Il presidente sminuisce i manufatti dell’ex Sarom perché non sono piramidi ma l’ente pubblico che rappresenta ha ricevuto quasi 300mila euro per progetti di valorizzazione del patrimonio storico degli scali
L’Autorità portuale di Ravenna è apertamente schierata a favore della demolizione delle due torri Hamon nell’area ex Sarom, manufatti simbolici del passato industriale ravennate, e al tempo stesso è beneficiaria di fondi europei nell’ambito di un progetto italo-croato che aggrega otto porti per la valorizzazione del patrimonio storico e monumentale degli scali dell’Adriatico in ottica turistica. Il progetto è denominato Remember (“ricorda” in inglese), ha avuto una durata di 30 mesi (dal gennaio 2019 a giugno 2021) e all’Autorità portuale di Ravenna è stato assegnato un budget di 292mila euro (85 percento fondi Fesr e 15 percento Fondo di Rotazione).
Il presidente di Ap, Daniele Rossi, ha liquidato le torri Hamon con facilità, sminuendone il valore perché non paragonabili alle piramidi d’Egitto. Ma sul sito dell’ente di via Antico Squero si trova la comunicazione datata agosto 2023 riguardante la partecipazione di Ap nel progetto Remember: «Consentirà di realizzare percorsi turistici e interventi di valorizzazione del patrimonio storico e monumentale, che saranno parte di una strategia di promozione congiunta che avrà come target primario le compagnie di crociera. Il progetto ha una forte dimensione innovativa in quanto porterà anche alla realizzazione di 8 “musei virtuali”: nei porti di Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Fiume, Zara, Spalato, Dubrovnik saranno realizzati interventi volti a virtualizzare e rendere interattivo il patrimonio monumentale e di conoscenze di ciascun porto».
Basta poi andare sul sito internet dedicato proprio al progetto Remember e addirittura in home page c’è un video emozionale con immagini del film “Deserto rosso”. Di più: c’è anche una sezione dedicata alle torri Hamon. Che recita così: «Famosissime per la loro comparsa nel film Deserto Rosso, sono diventate simbolo della storia industriale del porto di Ravenna. Volute da Attilio Monti per la sua Società Anonima Raffinazione Olii Minerali, sono rimaste in attività fino al 1981, anno in cui lo stabilimento chiuse i battenti. Ma ancora oggi le torri svettano sul Canale Candiano, in attesa di scoprire il loro destino». Un destino che stanno scoprendo in queste ore: diventare macerie, con buona pace della memoria.
Iniziativa di alcuni parrocchiani, si può sottoscrivere la raccolta in alcuni negozi del centro e all’uscite delle messe nei giorni festivi
La petizione per chiedere all’Ordine dei Frati Minori Conventuali della Provincia Italiana di Sant’Antonio di Padova (Nord-Italia) di non abbandonare la comunità di Faenza e il loro quartiere ha raccolto 500 firme nel primo weekend. L’iniziativa dei parrocchiani è iniziata giovedì 28 marzo in occasione delle celebrazioni del Triduo Pasquale. I sostenitori ritengono che il convento abbia un ruolo importante per la zona con l’attività pastorale, spirituale e sociale e per impedire un ulteriore abbandono in quella zona del centro cittadino.
La raccolta firme proseguirà nelle prossime settimane in alcuni negozi della zona (l’elenco in fondo all’articolo) e all’uscita dalla chiesa di San Francesco in occasione delle messe festive: quindi, sabato alle 17.30 e domenica alle 11.
I promotori ringraziano i tanti che in questi giorni, anche giovani, hanno aderito alla campagna e la stanno sostenendo in numerosi contesti. «Sentiamo un clima di interesse, vicinanza e sostegno da parte di una numerosa cittadinanza, che si è dimostrata attiva, consapevole e decisa nel tutelare un patrimonio storico, sociale, religioso e pastorale quale San Francesco, riconoscendo il valore della presenza dell’Ordine in termini di spiritualità, educazione e conforto. Un patrimonio di fiducia e speranza che vogliamo sperare non si scelga di disperdere. Rinnoviamo il nostro appello a tutti i faentini che hanno a cuore il centro storico della propria città, la sua identità storica-culturale e le realtà sociali e pastorali che vi sono presenti, che rappresentano un valore aggiunto per tutta la comunità di Faenza, per il decoro e la sicurezza del centro storico, per un reale sostegno materiale e spirituale a numerose situazioni di difficoltà, disagio e povertà».
Questi gli esercizi pubblici dove è possibile firmare la petizione:
Bottega della Pasta Fresca in corso Garibaldi 32/B Faenza; Insieme per crescere Onlus (Ex Moda Bettoli) in corso Garibaldi 39/A; Biondi Fabrizio Agenzia Immobiliare in via Marini 2; Lavanderia Speedy Gonzales in via Nuova 51; Tabaccheria del Ponte in corso Europa 2; Alessandro Borchi Occhiali in corso Mazzini 41; Oreficeria Donati in corso Garibaldi 36/A; Beauty Lab in via Minardi 25; Macelleria Faentina in piazza del Popolo 10, Faenza.
Il Comune di Ravenna sta continuando a portare avanti tutte le attività propedeutiche alla riapertura della scuola media Don Minzoni, in via Cicognani, che nel tardo pomeriggio di martedì 2 aprile è stata interessata da un incendio che ha danneggiato un’aula. Sono in corso le operazioni di messa in sicurezza, pulizia e arieggiamento dei locali e sarà necessario sospendere l’attività didattica anche nelle giornate di venerdì 5 e sabato 6 aprile. Per quanto riguarda la settimana prossima, verranno dati ulteriori aggiornamenti appena possibile.
«La speranza è che assistendo ai mie lavori qualcuno cominci a porsi delle domande…»
Pietro Babina (ph. Claudia Marini)
Il teatro Rasi ospita venerdì 5, sabato 6 (ore 21) e domenica 7 aprile (ore 15.30)Sole e Baleno. Una favola anarchica, il nuovo lavoro che Pietro Babina ha realizzato, dopo una lunga gestazione, insieme ad Alberto Fiori, con il sostegno di Ravenna Te-atro, Agorà, Spazio Zut e Compagnia Umberto Orsini.
