Addio a Matteucci, il sindaco che ha traghettato la città attraverso la crisi

Dalle ordinanze sulla sicurezza alla Moschea, da “uomo di partito” a “sceriffo”, dall’attenzione al welfare all’ossessione (buona) per il ricambio generazionale: un ritratto dell’uomo scomparso per un malore a 63 anni

A pochi giorni dal suo 63esimo compleanno, un infarto si è portato via l’ex sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci. Nella mattinata di domenica 16 febbraio la notizia ha sconvolto la città: Matteucci era stato sindaco fino al 2016 e il suo volto è noto anche ai più giovani.

Ma chi è stato e cosa ha rappresentato per la città Matteucci? La sua è stata una vita per la politica. Figlio di quella generazione in cui il partito poteva rappresentare un ideale ma anche darti un lavoro e una carriera, Matteucci fin da ragazzo ne ha fatto parte iscrivendosi al Pci a 16 anni e facendosi coinvolgere al punto da non finire l’università e fermarsi alla maturità classica. È stato consigliere comunale, provinciale, regionale prima di diventare sindaco di Ravenna nel 2006. Era stato dirigente nazionale della Fgci, e nel partito segretario provinciale e poi regionale, incarico da cui si dimise dopo la storica sconfitta della sinistra alle amministrative di Bologna nel 1999.

Ravennate doc, residente in Darsena, Matteucci era conosciuto e apprezzato da tutto il mondo politico cittadino per la sua umanità e indiscussa onestà. Non a caso fu candidato a sindaco di Ravenna in un momento in cui il suo nome poteva unire e placare ambizioni personali di altri. Vinse con un voto a valanga, che sfiorò il 70 percento dei consensi (superando il 54 cinque anni più tardi), dopo una lunga campagna elettorale che lo portò ovunque sul territorio. Con lui, dopo dieci anni di pragmatismo di Vidmer Mercatali, vinse anche un’idea di politica più dialogante, più colta e raffinata, anche se gli oppositori, che pure lo stimavano, avevano gioco facile a dire che si trattava di un “prodotto del partito”.

In realtà, con l’andare degli anni, Matteucci si rivelò più autonomo del previsto da via della Lirica, tanto da arrivare anche a vere e proprie frizioni, come sul “caso Marina”. Sicuramente si trattò dell’intervento che più ha segnato i suoi dieci anni da Primo cittadino. Una serie di ordinanze che portarono a un drastico ridimensionamento del fenomeno degli happy hour e delle “feste danzanti” motivate dal sindaco innanzitutto per limitare gli eccessi del cosiddetto sballo che accompagnava i fine settimana della località. Qui Matteucci ha sfoderato il suo lato di sindaco “sceriffo” che lo porterà alle cronache nazionali e riguarderà non solo i lidi, ma anche la città. Ordinanze contro chi chiedeva spiccioli nei parcheggi, ordinanze per regolamentare la vendita di alcol di alcuni esercizi commerciali fino all’annuncio di essere andato a fotografare personalmente i clienti delle lucciole a Lido di Classe. A Matteucci si deve l’iniziativa, oggi spesso contestata a sindaci leghisti, di togliere le panchine dalla zona della stazione per evitare assembramenti (principalmente di cittadini stranieri). Nel suo secondo mandato, accorpò, anche qui creando non pochi mal di pancia a sinistra, le deleghe di sicurezza e immigrazione. Nel 2014 fece scalpore una sua dichiarazione in cui chiedeva limiti e regolamentazioni per l’ingresso degli stranieri. A contatto tutti i giorni con i cittadini, Matteucci era convinto che i temi relativi alla sicurezza non si potessero lasciare in mano alla destra ma andassero governati anche dalla sinistra, senza tentennamenti.

