Decine di profughi in strada: costretti ad aspettare mesi per la domanda d’asilo

Li abbiamo incontrati: «Mangiamo alla Caritas ma i dormitori sono pieni, come faremo senza un letto?». In fuga da attentati e terroristi

Sono circa una trentina a muoversi in gruppo, ma possono talvolta arrivare fino a cinquanta, sono quasi tutti pakistani eccetto un ragazzo nigeriano, sono arrivati in città tra il 10 e il 15 agosto circa e ora dormono in strada e passano le giornate nella piazza del mercato o davanti alla stazione con in mano un foglio che indica la data in cui potranno finalmente andare in questura per presentare la domanda di asilo. Date comprese tra il 9 ottobre e il 16 febbraio 2016. Fino ad allora non possono avere accesso a nessun programma di accoglienza, non possono cercare un posto dove stare, non possono, ovviamente, lavorare perché per la legge sono come “sospesi”.

Li abbiamo incontrati una mattina in cui stazionavano sulle panchine di piazza Sighinolfi, perché raccontano di essere stati allontanati dalla vicina area davanti alla questura e dal giardino dell’anagrafe dove hanno trascorso varie notti. «Mangiamo alla Caritas, alle 11.30 e alle 17.30, ma poi i dormitori sono pieni e quindi siamo costretti a girare per la città, tutto il giorno e la notte, come possiamo pensare di andare avanti così per mesi?».

A Ravenna dicono di essere arrivati un po’ per caso, di non avere conoscenti o amici in grado di accoglierli. C’è chi prima aveva tentato di chiedere asilo a Bologna, ma un conterraneo gli avrebbe consigliato di venire a Ravenna dove i tempi sarebbero stati più rapidi. Sono arrivati – raccontano – via terra, prendendo treni senza biglietto, a piedi, chiedendo passaggi e ci dicono di non aver pagato nessuno, di essersi mossi da soli. Hanno età diverse, ma sono molti i giovani, anche giovanissimi, sono tutti maschi, parlano poco l’inglese e dicono di volersi fermare qui, di voler imparare l’italiano, di essere disposti a fare qualsiasi lavoro.

In Pakistan, dove hanno lasciato le famiglie di origine, raccontano che «la situazione non è sicura, in molte zone ci sono combattimenti, attentati, è pericoloso. Non possiamo tornarci, là non c’è futuro per noi».

Racconta invece di essere senza famiglia e solo al mondo il ragazzo nigeriano di fede cristiana che è con loro e che verrebbe dalla zona dove imperversa l’organizzazione terroristica Boko Haram.

Di fatto, dicono di non essere stati sottoposti nemmeno a una vera identificazione da parte della polizia, i nomi sui fogli di carta sarebbero quelli che hanno fornito loro stessi alla questura, essendo privi di soldi e documenti. «Ci hanno preso le impronte e fatto le foto, nient’altro».

Dunque non sono “clandestini”, non possono essere espulsi, in virtù di quel pezzo di carta che hanno in mano con un appuntamento per la semplice presentazione della richiesta di asilo. Una volta effettuata quella diventeranno richiedenti asilo e sperano di poter entrare in un programma di accoglienza in attesa della commissione che dovrà valutare la loro posizione e decidere definitivamente se hanno diritto all’asilo o se invece devono tornare a casa. Nel frattempo li aspettano mesi di limbo.

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