Il testo si ispira a una storia realmente accaduta in Italia negli anni novanta, quella di Sole, una giovanissima ragazza argentina, e di Baleno, un anarchico italiano. A seguito di alcuni episodi di eco-terrorismo avvenuti in Piemonte, il tribunale di Torino individua nei due giovani attivisti i capri espiatori. Accusati di essere i responsabili di atti di sabotaggio a strutture pubbliche, vennero, senza prove evidenti, imputati di associazione sovversiva e per questo soggetti alla reclusione preventiva. La separazione e la reiterazione delle accuse li gettò nella disperazione ed entrambi finirono per suicidarsi, venendo poi giudicati innocenti e riabilitati. A Babina, che torna al Rasi dopo il potentissimo Macello del 2020, abbiamo chiesto un approfondimento sul nuovo spettacolo.
Serena Abrami, Pietro Babina e Alberto Fiori (ph. Claudia Marini)
La genesi di Sole e Baleno è stata piuttosto lunga, quasi tre anni. Era partita da una tua personale riscrittura de L’Opera da tre soldi di Brecht, poi ha deviato sulla storia dei due anarchici. Qual è stato il percorso creativo dello spettacolo?
«L’Opera da tre soldi è sempre stata un mio pallino, ma è uno spettacolo praticamente impossibile da allestire in Italia, troppi costi, e comunque portarlo in scena in modo “classico” non mi interessava più di tanto. Comunque, siccome si erano sbloccati in teoria i diritti d’autore, in quanto sono passati i famosi settant’anni dalla morte dei due autori, Bertolt Brecht e Kurt Weill, avevamo cominciato a lavorarci focalizzandoci sulla questione musicale e cantata, che andava ad ampliare un po’ la mia direzione di ricerca sulla voce. Ma poi, dopo aver fatto ben tre residenze, è uscita una nuova legge europea che allargava i diritti a tutti coloro che avevano collaborato alla realizzazione de L’Opera da tre soldi. Ecco dunque che salta fuori Elisabeth Hauptmann (di cui io non avevo mai sentito parlare), traduttrice della Beggar’s Opera di John Gay del 1728 (dal cui adattamento Brecht ricavò la sua opera), che aveva collaborato per la messa in scena, ed essendo morta nel 1973 ha fatto sì che la possibilità di fare liberamente l’opera si sia spostata al 2046. A quel punto abbiamo contattato l’agenzia che a Berlino detiene i diritti spiegando il nostro progetto, ma non ci hanno dato il permesso di farla». E qui entrano in gioco Sole e Baleno.
«Ci siamo ritrovati in uno stato di prostrazione, avevamo già realizzato tanto, cosa dovevamo farne di tutto il lavoro? Ecco però che, sempre con Alberto, tanti anni prima avevamo scritto un testo sulla vicenda di Sole e Baleno, una vera e propria opera con un libretto e le musiche fatte da lui. Ci è sembrato quindi naturale riprendere quel progetto, trasformarlo in teatro musicale e inserirlo nella struttura de L’Opera da tre soldi come svolgimento, come atti, quantità di scene, distribuzione della musica, creando un parallelo che ha funzionato. Perché, miracolosamente, c’erano delle affinità, tanto che un po’ la cosa mi diverte anche, in quanto l’operazione che ho fatto è in qualche modo come il nuovo adattamento che Brecht fece dell’opera dei mendicanti di John Gay; era una trascrizione e questa è una nuova trascrizione. Ovviamente la storia diverge abbastanza». Una vicenda simbolica e quasi sempiterna.
«Sì, quel fatto era legato al movimento delle occupazioni, degli squatter, dei NoTav, soprattutto del mondo torinese, e fu emblematico di tutti quei movimenti di protesta nell’Italia degli anni ’90 a cui poi il G8 di Genova diede il colpo definitivo. Ma la storia di questi due ragazzi, che si amavano e che per colpa, diciamo così, del mondo esterno e di come funziona la società, finiscono per morire suicidi, assomiglia anche a quella di Romeo e Giulietta, ed è quindi molto interessante anche drammaturgicamente, oltre che politicamente». Forse ancor più potente e legata al nostro contemporaneo di quanto potesse esserlo il Brecht da cui eri partito.
«Sicuramente è una questione più vicina a noi per tanti aspetti. Sulla vicenda di Sole e Baleno in passato è stato fatto un film e sono stati scritti alcuni libri, ma tutti lavori para-documentaristici, in cui erano i dati realistici la cosa importante, invece a me interessava fare un’operazione – con tutta la modestia del caso – più shakespeariana, dunque estrarre il plot, così umano e interessante, conservare il fatto che erano due anarchici, ma senza addentrarsi oltre nella realtà, anche perché la forma d’opera che abbiamo scelto non si adattava a fare un’operazione troppo documentaristica. La mia idea di fondo era di arrivare a un punto in cui certe figure devono diventare paradigmatiche e anche quasi eroiche; ti resta solo l’afflato dei due personaggi e di quello che significano, cioè una libertà giovanile, una voglia di definire un mondo che viene da un sistema di adulti e di potere che schiaccia sempre le visioni diverse delle cose. E poi c’è tutta la parte musicale: una ventina di canzoni più le partiture, che sono tutte di musica elettronica, molto contemporanea, diciamo, anche se il termine non mi piace». A proposito di musica, nei tuoi spettacoli le partiture sono sempre parte imprescindibile della drammaturgia.
«Sì, nella drammaturgia per me tutto è musica, è un concetto esteso, ho sempre detto che per me le scene devono “suonare bene”, quindi occorre entrare in un certo tipo di mentalità: quando stai in scena, quando ti muovi e quando orchestri tutto l’allestimento, bisogna tener conto di questo tipo di logica, cioè che ci sia un’armonia, un flusso continuo, un viaggiare di tipo musicale». Anche Macello era un lavoro a mio avviso in grado di scuotere l’anima. Affrontare certi temi come si riflette sulla sua vita, prevale l’aspetto catartico o quello della disillusione?
«Mi disillude più vivere nella realtà che nel teatro, quelli che affronto sono sicuramente percorsi esistenziali ma non nega- tivi; ho sempre lavorato su temi che sentivo urgenti. In Macello ci sono l’antispecismo e i diritti degli animali, questioni che erano diventate sempre più importanti per me e avevo bisogno di affrontare. Stare sei mesi in scena con quelle parole, quei temi, ti fa crescere enormemente, ma non ti rende cinico, è anzi un sincronizzarsi con un problema in modo molto più empatico, e questo ti dà una prospettiva diversa anche al di fuori dello spettacolo. E poi c’è anche la speranza che a qual- cuno, assistendo a lavori così, scatti qualcosa e cominci a porsi domande che prima non si poneva».