Allo stesso tempo, tuttavia, si fece promotore anche di battaglie non proprio popolari: difese a spada tratta la moschea che inaugurò durante il suo secondo mandato (e oggi c’è chi vorrebbe che via Guido Rossa diventi via Fabrizio Matteucci) e portò avanti una battaglia personale per migliorare le condizioni, allora pessime, dei detenuti di via Port’Aurea. Non solo, sostenne numerosi progetti di accoglienza e integrazione. Tra le battaglie care alla sinistra sposate dal primo cittadino c’è sicuramente quella per le Unioni civili, rispetto alla quale Matteucci si spese personalmente. Molte, in generale, le battaglie simboliche, gli atti a costo zero, la visibilità conquistata anche sui social con interventi quasi quotidiani su temi diversi. Al sindaco “sceriffo” si affianca ben presto quello “paterno” che vuole proteggere, educare, salvare i giovani, che sono la sua vera e propria ossessione. E se anche questo atteggiamento, soprattutto se declinato sul lato Marina di Ravenna, è stato più volte oggetto di critiche anche all’interno del suo stesso partito (tanto che Michele De Pascale durante la propria campagna elettorale per succedergli scelse una linea di discontinuità piuttosto netta su questi temi), gli va invece dato merito di essere stato tra i politici che hanno concretamente cercato di far crescere una nuova generazione di amministratori, ma anche di organizzatori, artisti, protagonisti della vita pubblica cittadina a vari livelli.

Non a caso, resta forse infatti il suo più grande merito la candidatura a capitale europea della cultura che per anni ha coinvolto forze ed energie in un grande progetto collettivo, un sogno proprio incentrato su teatro, musica, letteratura, arte. Anche questo a costi ridottissimi. Perché ciò che va sempre ricordato è che Matteucci è stato sindaco negli anni della crisi più dura, quelli del fallimento di una realtà come Iter, in cui le risorse per i comuni continuavano ad assottigliarsi. Da qui gli atti più eclatanti, come la promessa (non mantenuta) di abolire la mini-Imu per i ravennati e sforare i patti di stabilità, ma anche quelli meno visibili ma forse più concreti: il mantenimento della spesa per il welfare. Come non fossero bastati i vincoli di bilancio, fu lui a dover affrontare il cosiddetto “buco” del Consorzio per i servizi sociali (con risorse extra da trovare per pagare prestazioni non previste).

A lui si deve certo la realizzazione della piazza Kennedy pedonale, l’elemento più incisivo del suo mandato dal punto di vista urbanistico insieme all’apertura di piazzetta Unità d’Italia e l’avvio del cantiere del Mercato Coperto. Suo è stato anche il taglio del nastro di Marinara, la posa della prima pietra dell’hotel Mattei, ma si tratta di eredità di un passato, peraltro piuttosto ingombrante.

I suoi sogni di rilancio della Darsena (come non ricordare il viaggio per incontrare l’archistar Calatrava a cui avrebbe voluto affidare lo scavalco della stazione) si sono infranti contro la crisi e la mancanza di denaro anche per tappare le buche.

E tra le difficoltà di quel periodo non si può non citare la terribile perdita per Mattuecci di un amico, ma anche dell’assessore più forte della sua seconda squadra: Gabrio Maraldi, ucciso anche lui per un malore improvviso, nel 2012.

Quando si valutano dunque i dieci anni di Matteucci è imprescindibile tener conto del contesto difficilissimo per tutti i primi cittadini a cui si è aggiunta la crisi della rappresentanza tradizionalmente intesa e del partito stesso.

Uomo della “ditta”, sposò comunque, con ritardo, la causa renziana e non fu mai tentato da possibili scissioni, nemmeno per il compagno di battaglie politiche di una vita Vasco Errani o Pier Luigi Bersani. Da lui non è mai arrivata una parola di critica verso chi lo aveva preceduto e ha mantenuto la promessa di non intervenire sull’operato di chi gli è succeduto.

Dopo dieci anni sotto i riflettori da protagonista, ha ricoperto l’incarico di direttore regionale dell’Anci in disparte dalla vita pubblica, dedicando più tempo alla sua amatissima moglie, Simona (sempre lontana dai riflettori, sempre al suo fianco negli anni da primo cittadino) e al figlio Sayo, oggi adulto, bambino al tempo della prima elezione. Ma anche da “dietro le quinte” è rimasto sempre un punto di riferimento per chi invece fa politica attiva, come ha rivelato proprio il sindaco De Pascale: «La sua era sempre l’ultima telefonata della sera o la prima della mattina, per confrontarci. E non ti faceva mai pesare quando sceglievi una strada diversa da quella che avrebbe preso lui».

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