Caso, cantautore tra nostalgia e paternità: «Quello che cerco è l’empatia»

L’artista bergamasco presenta il nuovo disco a Ravenna: «Negli anni i miei fan sono diventati quasi ultrà, si riconoscono in quello che scrivo. E mi somigliano»

CasoIl bergamasco Andrea Casali, in arte semplicemente Caso, è uno dei migliori cantautori italiani, di quelli che ancora danno più importanza alle parole rispetto alla musica, in grado di rendere universali momenti di vita comune. Lo scorso novembre è uscito Ad ogni buca, quinto album da solista, che ha già presentato da queste parti in gennaio, al Bronson Cafè. Tornerà però a esibirsi con la sua band a Ravenna, al Moog, giovedì 28 febbraio.

Lo abbiamo intervistato, contattandolo al telefono appena uscito dall’istituto professionale dove insegna da pochi mesi. «È una nuova esperienza – dice –, al momento sto cercando di tenere nascosto ai ragazzi che faccio il cantautore, anche se qualcuno ci ha già provato a dirmi che canto bene…».

Caso BandTorni a poco tempo di distanza in Romagna, e in particolare a Ravenna, dove hai di fatto ambientato anche una tua canzone…
«Il legame parte appunto da “Lario”, la mia canzone ispirata a “Morti di sonno” (pluripremiato romanzo a fumetti dell’illustratore ravennate Davide Reviati, che ha disegnato anche la copertina del penultimo disco di Caso, l’acclamato Cervino, ndr). L’anno scorso in occasione del mio concerto sempre al Moog ho avuto modo di incontrare personalmente Davide con cui ho fatto anche un giro al “villaggio” (l’ex villaggio Anic, il quartiere periferico di Ravenna dove è ambientato Morti di sonno, ndr), ritrovando in quei tubi, quei fossati, quei panorami, le atmosfere del libro, e di conseguenza anche della mia canzone. È stato bello».
Cosa rende un concerto speciale dal tuo punto di vista?
«Da sempre ho due facce dal vivo, una prettamente acustica, spesso in solo, l’altra elettrica, con basso e batteria (come in questo tour e quindi anche al Moog, ndr). Ma in entrambi i casi quello che cerco è l’empatia col pubblico, quindi in genere preferisco i posti più piccoli, dove si può creare un rapporto diretto con gli spettatori, a volte veri e propri botta e risposta tra una canzone e l’altra. Quando funziona è qualcosa di potentissimo, quando non scatta, invece, è il concerto classico, che mi interessa di meno».
Mi pare che tu sia arrivato a un punto della carriera in cui resti sconosciuto a tanti ma sei sempre più adorato da quei “pochi” che ti seguono, soprattutto dopo l’uscita di Cervino, tre anni fa. Cosa ne pensi?
«Con gli ultimi due dischi diciamo che la mia popolarità è un po’ aumentata, anche se resto come hai detto tu, un nome di nicchia. Negli anni ho costruito e sono riuscito a tenermi stretto il mio pubblico, magari non tanto ad ampliarlo, ma a renderlo sempre più affezionato, sono diventati quasi degli ultrà. Evidentemente si riconoscono in quello che scrivo: spesso quando conosco le persone che ascoltano la mia musica, che mi seguono, in effetti mi rendo conto che mi somigliano proprio…».
E dire che, tornando alla popolarità, la tua proposta non era poi molto diversa da quella iniziale delle Luci della Centrale Elettrica che poi invece ha riempito gli stadi… Si può dire che sia stata anche sfiga?
«Infatti qualche giornalista lo ricorda che siamo usciti praticamente assieme e i destini potevano forse essere diversi. Ma credo sia stata anche una fortuna, per me: non avendo ottenuto grande successo ho sempre potuto scrivere canzoni liberamente, senza pensare al pubblico, o a farle piacere per forza alla gente».
Come nascono le tue canzoni?
«Tutto è incentrato sui testi, a me piace scrivere e il grosso del lavoro è buttar giù in appunti i pensieri. Poi, una volta ottenuto il testo, cerco di infilare gli accordi e incastrare le melodie, consapevole di non avere una grande tecnica, dal punto di vista musicale, ma non mi interessa».
Ci sono musicisti che ti hanno influenzato? Cosa ascolti? Ma soprattutto, visto quello che hai detto prima, cosa leggi?
«Per quanto riguarda gli ascolti devo ammettere che negli ultimi anni ho perso un po’ di curiosità verso il nuovo, sicuramente sono stato influenzato molto dall’indie-rock e dal cantautorato contemporaneo americano. Così come sono soprattutto americani i miei scrittori preferiti. Durante la composizione dell’ultimo disco leggevo molto Richard Ford, o Joan Didion, inconsciamente qualcosa del loro modo di scrivere ci è finita dentro. Diciamo che mi sento influenzato dagli autori post-moderni, Don De Lillo e compagnia…».
Il nuovo album musicalmente è più diretto e semplice, rispetto a “Cervino”, una scelta voluta?
«Diciamo che dopo un disco molto “arrangiato” avevo deciso di cambiare, di sottrarre un po’, ho tolto una chitarra, ho scelto arrangiamenti più asciutti, anche perché volevo uscisse di più la carica dei testi. Un po’ in stile indie-rock della vecchia scuola, che bene si adatta a testi che sono legati a ricordi di quell’epoca, alla giovinezza, agli anni novanta e primi duemila…».
La nostalgia e la malinconia sono al centro dei tuoi album, soprattutto recenti. Sei un tipo nostalgico e malinconico?
«Diciamo che in fase di scrittura enfatizzo questa mia vena, nella realtà cerco più che altro di sdrammatizzare…».
C’è qualcosa però di questi anni che ti mette in qualche modo a disagio, che influisce nella tua scrittura?
«Forse nel disco non si sente, ma quello che mi mette più a disagio al momento è l’attuale Governo. Poi ecco, tornando a faccende più personali, anche la presa di coscienza di quando si diventa padre (Caso lo è diventato da pochi mesi, ndr), iniziare a pensare al futuro non più per te: inizi a essere un po’ più sensibile verso certe scelte, certe tematiche. Mi hanno chiesto per esempio se cambierà il mio modo di scrivere ora che sono padre, beh, in effetti sì…».
Scriverai canzoni per i figli, come Fedez e J-Ax…
«Esatto (risate, ndr)! Diciamo però che le mie saranno più scure e spigolose. Più che delle emozioni della nascita, magari parleranno del casino che sarà cambiare una gomma in autostrada con il bambino che piange a bordo…».

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