E i Servizi sociali chiudono fuori casa la famiglia rom per cui pagavano l’affitto

L’Asp ha anche in affido i minori e ha investito migliaia di euro nel progetto. «Ma hanno fatto danni e non hanno rispettato le regole»

Sono entrati in quella casa di via Baronessa nel novembre del 2013. Anzi, in quella villa, come viene descritta da chi l’ha vista. Un progetto sociale cui il Comune ha creduto molto, investendoci pure diverse migliaia di euro. L’obiettivo era ambizioso, integrare una famiglia rom di dieci persone: madre, padre e otto figli, di cui quattro in età scolare e due ancora più piccoli. Una famiglia non certo come le altre, che nell’alloggio popolare in cui viveva prima, zona via Gulli, in un condominio densamente abitato, aveva provocato le lamentele dei vicini di casa e la convivenza era diventata presto complicata.

Da qui la decisione dell’Asp, l’azienda pubblica per i Servizi sociali, di individuare una casa singola, relativamente isolata. Quella di via Baronessa, alle porte della città, tra via Trieste e via Canale Molinetto. Il contratto sarebbe scaduto al termine di questo mese, marzo 2015, ma la famiglia è stata costretta ad abbandonare la casa lo scorso anno, quando in dicembre se ne era andata per qualche giorno a Torino per incontrare alcuni parenti.

Loro dicono di aver cercato di contattare gli assistenti sociali senza riuscirci (secondo l’Asp, ma non per i rom che dicono di non aver mai firmato clausole del genere, l’accordo prevedeva il divieto di andarsene per più di sette giorni dalla città senza avvisare), mentre gli assistenti sociali sostengono il contrario. Il risultato è che l’Asp, di fronte alle pressioni del proprietario dell’immobile, di fatto ha approfittato dell’assenza della famiglia per cambiare la serratura della casa e impedire ai rom di rientrare. Con la conseguenza che anche i minori, i bambini che sono formalmente in affido agli stessi Servizi sociali ravennati (e dati in custodia alla famiglia), anche quelli che dovrebbero frequentare la scuola dell’obbligo, si sono ritrovati senza più una casa. E l’Asp non sa neppure dove siano ora.

Un amico di famiglia con cui parliamo ci assicura che sono tornati in Bosnia, il loro Paese di origine. I Servizi sociali forse possono tirare un sospiro di sollievo, ma il progetto si è rivelato così un clamoroso buco nell’acqua.

Le frizioni erano iniziate lo scorso settembre quando era ricominciata la scuola ma non era ripreso il servizio di navetta che i Servizi sociali avevano garantito fino a pochi mesi prima per il trasporto dei bambini a scuola. E con il padrone che rivoleva la sua casa in seguito ad alcune segnalazioni e a presunti danni alla struttura. L’Asp nel corso di alcune ispezioni ha trovato in casa parenti che, sempre secondo l’Azienda, da contratto non avrebbero dovuto esserci (in realtà una registrazione di un colloquio con l’Asp ci conferma che la clausola in questione non era invece nel contratto).

I Servizi sociali stimano danni (che i rom si erano dichiarati disposti a riparare) del valore di 8mila euro alla casa (tra vetri e zanzariere rotte e piastrelle fuori posto), per cui già l’ente pubblico pagava alcune centinaia di euro al mese di affitto al proprietario (la famiglia corrispondeva solo 200 euro al mese, come da accordi, la stessa cifra pagata precedentemente nella casa popolare ma non certo sufficiente per un’abitazione così grande).

In ottobre è stato chiesto loro di lasciare la casa e di trovare un’altra sistemazione. Le frizioni sono aumentate arrivando a quella sorta di fuga della famiglia, con i genitori con alcuni casi giudiziari pendenti e la paura che l’Asp potesse portare via i loro figli, già in affido all’azienda pubblica.

«Abbiamo fatto un investimento  significativo su questa famiglia – commenta amareggiata la presidente dell’Asp, Susanna Tassinari –, abbiamo trovato la casa, pagavamo l’affitto, abbiamo messo in campo un servizio di volontariato che  accompagnava a scuola i bambini. Era un progetto che doveva funzionare, su cui abbiamo creduto, ma non c’è stata collaborazione. Loro non hanno rispettato le regole minime stabilite e in questo modo abbiamo perso anche una casa di un privato che non collaborerà mai più con i Servizi sociali».

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