Il mercato coperto e Casa Spadoni ospitano una serie di immagini che illustrano lo stato dell’area della ex raffineria dove ora Eni sta demolendo le torri di raffreddamento
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In che condizioni erano l’area ex Sarom e le due torri Hamon a Ravenna nel 2007? La risposta è nella mostra fotografica intitolata “Le torri Hamon e gli stalker”, immagini di Stefano Tedioli e progetto di Roberto Papetti. L’inaugurazione è in programma per le 19 del 5 aprile al mercato coperto in piazza Costa e alle 19.30 a Casa Spadoni in via San Vitale, in entrambi i casi sarà visitabile fino al 21 aprile. Gli scatti raccontano lo stato della zona di proprietà di Eni che ora sta demolendo i manufatti dell’ex raffineria a lato di via Trieste.
Da un’idea di Papetti nasce nel 2007 il progetto “Stalker”, in collaborazione con l’amico fotografo Stefano Tedioli. I due si aggregano idealmente a collettivi internazionali di artisti e architetti, nati a negli anni ’90, che si definiscono Stalker. Il termine deriva dal verbo “to stalk”, inseguire di soppiatto, ma anche aiutare a passare di nascosto un confine. Questi artisti vanno in luoghi in dismissione e, girovagando, raccolgono cose come “xenocristalli”, oggetti o immagini che incorporano qualcosa di prezioso, inerente al mondo e alle sue trasformazioni.
«Lo stabilimento Sarom – scrivono affermano i promotori – è senza dubbio rappresentativo del momento in cui il territorio ravennate è stato investito da un potente sviluppo industriale che ha portato a mutamenti irreversibili dell’ambiente naturale e del paesaggio; le torri Hamon sono la parte più emblematica di tutto questo, tanto da spingere i due artisti a documentarle come testimonianza».
Tensioni geo-politiche e alluvione tra le ragioni del rallentamento accertato dai dati
L’economia ravennate frena nel 2023. È quanto emerge dall’Osservatorio dell’economia della Camera di commercio che evidenzia un peggioramento dei giudizi sugli ordini, un aumento delle attese sulla produzione e una valutazione di lieve decumulo delle scorte. La frenata, secondo la Camera di Commercio, è condizionata in particolare dall’acuirsi delle tensioni geo-politiche, dalle condizioni finanziarie sfavorevoli per famiglie ed imprese e dalle pesanti conseguenze derivate da eventi climatici eccezionali, prima fra tutti l’alluvione dello scorso mese di maggio.
Per l’Industria manifatturiera la produzione si assesta a +3,9% con ordini che non superano il +1,6%; nelle Costruzioni il volume d’affari registra un -0,2%, mentre nel Commercio al dettaglio le vendite, sospinte da una inflazione ancora non del tutto assorbita, fanno registrare un +2%. Il trend di crescita del valore aggiunto ravennate per il 2023 (+0,4%) rimane sotto a quanto previsto per l’Emilia-Romagna (+0,9%) e per l’Italia (+0,7), mentre per il 2024 (+0,6%) appare perfettamente in linea con quanto previsto in regione (+0,6%) e supererà di qualche decimale la media italiana (+0,4%).
Per l’Industria manifatturiera ravennate il volume della produzione realizza un tendenziale +3,9% (contro il +6,6% del 2022); anche sul versante della domanda si registrano deboli valori positivi rispetto ad un anno fa (+1,6% per gli ordini complessivi; era +6,2%) ed il maggior rallentamento si rileva per la componente estera (appena un +0,1%, rispetto al 2022, e l’anno prima era un robusto +6,6%). Si abbassano sia il periodo di produzione assicurata dagli ordini (da 14,6 settimane a 12,4 di fine 2023) che il tasso di utilizzo degli impianti (da 81,3% a 77,3%), con tutte le difficoltà da scontare del post-alluvione. In affanno l’Artigianato manifatturiero, sia sul fronte dei volumi produttivi (-0,6%), sia per i risultati del processo di acquisizione degli ordini (-1,3%) e l’anno precedente entrambi i risultati erano ampiamente positivi. Ben lontano dal risultato del 2022 (+5,1%) il comparto delle costruzioni registra un risultato medio negativo del fatturato nominale (-0,2%). Per il Commercio al dettaglio, come detto, le vendite risultano in moderato recupero (+2%), diffuso generalmente tra quasi tutte le tipologie analizzate (più penalizzata la piccola distribuzione), con una crescita media annuale superiore a quella del 2022, tenendo conto degli effetti inflattivi in graduale rientro.
Calano, rispetto ai risultati record conseguiti nel 2022, le esportazioni (-8,7%), in particolare quelle dirette verso i Paesi UE, su cui pesano le difficoltà di Germania, Francia e Spagna, si attende però, in una visione ottimistica, un miglioramento dei traffici ravennati sui mercati esteri (+2,1) per l’anno in corso.
Cresce la richiesta di cassa integrazione (+68,2%) da parte delle imprese ed, in particolare, la richiesta di CIG ordinaria, soprattutto nel 3° e 4° trimestre 2023.
Nel 2022 l’occupazione aveva avuto un andamento in positivo (+0,4%), tendenza che, secondo le proiezioni di Prometeia, prosegue anche nel 2023 (+0,3%). La crescita degli occupati in provincia di Ravenna è prevista anche quest’anno e con un rafforzamento del ritmo (+0,5%).
