Vent’anni dopo rivive “Deserter’s Songs” dei Mercury Rev, capolavoro del dream-pop

La band americana riproporrà dal vivo a Savignano il disco “orchestrale” per cui resterà nella storia del rock

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Poche volte un’etichetta rende così bene l’idea come “dream-pop” nel caso dei Mercury Rev di Deserter’s Songs. Un album che è come un sogno a occhi aperti, che riesce ad avvolgerti completamente e a portarti in un luogo fuori dal tempo.

Sono passati vent’anni dalla pubblicazione di quello che oggi viene quasi unanimamente definito come una pietra miliare della scena alternative rock americana, uno dei migliori dischi tout court pubblicati negli anni novanta. Sul momento forse neppure ce ne accorgemmo, per quanto lo amassimo. Forse per la sua, in fin dei conti, semplicità, per la scelta di cullare l’ascoltatore prima ancora che scuoterlo, a partire dall’iniziale “Holes” che provoca ancora oggi un tuffo al cuore non appena partono gli archi.

E sono proprio gli strumenti meno comuni in un gruppo rock a fare la differenza in questo album, dal mellotron al clarinetto, dal clavicembalo alla sega, dall’organo al sassofono, dal corno al trombone, fino ad arrivare pure alla voce di un soprano. Già, perché questo è per molti il più riuscito album di “pop-rock orchestrale” del periodo, in grado quasi di creare un nuovo sotto-genere, o perlomeno una sorta di nuova tendenza, che seguiranno per esempio un anno più tardi anche i Flaming Lips (a cui la voce del cantante dei Rev, Jonathan Donahue, era comunque già debitrice), con uno dei loro capolavori, The Soft Bulletin, per molti quasi un disco gemello di Deserter’s Songs (ad accomunarli la presenza di Dave Fridmann che legherà la propria carriera di produttore proprio a quel tipo di suono).

Fu un colpo di genio, quello di una band fino a quel momento piuttosto sottovalutata (e impegnata per lo più a cercare nuovi sviluppi per il rock psichedelico) come i Mercury Rev, che abbandonarono il rumore a favore della melodia, raggiungendo la loro vetta più alta, in futuro mai neppure avvicinata. Il risultato è quello che, leggendo tra le varie recensioni in rete, viene definito, tanto per rendere l’idea, il Pet Sounds (in effetti “Opus 40” potrebbe forse fare la propria figura nel capolavoro senza tempo dei Beach Boys) o il Forever Changes degli anni novanta, niente meno.

Oggi, vent’anni dopo, saranno in Italia per quattro date per riproporre il loro capolavoro in versione acustica (sarà presente il nucleo della band formato dallo stesso Donahue e da Grasshopper, a chitarre e clarinetto, accompagnati a batteria, piano e tastiere da Jeff Mercel, già tra i musicisti nei credits del disco originale). Una di queste è in Romagna, al cinema teatro Moderno di Savignano, il 13 settembre. Un appuntamento probabilmente irripetibile e, lo si sarà capito, da non perdere.

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