono che Al Qaeda aveva pianificato un attentato esplosivo all’ambasciata italiana di Beirut. «Riuscimmo a catturare un pericoloso ricercato mentre faceva il sopralluogo per misurare lo spessore dei muri. Sequestrammo 400 kg di tritolo e una quarantina di arresti».

Il libro, così come la serata faentina, è anche un modo con cui Mancini prova a togliersi i famosi sassolini dalla scarpa. «Due volte sono stato arrestato e due volte l’indagine si è conclusa con il mio proscioglimento. Però sui giornali in prima pagina è andata solo la notizia degli arresti». Il ricordo del periodo in carcere è particolarmente forte: «Ero in isolamento e non mangiavo quello che mi davano perché avevo paura per la mia sicurezza. Mangiavo solo due volte a settimana quello che mi portava la mia famiglia. Ho perso 19-20 kg di peso in sei mesi di detenzione preventiva».

Della detenzione ricorda anche la visita di Francesco Cossiga: «Una persona meravigliosa con cui ho in comune origini sarde. Parlammo tutta una mattina usando il dialetto gallurese che conosco grazie a mia madre. Lui mi consegnò una copia del romanzo “Il giovane Holden”. Io non sapevo che dargli e allora presi il cartellino che indicava le informazioni del detenuto sulla porta della cella. Era l’unica cosa che potevo dargli». Quel cartellino ora è nel portafoglio di Mancini e l’ha mostrato alla platea: «Al funerale di Cossiga me lo diede un suo collaboratore dicendo che il presidente si era raccomandato di farmelo riavere».

L’apertura e la chiusura della serata, manco a dirlo, sono state attorno ai fatti del 23 dicembre 2020 in un autogrill di Fiano Romano. Mancini incontrò il senatore Matteo Renzi in circostanze che apparvero singolari: un autogrill chiuso per la pandemia. «Dovevamo vederci al mattino al Senato ma Renzi aveva altri impegni e mi diede appuntamento in quel punto. Dovevamo solo scambiarci gli auguri di Natale. In tutto siamo rimasti lì tredici minuti». La circostanza, rivelata dalla trasmissione Report, si è tramutata nella fine della carriera diplomatica di Mancini: «Ero in procinto di ottenere una promozione, avevo già parlato con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, avrei avuto la direzione di un dipartimento. Ma saltò tutto e mi hanno indotto alla pensione. Mi sembra incredibile che con tutte le polemiche che ci sono state io non sia mai stato interrogato da nessuno su questa vicenda».

E ora, da pensionato forzato, Mancini non può far altro che godersi gli affetti familiari, moglie e figlia, per troppo tempo trascurati: «Ma avrei volentieri continuato a servire lo Stato italiano».

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