«Il costante aggiornamento e l’analisi sulle condizioni dell’economia ravennate sono cruciali per contribuire a disegnare e suggerire le misure più appropriate per una maggiore crescita economica”. Così Giorgio Guberti, presidente della Camera di commercio di Ferrara e Ravenna, che ha aggiunto: “Le imprese, per la Camera di commercio, sono al centro di un sistema di valori, non soltanto economici. Esse sono veicoli di crescita, di innovazione, di formazione, di cultura e di integrazione, ma sono anche agenti di libertà perché generano ricchezza e benessere diffuso. Occorre, dunque, affiancare le nostre imprese, sviluppando un contesto favorevole a farle crescere ed a esaltarne la capacità di trainare la ripresa economica, a cominciare dal creare una buona mobilità, investendo sulla sostenibilità e sbloccando opere attese da vent’anni anni, condivise con i territori e tutte le forze sociali. Due i driver di sviluppo prioritari per la Camera di commercio, valorizzare i giovani, risorsa essenziale per lo sviluppo sociale ed economico del territorio, accorciando la distanza tra loro e il mondo del lavoro e dell’impresa, e l’attivazione della Zona Logistica Semplificata, un volano di sviluppo per l’intero contesto produttivo, finalizzato a portare semplificazioni e incentivi per il sistema imprenditoriale, e attrazione di investimenti che diano impulso economico e logistico al territorio e stimolo al sistema portuale ed ai traffici mercantili marittimi. Un passaggio fondamentale per dare uno slancio alla crescita e alla fiducia, per generare valore pubblico e per creare quelle condizioni affichè gli imprenditori possano fare al meglio quello che sanno fare, sentendosi meno soli».
Dal 5 al 7 aprile in occasione della Grand Fondo Via del Sale
Da venerdì 5 a domenica 7 aprile, in occasione della Gran Fondo Via del Sale, Cervia ospiterà la Coppa della Grand Départ (la Grande Partenza) del Tour de France. Dal pomeriggio di venerdì gli appassionati potranno ammirare il trofeo, che sarà esposto al Fantini Club, patron dell’importante gara che il prossimo fine settimana richiamerà in città migliaia di ciclisti.
Il trofeo è stato creato nel 2013, in occasione dei 100 anni del Tour de France. Da allora, al termine di ogni edizione, viene consegnato dal Paese ospitante dell’edizione conclusa a quello del successivo anno.
Lo scorso luglio, al termine dell’ultima tappa del Tour de France, la comunità ospitante del Grand Depart 2024 (Regione Emilia-Romagna, Città Metropolitana di Firenze, Regione Piemonte e Città di Torino) lo ha ritirato, a Parigi, dalle mani dei rappresentanti dei Paesi Baschi.
Firenze lo ha conservato e amministrato fino allo scorso 21 marzo. In occasione dell’evento dedicato ai -100 giorni dalla partenza della Grande Boucle, a Palazzo Vecchio, Firenze lo ha consegnato nelle mani di Giammaria Manghi, Capo della Segreteria Politica della Presidenza della Regione Emilia-Romagna e coordinatore del calendario di eventi della Sport Valley emiliano-romagnola, di cui il Tour de France rappresenta il fiore all’occhiello. Da quel momento il trofeo è stato esposto nel palazzo della Regione a Bologna e domani arriverà a Cervia.
Dopo il weekend della Granfondo Via del Sale, verrà portato a Rimini per una settimana, e poi per la stessa durata di tempo a Cesenatico, quindi a Parma per due giorni. Successivamente tornerà a Bologna e si muoverà verso Piacenza, per poi lasciare l’Emilia-Romagna e approdare in Piemonte, prima di essere portato a Nizza per l’arrivo della corsa previsto il 21 luglio.
La Grande Boucle per la prima volta quest’anno partirà in Italia. Cervia sarà protagonista della seconda tappa del Tour (Cesenatico-Bologna), il 30 giugno, che attraverserà tutta la provincia di Ravenna. Qui il percorso completo con tutte le località toccate.
L’associazione Dis-Ordine, che svolge attività di promozione culturale e tutela delle specificità artistiche sul territorio, ospita dal 5 al 26 aprile in via Massimo D’Azeglio 42 a Ravenna, la mostra Graphic Beat, che fa parte di una serie di mostre con il Patrocinio del Comune che l’associazione ha dedicato al mosaico, alla fotografia, alla pittura e da ultimo alla grafica.
L’inaugurazione è in programma alle 18 di venerdì 5 aprile.
Il curatore della mostra Fabio Tramonti, illustratore e grafico a sua volta e socio del Dis-Ordine, ha ritenuto di proporre questa esposizione dei lavori grafici di Gian Piero Gerbella in virtù della sua caratterizzazione e della sua unicità nel panorama della grafica ravennate. Pur avendo lavorato per diverse tipologie di clienti, da aziende private all’ente pubblico, Gerbella in oramai 40 anni di attività, ha saputo mantenere una sua peculiare cifra stilistica in tutta la sua produzione. La grafica e l’illustrazione commerciale, oltre alla soddisfazione della committente, hanno – quando realizzate da competenti e capaci professionisti – una “mission” che è quella dell’educazione alla visione, «e si può parlare di una sorta di “poetica” di Gian Piero Gerbella, riconoscibile e riscontrabile in tutte le sue opere grafiche», si legge in una nota inviata alla stampa da Dis-Ordine.
Questa mostra, dedicata interamente alla parte “sonora” della produzione di Gian Piero Gerbella, è una sorta di percorso cronologico che racconta (nei limiti dello spazio disponibile) come e quanti festival, rassegne, concerti e dischi ha organizzato, prodotto e realizzato graficamente dal 1984 ad oggi.
Gian Piero Gerbella vive e lavora a Ravenna. Ha studiato alla scuola Albe Stainer e all’Istituto Europeo del Design. Dalle prime esperienze nella storica Supergruppo, alla fitta collaborazione con le agenzie del territorio. Suoi lavori, tra cui alcune campagne Nike Italy, sono stati pubblicati a più riprese su riviste di settore (Linea Grafica) e libri tematici sulla produzione grafica mondiale per le case editrici P.I.E.Books (Giappone) – Red Publishing (Italia). Con la propria Associazione Norma si è occupato di iniziative culturali e musicali sostenute da Assessorato alle Politiche Giovanili e circoscrizione 1 per le quali ha curato, tra l’altro, una mostra sulla Resistenza (Giovani, Belli e Resistenti) e seguito la formazione e la promozione dei gruppi musicali di base nella manifestazione Around The Rock, fino alla 25a edizione. Tra gli eventi più celebri, il Moondogs Rock and Roll Festival. Per il Comune di Ravenna e in due casi per Confcommercio, tra il 1986 e 1995 ha organizzato e promosso graficamente con Fabio Tramonti, Ravenna Blues Festival e In Centro c’è Spettacolo con decine di artisti durante il mese di settembre e spalmati in tutta l’area storica cittadina. Ha realizzato copertine di LP e Cd, soprattutto di musica Blues / Roots di autori italiani, Inglesi e americani prodotti in Italia. Ora, per quanto riguarda organizzazione, cura e immagine, progetta rassegne per i locali che lo ospitano assieme al partner in crime Mauro Ciancone.
