«Nel volley c’è chi sceglie le giocatrici in base a come portano i pantaloncini»

Manuela Benelli, stella della mitica Teodora, denuncia le discriminazioni sotto rete. L’ex giocatrice ora allena le giovanili: «La meritocrazia esiste»

In oltre trent’anni di carriera nella pallavolo, prima da giocatrice e poi da allenatrice, ne ha viste tante e allora c’è da crederle quando Manuela Benelli dice che «la condizione della donna nello sport italiano è a livelli medioevali». La palleggiatrice della Teodora Ravenna che vinse undici scudetti consecutivi oggi ha aperto una scuola di palleggio Under 12 e non ha timori a dire che anche la pallavolo femminile è un mondo molto maschilista: «Ci sono ancora dirigenti che ingaggiano le giocatrici in base a come stanno con i pantaloncini…».

Allora non è vero il ritornello degli sport minori come isola felice dell’etica?
«Dobbiamo capirci su cosa intendiamo per etica. Se intendiamo uguali diritti e doveri per tutti allora ne troviamo poca in pochi sport, soprattutto tra quelli minori. Nell’universo sportivo accade quello che accade nella vita quotidiana: a parità di sacrifici e impegno la donna è nettamente discriminata per ingaggio, visibilità, rimborso sportivo. Nessuna sportiva italiana ha lo stato di professionista in nessuno sport italiano. Siamo ancora al punto in cui se la donna rimane incinta le viene strappato il contratto».

Nessuna differenza tra sport minori e il tanto criticato calcio?
«Tra il pubblico o i praticanti della pallavolo non si arriverà mai ad avere qualcuno che minaccia l’arbitro».

Pallavolisti più educati?
«Chi pratica volley sa che anche arrivando ai massimi livelli non potrà vivere di quello per tutta la vita e quindi spesso dietro a chi gioca c’è un titolo di studio. La pallavolo ha un ambiente con una cultura un po’ più alta».

A settembre ha denunciato di aver firmato un contratto omofobo con una clausola che specificava il divieto di dare fastidio alle ragazze. Un tema di attualità dopo lo scontro Sarri-Mancini nel calcio…
«In questo momento c’è questo sulla bocca di tutti. Tempo fa c’erano gli ululati razzisti. Non credo faccia molta differenza il tipo di discriminazione. Faccio un esempio: alla marcia longa del Gran Paradiso sono previsti gli stessi percorsi per uomini e donne ma il premio finale in denaro per il vincitore uomo è il doppio rispetto a quello della donna. Non è una discriminazione?».

Allora la favola dello sport che insegna valori è tutta retorica?
«No, credo sia davvero così. Stare in palestra aiuta. Ai genitori mi sento di dire che nella scelta dell’attività sportiva per i figli non si tenga conto solo della comodità per arrivare al campo o del costo economico ma anche la figura dell’istruttore è importante».

A proposito di genitori. Com’è il rapporto? «Patti chiari: quando entrano in palestra è come se entrassero a casa mia e voglio rispetto. Poi come tutti posso sbagliare e a fine stagione ognuno è libero di fare le sue scelte».

E ai giovani come si insegna il valore dello sport? «La meritocrazia deve esistere e devono capirlo, tutti devono avere le stesse opportunità ma devono anche imparare che l’impegno e il rispetto degli altri fanno parte della meritocrazia che poi porta alle convocazioni e allo spazio sul campo».

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