La leggenda dei Clock DVA a Ravenna: «Senza sperimentazione non c’è progresso»

Parla l’inglese Adi Newton, fondatore quarant’anni fa di una delle band simbolo della scena industrial-rock, attesa al festival Loose: «Entro il 2018 un album nuovo»

ClockdvaIl programma completo del festival Loose

Piccola-grande leggenda industrial rock (e post-punk) della scena inglese, i Clock DVA, da Sheffield, tornano in Italia a quarant’anni dalla loro fondazione. L’appuntamento è per l’11 maggio all’Almagià di Ravenna nell’ambito del festival Loose.

Abbiamo intervistato il fondatore e anima del progetto (il cui nome è ispirato alla lingua artistica usata dagli adolescenti di Arancia meccanica), Adolphus “Adi” Newton che ha riattivato i Clock DVA nel 2008 dopo dieci anni di assenza dalla musica in favore della pittura e altre discipline artistiche.

Innanzitutto, cosa si devono aspettare i fan italiani dal concerto di Ravenna?
«Versioni rielaborate e aggiornate di brani da album e lavori precedenti come “Buried Dreams” (considerato da molti una pietra miliare del genere, ndr), “Man-Amplified” o “Sign”, ma anche lavori da uscite recenti oltre a nuovi di zecca che saranno pubblicati in un nuovo album a cui stiamo lavorando e che contiamo di far uscire entro l’anno».
Come è cambiato il vostro approccio alla musica elettronica e alle macchine nel corso degli anni, con le innovazioni tecnologiche, voi che siete stati tra i primi a sperimentarle nel rock?
«La mia posizione rispetto alla tecnologia musicale è rimasta la stessa, l’ho sempre considerata come uno sviluppo tecnico per espandere la creatività e contribuire alla realizzazione di idee e per esplorare nuove modalità creative. Alla fine è l’individuo, l’artista a compiere quell’input che è l’azione creativa; la tecnologia da sola è solo tecnologia. Lo spirito creativo, che è immaginazione e intuizione espressiva, viene da dentro l’artista, puoi chiamarlo spirito o anima: la scienza ha cercato di analizzarlo logicamente per definirlo, ma qualsiasi cosa sia è al di là della nostra attuale capacità di comprensione. Quindi per me sono ancora le idee a contare di più, la tecnologia è solo un mezzo per accrescere e facilitare l’espressione creativa».
Siete considerati tra i padrini dell’industrial e spesso venite accostati al cyberpunk. Hanno importanza per voi queste definizioni?
«Sono termini ed etichette usate per dividere in categorie sia la musica che l’arte, per una necessità di definire le cose. Personalmente non ho mai pensato a ciò che faccio come qualcosa che potesse stare esclusivamente in una delle due categorie, ma come qualcosa che ha una sua forma individuale che è la sua stessa identità. Questo accade quando si resta fedeli alla propria visione ed espressività individuale».
Quali gruppi, artisti o scene credete di aver influenzato nel corso degli anni e con quali vi sentite più affini?
«Sia con i Dva che con i Tag (The Anti-Group, sorta di progetto parallelo dei Clock Dva, concepito come un gruppo collettivo aperto sperimentale e multimediale, ndr) ho sempre sentito una forte affinità con i Coil perché John Balance era un mio buon amico fin dalla giovinezza e un grande fan, una persona che capiva perfettamente quello che stavo facendo, che stavo citando e su cosa stavo lavorando. I Coil sono anche in grado di dar vita a numerosi progetti singoli che contengono il “concetto” Coil: questo intendevo quando parlavo di individuare la propria visione e di persistere rispetto a essa come mi pare accada con il progetto DVA. Per quanto riguarda l’influenza esercitata sugli altri gruppi la vedo sicuramente in diversi artisti ma preferisco non fare nomi».
Quella di Sheffield – con i Dva a fianco di Human League e Cabaret Voltaire – era una vera e propria scena, come è stata raccontata ai giornali? In che modo, e cosa ricordi di quegli anni in cui siete diventati qualcosa di unico della scena rock mondiale?
«A Sheffield all’inizio è stato un periodo formativo, c’era molta solidarietà tra i singoli gruppi e si percepiva lo spirito di fare qualcosa di nuovo e di essere parte di una situazione che si stava sviluppando. All’epoca c’era la sensazione di essere pionieri di qualcosa di nuovo e unico, c’era molta genuinità ed era un periodo fantastico per essere creativi e attivi. Alla fine, però, per molti gruppi l’attenzione si è spostata verso una forma di commercializzazione e ha prevalso il desiderio di avere successo; a quel punto cambiarono le motivazioni in modo negativo, perché la spinta che nasceva da una pura forma di creatività è stato sopraffatta da desideri esterni che avevano a che fare solo con questioni economiche».