Ravennate “di cuore”, lavora per la tv, in radio conduce Cater XL, è tra gli organizzatori del festival Ghe pensi mar. «Il ricordo più emozionante? Forse aver lavorato a un’edizione dei David di Donatello. Ma gli aneddoti davvero belli non posso dirli…»
San Marino Goodbye è il primo romanzo di Luca Restivo. Nato a Castel San Pietro ma ravennate di cuore più che d’adozione, Restivo è autore televisivo per La7, Sky e Rai, conduttore radiofonico ed è conosciuto da queste parti per essere tra gli organizzatori del festival estivo Ghe pensi mar, che da due anni porta al bagno Polka di Marina Romea alcuni dei nomi
più importanti del jet set nazionale. San Marino Goodbye (Blackie edizioni, 2024) è un romanzo umoristico, che parte da un’intuizione fantapolitica paradossale e azzeccata, di questi tempi: cosa succederebbe se la vilipesa e ridicolizzata Repubblica di San Marino decidesse un giorno di chiudere i suoi confini? Da questo spunto si dipana una narrazione surreale e grottesca, zeppa di personaggi idioti e particolari jacovittiani (ho contato più di 7 cappellini descritti), che mescola la commedia all’italiana con la Hollywood demenziale di Mel Brooks e Zucker-Abrahams-Zucker.
A partire da una semplice sbarra di dogana abbassata, l’escalation della stupidità è vertiginosa: un effetto domino che porterà il micro-stato sammarinese sul piede di guerra. Così San Marino diventa una lente d’ingrandimento per vedere meglio le nostre storture, ridere dei nostri tic e delle nostre nevrosi identitarie.
Dalla televisione alla narrativa. Come sei arrivato al romanzo?
«Faccio l’autore televisivo e mi occupo di intrattenimento e di commedia. Lavoro da qualche tempo con Alessandro Cattelan, per Stasera c’è Cattelan, ma ho collaborato anche con Crozza e con altri programmi comici. Tutti i programmi che ho fatto andavano in quella direzione: anche il programma radio che conduco, Cater XL, per Radio Rai 2, si occupa di vedere l’attualità in chiave, se non proprio satirica, almeno divertente. Questa è la cifra attraverso cui guardo il mondo, per deformazione forse, e mi è molto difficile mettere un altro paio d’occhiali. Quando ho trovato la storia che davvero mi convinceva, la chiave della satira è la prima che mi è venuta in mente».
Abiti a Milano ma sei molto legato a Ravenna. Che rapporto hai con la città? E come è nato il festival Ghe pensi mar?
«Metà della mia famiglia, quella da parte di padre, è di Ravenna, città in cui mi trovo benissimo. Quando vengo qua mi si stacca il cervello e mi rilasso. Conosco molte persone che vengono da Ravenna e dintorni, e tutti volevano realizzare qualcosa qui, in questi luoghi. Così, dopo la pandemia, abbiamo trovato un bagno, il Polka di Marina Romea, che ci ha dato ospitalità. Da lì è nato Ghe pensi mar, che è un modo per farsi pagare dal Polka una vacanza con gli amici di Milano, in cambio di qualche presentazione! A parte gli scherzi, l’idea è portare delle persone qua, farle star bene come solo si può stare da queste parti, parlare di cose serie e di cavolate, di sport, di spettacolo. Il fatto che siano gli stessi ospiti a chiamarci per venire l’anno seguente vorrà dire qualcosa».
Lavorando in televisione ne devi aver viste delle belle. Ci racconti un aneddoto divertente sul tuo lavoro come autore televisivo?
«Volendo fare ancora per molto tempo questo lavoro, le cose davvero belle non posso dirle. L’unica cosa che voglio dire è che in oltre 12 anni di esperienza e di copioni da dover stampare all’ultimo, le fotocopiatrici di ogni redazione televisiva sembrano intuire la necessità dell’urgenza e si inceppano sempre nel momento peggiore. Spesso a pochi minuti dalla diretta quando tutti, dal regista fino all’ultimo cameraman, urlano di volere il copione. Non sta a me giudicarmi come professionista, ma credo di essere tra i migliori riparatori di fotocopiatrici autodidatti d’Italia».
C’è un programma a cui hai dato un contributo di cui vai particolarmenteero, a cui ripensi sempre con soddisfazione?
«Ho avuto la fortuna di lavorare con artisti che sono dei personaggi incredibili sia in scena che fuori. Amando molto il cinema, aver avuto l’opportunità di lavorare a un’edizione dei David di Donatello è forse il ricordo più emozionante. Il momento rimasto indelebile di quella serata fu il ringraziamento “infinito” di Valeria Bruni Tedeschi sul palco, un numero perfetto in quanto del tutto improvvisato».
Parliamo del tuo libro. Da dove ti è venuta questa insana passione per la Repubblica “più antica del mondo”? I suoi usi e costumi sono descritti nel dettaglio: devi aver studiato tanto.
«Sì, ho iniziato a lavorare al romanzo nel 2017. Ci ho messo appena sette anni per portarlo a termine! San Marino mi ha sempre interessato. Quand’ero piccolo c’era questa leggenda metropolitana sui sammarinesi che non pagavano le multe e potevano andare forte con la macchina, parcheggiare ovunque. Ma il romanzo nasce perché volevo raccontare la cosa che mi fa più ridere in assoluto: l’ottusità. Non c’è nessuno di più ottuso di un burocrate, e nessuno più di un burocrate che lavora in una dogana. Ho pensato: qual è la dogana più assurda che possa esistere? Quella di un micro-stato. E il micro-stato più vicino a me è San Marino. Sono andato a farci un giro, da solo, e quando ho visto che sulla dogana di San Marino sta scritto, a caratteri cubitali, Benvenuti nell’antica terra della libertà, ho capito che era il luogo perfetto. Così ho iniziato a leggere tutto quello che riguardava la storia di San Marino, che ha passato vicende incredibili. Indipendente dal 301 d.C.; una popolazione pari a quella di Lugo, ma con una corte costituzionale, un parlamento, due presidenti, un carcere… Un sistema gigantesco per poche persone, ma al quale sono tutti molto attaccati. Il valore della libertà è molto sentito».
