Legambiente lascia il Patto per il clima della Regione: «Non c’è coerenza»

L’associazione ambientalista cita alcuni temi che hanno portato alla decisione dopo due anni e mezzo di esperienza: il rigassificatore di Ravenna, la scarsa attenzione alle rinnovabili, il consumo di suolo ammesso dalla legge urbanistica

Le campagne di Bagnacavallo dopo l'alluvioneLa sezione regionale di Legambiente in Emilia-Romagna ha deciso di uscire dal gruppo di organizzazioni firmatarie del cosiddetto “Patto per il lavoro e il clima” promosso dalla Regione Emilia-Romagna. «La scelta è maturata a seguito del confronto tra i livelli dell’associazione dopo un’esperienza durata due anni e mezzo – si legge in una nota di Legambiente – ed è legata soprattutto alla mancanza di coerenza tra gli obiettivi indicati nel Patto e le azioni realizzate dalla Regione».

Il Patto è stato sottoscritto dalla Regione insieme a enti locali, sindacati, imprese, scuole, atenei, associazioni ambientaliste, terzo settore e volontariato, professionisti, Camere di commercio e banche. L’obiettivo dichiarato è il rilancio e lo sviluppo dell’Emilia-Romagna fondati sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale con l’obiettivo della completa decarbonizzazione entro il 2050.

L’episodio più emblematico della mancanza di coerenza della Regione, secondo l’associazione ecologista, è stata l’accoglienza che è stata data al nuovo rigassificatore di Ravenna: «Un impianto che ben poco ha a che fare con la transizione energetica che invece imporrebbe l’abbandono dei combustibili fossili in tempi rapidi. Invece di cogliere l’opportunità della crisi russo-ucraina, la Regione ha scelto di appoggiare la strategia della diversificazione dei Paesi di approvvigionamento del gas, una strategia che, per i tempi che sono stati indicati nei provvedimenti autorizzativi dei nuovi impianti, vincolerà il Paese per decenni alle risorse fossili». La concessione per il rigassificatore al largo di Punta Marina è infatti di 25 anni.

Legambiente ritiene che sia mancato anche un chiaro indirizzo a supporto degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili: in particolare per quello che riguarda gli impianti eolici, dalla Regione e dai firmatari del Patto è mancata un’azione chiara e coerente finalizzata al miglior inserimento di tali impianti nei contesti territoriali dell’Emilia-Romagna.

Tema ulteriore rispetto al quale Legambiente ha manifestato preoccupazione nel tempo è il consumo di suolo. «Nonostante le finalità enunciate in fase di approvazione della legge urbanistica regionale 24/2017, tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale, come ricordato recentemente da Paolo Pileri. Ha costituito un segnale particolarmente negativo in questo senso l’approvazione di proroghe ai termini di attuazione delle previsioni urbanistiche previgenti alla nuova legge che, negli anni passati, hanno consentito di prolungare la validità dei vecchi Prg e Psc: questo ha portato alla prosecuzione di interventi urbanistici previsti da anni che, tra l’altro, non verranno nemmeno computati nell’ammontare del consumo di suolo consentito dalla nuova legge».

Anche gli eventi alluvionali nel mese di maggio in Romagna sono stati motivo di riflessione per Legambiente: «Come ha sottolineato il segretario dell’Autorità distrettuale di Bacino del Po, non occorre ripristinare la situazione preesistente, ma è necessario riprogettare e ampliare gli spazi a disposizione dei fiumi in modo da ridurre il rischio: questo significa rivedere le logiche che hanno guidato la pianificazione territoriale in passato, e quindi restituire spazio ai fiumi anche delocalizzando insediamenti oggi collocati in aree prossime ai corsi d’acqua. Non abbiamo apprezzato il riferimento sprezzante di amministratori pubblici alle organizzazioni ambientaliste additate come responsabili di ostacoli alla realizzazione di opere per la sicurezza del territorio».

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