Adesso com’è cambiato fare musica in Inghilterra e soprattutto come sta cambiando la fruizione? E, legato a questo, vedete anche dei giovani ai vostri show?
«Il cambiamento principale direi che sta nel fatto che ci sono molti più concerti e spazi per suonare oggi di quando abbiamo iniziato e che l’uso del visual è diventato onnipresente e nella maggior parte dei casi un elemento secondario per i gruppi che lo usano come una carta da parati, un aiuto visivo, senza alcuna concettualizzazione. Credo anche che al momento suonare dal vivo sia molto importante, perché l’esecuzione è un atto fisico unico nel tempo e nello spazio, in un’epoca in cui l’avvento della tecnologia ha fatto diventare l’esperienza sempre più marginale. Abbiamo un pubblico di tutte le età, molto misto e credo che sempre più gente stia scoprendo il gruppo e la sua storia grazie al tempo e a una maggiore consapevolezza, destinata ad aumentare, credo, quest’anno visto che la Mute Records ripubblicherà i primi tre album dal catalogo dai Clock DVA».
Ci racconti il tuo rapporto con i visual e l’arte, che così tanto caratterizzano il tuo lavoro? Come è nata l’esigenza di utilizzare più forme espressive?
«Per me questo deriva direttamente dall’essere innanzitutto un artista visuale che ha cominciato dalla pittura: per me la creatività visiva è un bisogno primario profondo non un aspetto marginale, quindi la transizione da questa pratica espressiva visiva alla musica è stata una combinazione dei due elementi che avevo bisogno di esprimere simultaneamente. Naturalmente la musica è una forma di visualizzazione di suo e può essere sufficiente nel rendere sentimenti e forme visive di immaginazione. Ma se queste due forme di creatività si uniscono e si fondono possono diventare una forma di espressione estremamente potente. Quindi creare e concettualizzare un brano visual e audio può essere una sfida che dà molte soddisfazioni perché risponde a molti bisogni, che sono catartici e fondamentali nella pratica creativa».
Cosa cercate oggi, nella musica?
«Continuo a perseguire essenzialmente gli stessi obiettivi di quando ho iniziato e che hanno a che fare con l’esplorazione di nuove modalità di espressione e il tentativo di espandere ciò che è possibile con il suono, so che i miei colleghi nei Dva (al momento Maurizio Martinucci, in arte TeZ, e Panagiotis Tomaras, ndr) sono dello stesso avviso e non è sempre una strada facile da prendere; è più facile continuare a fare ciò che sai fare, buttarti nell’ignoto significa correre rischi, ma senza sperimentazione non c’è progresso e senza correre rischi ci sono meno occasioni di scoprire nuove possibilità».
Cosa ti ha spinto a tornare con i Clock DVA?
«Non direi di essere stato spinto a tornare, è stata più una decisione dopo una lunga pausa in cui ho potuto riflettere e concentrarmi su altre pratiche come la pittura e altre aree di interesse, ho insegnato e conseguito una laurea breve e una magistrale per l’insegnamento. Volevo tornare perché sentivo che volevo raggiungere altro nell’esplorazione musicale, che c’erano nuove ricerche da intraprendere e ulteriori sperimentazioni da fare sia con Clock DVA sia con The Anti Groups. L’anno scorso ho intrapreso anche un nuovo progetto, Matar, con due amici e colleghi americani, Michael Esposito, esponente di punta e ricercatore nell’ambito dell’Evp (Electronic Voice Phenomena, ndr) e Sarah Roselena Brady, che è un’artista sia del suono che visual: abbiamo un album quasi pronto. Lavoro inoltre anche con un altro collega e amico, Paul Prudence, su un secondo album “psicofisico” che uscirà come parte di una serie di progetti tra quest’anno e il 2019. Sono molto attivo anche con i Tag, che sto arrangiando in vista della pubblicazione di gran parte dei dischi precedenti e sto finendo un nuovo album con contributi di Jack Dangers e altri artisti; quindi è un periodo molto pieno e produttivo».
(traduzione Federica Angelini)

NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
INCANTO BILLB 19 04 – 01 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24