Colpisce la grande quantità di personaggi che fai agire nella storia: doganieri, coppie di tiktoker, nostalgici fascisti, giornalisti, piccoli e grandi burocrati ministeriali…
«Volevo scrivere una satira sul potere e sulla stupidità umana, che è alla base del 99% delle nostre azioni. Ma il potere è sempre distribuito fra tante persone: ognuna concorre all’idiozia generale. Così ho preso spunto dalla migliore tradizione cinematografica italiana, Monicelli, Germi; ma anche da film più recenti, come Siccità di Virzì o Don’t look up!, di Adam McKay, che partono da un what if gigante, condiviso fra tanti personaggi. La coralità era la chiave giusta. Viviamo in un’epoca in cui è facile trovare un capro espiatorio. Ma io non ci credo, credo che la colpa sia di tutti. E per dire che la colpa è di tutti, servono tanti personaggi».
Scrivere per la televisione ti ha formato, dal punto di vista letterario? Se sì, in che modo?
«Mi ha aiutato a capire che per il tipo di romanzo che volevo scrivere (non dico che per tutti debba essere così, ma lo è per me) usare un linguaggio semplice ma mai semplicistico era un obiettivo da tenere sempre a mente».
Maestri letterari?
«Il primo Ammaniti, Jonathan Coe».
Hai altri progetti in mente?
«Poche storie, non tantissime. Non sono affascinato dalla serialità. Poche cose, che vorrei cercare di fare al meglio. Ma lo sguardo sarcastico da stronzetto ce l’avrò sempre. Difficile che possa scrivere un dramma famigliare…»
Nel libro hai inserito una citazione di Giuseppe Cruciani: “Oggettivamente San Marino non ha senso di esistere”. Sei d’accordo?
«No! Hanno resistito così tanto, non vedo motivi per interrompere adesso la loro storia secolare. Almeno finché il libro è in vendita».
Il regista e maestro di animazione Enzo d’Alò sarà l’ospite speciale della rassegna. In gara oltre sessanta pellicole da 19 paesi diversi, proiettate a partire dall’11 aprile
Enzo D’Alò
Il festival internazionale Corti da Sogni-Antonio Ricci giunge alla 25esima edizione e celebra la ricorrenza introducendo una nuova sezione intitolata al grande attore romagnolo Ivano Marescotti. Il premio andrà alla migliore interpretazione nell’ambito dei corti italiani finalisti e vuole ricordare la figura di Marescotti, il suo grande impegno e l’entusiasmo nel formare e lanciare i giovani nel campo del teatro e del cinema. L’ospite speciale dell’edizione sarà invece à il pluripremiato regista Enzo d’Alò, maestro del cinema di animazione, che terrà una masterclass con gli studenti delle scuole superiori e parteciperà alla serata finale del festival.
Le proiezioni dei corti in gara inizieranno giovedì 11 aprile, al cinema Mariani, per poi proseguire dal 16 al 20 tra il cinema e il teatro Rasi. Ad aprire la gara, i corti a tema ambientale della sezione Green Planet, in visione anche la prossima estate all’Arena del Sole di Lido di Classe
Hanno partecipato al concorso internazionale quasi 1.000 cortometraggi: di questi, 64 sono stati selezionati per la fase finale, in rappresentanza di 19 paesi. Le nazioni più rappresentate sono Italia, con 18 corti in concorso, seguita da Francia con 9, Spagna con 7, Iran con 6 e Germania con 4. Figurano poi opere provenienti da Polonia, Slovenia, Regno Unito, Israele, Turchia, Canada, Australia, Romania, Usa, Cina, Giappone, Corea del Sud, Egitto, Olanda, Irlanda.
Le sezioni in concorso per l’edizione 2024 sono:
European Sogni Award (per i lavori europei), con una giuria composta da Matteo Cirillo (Autore, attore, regista) Tiziano Gamberini (Cinemaincentro e Cinema Mariani), Edo Tagliavini (regista), che vedrà in gara i seguenti titoli: Grass on your class di Claire Barrault (Francia); Actos por partes di Sergio Milán (Spagna); See you soon di Jules Renault (Francia); La Reproduction di Jean-Marie Villeneuve (Francia); Calf di Jamie O’Rourke (Irlanda), La gran Obra di Lora Alex (Spagna); On the Police’s account di Romain Tamino Forge (Francia); How to bury a fish di Elsa van Damke (Germania); The Inheritance di Marian Fărcuț (Romania); Your scissors near my ears di Carlos Ruano (Spagna); Ecroma Teio di Frédéric Uran, Kevin Poezevara (Francia).
Sogni D’Oro (riservata ai corti internazionali), con Federica Ferruzzi (responsabile comunicazione Ravenna Teatro) in commissione insieme a Franco Savelli (membro del circuito Europa Cinemas) e Andrea Valmori (direttore artistico del Noam Film Festival, docente e divulgatore culturale). I corti in concorso sono: Skin di Leo Behrens (USA), Spider–Zan di Maryam Khodabakhsh (Iran); You look gorgeous di Ruichen Zhang (China); The gold teeth di Alireza Kazemipour (Iran); Gift di Yuichiro Nakada (Giappone); I promise you Paradise di Morad Mostafa (Egitto); Busan, 1999 di Thomas Percy Kim (South Korea).
Il Premio Giuseppe Maestri per le opere di animazione vede in concorso Scale di Joseph Pierce (Inghilterra), In the shadow of cypress di Hossein Molayemi, Shirin Sohani (Iran); Daisy di Aditi Dixit, Joffrey Atienza Zamora, Shecid Domínguez Aguilera (Spagna); Spring Waltz di Stefano Lorenzi, Clelia Catalano (Italia); Extinct di Raúl Díez Rodríguez (Spagna); Wait for me in a dream di Natalia Durszewicz (Polonia); Deadline di Gilboa Idan (Israele). A giudicarle, Angelina Maestri, Flavio Fabbri, Camilla Panebarco, Silverio Piolanti e Virginia Gambatesa.
I corti di fiction italiana in conrosco per Smade in Italy sono: My name is Aseman di Ali Asgari e Gianluca Mangiasciutti; Ultraveloci di Paolo Bonfadini, Davide Morando; Sei mesi dopo di Chiara Sfregola; La legge del mercato di Alessandro Panza; Scam Poetry di Carlo Piscicelli; Reem Al Shammary: The Bedouin Boxeur di Mattia Ramberti; Menomale di Alberto Palmiero; La petite mort di Emanuele Daga; SeMe di Lucia Bulgheroni, e saranno valutati da Alberto Beltrani (consigliere delegato del circuito sale Cinemaincentro e vicepresidente di Fice Emilia-Romagna), Paolo Galassi (regista), Corrado Ravaioli (giornalista ed esperto di comunicazione).
Der frau ein wolf di Fragale Fabiana (Germania), Katvoman di Hadi Sheibani (Iran), Amaranta di Jessica Mariani (Italia), Hi Grandpa di Aleksander Pakulski (Polonia), Chimborazo di Keila Cepeda (Spagna), Others remeined silent di Matic Štamcar (Slovenia), The steak di Kiarash Dadgar Mohebi (Iran), Malyshka di Daniel Peña (Spagna), Hardflip di Katharina Sporrer (Germania) sono invece le pellicole realizzate in scuole di cinema, in gara per Film School, valutate dalla speciale giuria della I C Liceo scientifico Oriani di Ravenna, coordinata dalla professoressa Angela Malfitano.
La sezione Green Planet vedrà invece come giudici alcuni esperti del mondo scientifico, come la fisica quantistica e docente alla Saarland University Giovanna Morigi, Pierluigi Randi (meteorologo e presidente di Ampro) e la scienziata ambientale Vanessa Spadavecchia. Le pellicole a tema “green” di quest’anno sono: The last rhino di Guillaume Harvey (Canada); Sirens di Ilaria Di Carlo (Italia); Footprint di Mustafa Alami (Iran); Un animal di Kevin Lameta (Francia); Enjoy your meal di Kienzle Sofie, Manzke Christian (Germany); Panier de Crabes di Certain Sylvain (Francia); On the 8th Day di Agathe Sénéchal, Alicia Massez, Elise Debruyne, Flavie Carin, Théo Duhautois (France); La montee di David Tessier; Il Binario Morto di Antonio Maciocco (Italia).
La classe III E scuola media Ics Novello, coordinata dalla professoressa Caterina Sansoni, valuterano le opere in gara per “I mitici critici”: Bezorgd di Ruud Satijn (Olanda); Niente di Eugenia Costantini (Italia); Amina di Serena Tondo (Italia); Take care of yourself di Sarah Jane Lessio (Italia); Ovo di Stiv Spasojevic (Francia); Tre ragazzi di Gianfranco Boattini (Italia). La II E dell’istituto Montanari, sotto la guida della professoressa Viviana Marchetti saranno la giuria dei corti Enjoy your meal di Christian Manzke (Germania); Kreta the Time Traveler di Ilgın Saçan, Gülşah Özdemir Koryürek (Turchia); For you di Luca Paulli (Italia); Grogh. Story of a beaver di Gianni Zauli e Alberto Baioni (Italia); The last rhino di Carl-Emmanuel Blanchet (Canada); On the 8th Day di Agathe Sénéchal, Alicia Massez, Elise Debruyne, Flavie Carin, Théo Duhautois (Francia); Bird Drone di Radheya Jang Jegatheva (Australia), per la sezione Green School.
Il nuovo premio “Ivano Marescotti” sarà rappresentato da un busto raffigurante l’attore realizzato dagli studenti del Liceo Artistico Nervi-Severini e vede in lizza cinque candidati: Jamak Sotoudek (protagonista del cortometraggio My name is Aseman), Stefano Tetti (protagonista di di Ultraveloci), Valentina Martone e Alberto Palmiero (interpreti di Menomale) e Riccardo Martone (protagonista di La petite mort). A decretare il vincitore, una giuria composta da Matteo Cavezzali (scrittore e fondatore e direttore artistico del ScrittuRa festival), Lucia Vasini (attrice teatrale e cinematografica) e dal regista Riccardo Marchesini.
Tra i riconoscimenti, anche Creatività in corto, un premio che va al cortometraggio più apprezzato dal pubblico.
Tra gli eventi collaterali di “Corti da Sogni”, la masterclass di Enzo d’Alò, sabato 20 aprile al cinema Mariani, dedicata agli studenti delle scuole superiori. Il maestro del cinema d’animazione presenterà il suo ultimo film: Mary e lo spirito di mezzanotte, in cui la protagonista è Mary, una ragazza di 11 anni con un’incontenibile passione per la cucina e la nonna Emer, con cui ha un rapporto davvero speciale, che la incoraggia a realizzare il suo sogno. Si rinnova anche l’appuntamento con i corti italiani e internazionali selezionati dall Fice (Federazione dei Cinema d’Essai): quest’anno le tre pellicole scelte sono Caramelle, di Matteo Panebarco, un corto di animazione in 3D che narra la storia di un legame famigliare intergenerazionale che supera i confini di vita e morte, Recomaterna, di Giuseppe Sangiorgi, una dedica all’infanzia, età meravigliosa e terribile a un tempo, legata alla figura dei nonni e Le variabili dipendenti, di Lorenzo Tardella, la pellicola vincitrice del David di Donatello 2023 che esplora con delicatezza le incertezze dell’adolescenza attraverso gli occhi dei protagonisti.
Durante il Festival sarà presentato anche un cortometraggio realizzato dalla IV e V H (indirizzo multimediale) del liceo artistico Nervi Severini che, durante tutto l’anno scolastico, hanno seguito corso di cinema tenuto dal regista Edo Tagliavini, in collaborazione con gli insegnanti Nicola Caruso, Claudio Marcone, Dorina Pignatelli e Luana Vacchi.
Corti da Sogni è organizzato in collaborazione con il Comune di Ravenna – assessorato alla Cultura e la società Cinemaincentro, con il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e in collaborazione con la Uicc e l’associazione Solaris.
«Ravenna sul tema dell’archeologia industriale ha fatto scelte molto importanti»
Foto di Adriano Zanni
Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta del sindaco Michele de Pascale sulle torri Hamon:
«Le torri Hamon rappresentano a Ravenna un dibattito aperto da decenni; personalmente sono tra quei ravennati che vivono con nostalgia l’idea di perdere questo tratto ormai identitario del nostro skyline. In particolare mi sono molto riconosciuto nelle parole dell’ex sindaco Vidmer Mercatali, che credo conosca la vicenda di allora meglio di chiunque altro.
Tuttavia credo che ci siano delle circostanze nelle quali è necessario prendere atto della realtà dei fatti più che dei nostri auspici, seppur legittimi – e in questo caso per quanto mi riguarda anche condivisibili, e lo dico nel rispetto di tutte le opinioni che si sono espresse in questi giorni sia quelle a favore che quelle contrarie all’abbattimento – infatti ci troviamo davanti ad alcuni elementi oggettivi che non possono essere ignorati:
1. lo stato di eccezionale vetustà delle torri, che erano ammalorate già negli anni ‘90;
2. la condizione di inquinamento dell’area dove sorgono le torri, che rende proibitiva qualsiasi forma di rigenerazione urbana con usi civili;
3. la prossimità con impianti portuali che gestiscono prodotti incendiabili a rischio rilevante;
4. l’enorme costo di un’eventuale ristrutturazione e bonifica che dovrebbe essere finalizzato al mero mantenimento e non alla fruizione. Tutte le proposte rispetto a eventuali funzioni civili, ricreative e dello spettacolo, seppur suggestive, sono infatti totalmente incompatibili con lo stato di inquinamento dell’area e con la prossimità con attività petrolifere e chimiche a rischio rilevante.
In aggiunta a questi dati, purtroppo oggettivi, va aggiunto che nessuno nella storia della città ha mai ravvisato gli estremi per apporre un vincolo architettonico sulle torri Hamon, né gli strumenti urbanistici preesistenti del Comune di Ravenna, né la Soprintendenza, alle cui competenze ci dobbiamo rimettere anche oggi.
Nel momento in cui l’Autorità portuale ci ha confermato l’intendimento di andare avanti col progetto del parco fotovoltaico – che per diverso tempo è sembrato a serio rischio – ed Eni ci ha formalizzato con una CILA l’intenzione alla demolizione, proprio per l’alta rilevanza sociale che pensiamo rivestano le torri, ho immediatamente dato comunicazione a tutta la comunità perché giustamente si potesse aprire un dibattito pubblico fra istituzioni e cittadini.
Ravenna sul tema dell’archeologia industriale ha fatto scelte molto importanti: il museo Classis è uno dei progetti di recupero industriale più significativi in Italia, l’Almagià è stato ai tempi un intervento premonitore ed è oggi oggetto di un ulteriore intervento di riqualificazione attraverso l’Atuss, alcuni interventi privati di grande qualità architettonica lungo la Darsena a cui presto si unirà l’area ex-Cmc.
E in questo senso se dovessi focalizzare oggi una sfida aperta, sicuramente sarebbe rappresentata dal Sigarone, anche con una doverosa revisione delle scelte operate in passato in termini di maggiore attenzione a non alterare la forma architettonica originale e a una finalizzazione ad usi maggiormente pubblici.
Purtroppo per quanto riguarda le torri Hamon oggi la scelta a cui ci troviamo presumibilmente davanti è quella tra due fabbricati oggi fatiscenti, che progressivamente perderebbero anche la loro immagine originale andando verso la totale rovina, o una progettualità ecosostenibile finanziata dal Pnrr che rifunzionalizzi l’area e la renda sicura da un punto di vista ambientale, comprensibilmente ritenuta non compatibile con il mantenimento delle torri da parte dell’Autorità portuale.
Gli aspetti culturali sono insiti in qualsiasi attività dell’uomo, questa riflessione che vale ovviamente per la memoria architettonica degli edifici e dei segni nel paesaggio e dunque, anche se le torri rappresentano da un lato la crescita industriale di Ravenna e dall’altro un’epoca in cui l’industria era nociva per la salute, simbolizzano comunque un elemento culturale importante; allo stesso modo è culturalmente rilevante ed evocativo il fatto che dove c’era una raffineria petrolifera, segno nel contempo del lavoro e dell’inquinamento, sorga oggi non solo un parco fotovoltaico, ma un impianto innovativo anche finalizzato alla produzione di idrogeno verde.
Questo dà il senso di come la Ravenna che ieri dall’essere solamente agricola è diventata industriale, oggi, a distanza di un secolo, rilancia verso il futuro; anche questo aspetto racchiude non solo una valenza economica e climatica, ma anche una valenza culturale».
La struttura sostituirà le attuali primarie Ceci e Gulminelli, accorpandole in un unico edificio all’avanguardia e ampliando l’offerta formativa
È stato approvato il progetto definitivo per la costruzione della nuova scuola elementare di Ponte Nuovo, che sarà realizzata grazie a un finanziamento Pnrr di 9.130.000 euro ottenuto dal Comune.
Si tratta di un edificio a due piani che occuperà una superficie coperta di 2540 metri quadri, all’angolo tra via del Pino e via 56 Martiri, accanto al polo per l’infanzia per bambini da 0 a 6 anni che sarà finanziato con fondi Inail. Il progetto è già stato consegnato alla ditta responsabile e l’obiettivo finale è quello di vedere la scuola terminata e collaudata entro il 30 giugno 2026.
«Come noto – ricorda l’assessora ai Lavori pubblici Federica Del Conte – non solo la nuova scuola sostituirà, accorpandole, le attuali primarie Ceci, che accoglie le prime e le seconde, e Gulminelli, frequentata dalle classi terze, quarte e quinte, ma la sua realizzazione consentirà di poter aumentare l’offerta formativa e portare a tre il numero dei corsi. Comprenderà inoltre anche la mensa con cucina e la palestra, che sarà a servizio dell’intera collettività. Complessivamente, tenendo conto di un numero massimo di bambini per aula pari a 25, la nuova scuola sarà in grado di ospitare 375 alunni. Con il vicino polo per l’infanzia 0 – 6 costituirà un unico polo scolastico per la fascia 0 – 12 e un importantissimo centro di servizi per la nostra comunità».
Il progetto prevede che il sistema della didattica si concentri sulla parte esposta a nord-ovest, mentre i blocchi mensa e cucina saranno posizionati ad ovest per consentire un accesso in sicurezza dei mezzi di servizio.
Ci saranno cinque blocchi autonomi, collegati ad un connettivo che ruoterà intorno ad una corte centrale, creando le condizioni per un suo utilizzo flessibile e garantendo un sistema della fruizione dei flussi dei bambini adeguato alla dimensione della scuola. Gli spazi esterni saranno valorizzati in funzione didattica e gli impianti sono stati progettati con la massima attenzione al contenimento dei consumi e all’impiego di energie rinnovabili.