«I videogiochi non sono pericolosi per gli adolescenti, se non diventano una fissa»

La psicologa Pracucci: «Attenzione agli acquisti on line e anche a Youtube. Ma anche quelle virtuali possono essere esperienze utili»

Chiara Pracucci

Chiara Pracucci

«I videogiochi non sono pericolosi in quanto tali, anzi, spesso sono utili come simulazione di esperienze. Il rischio arriva se diventano una attrazione esclusiva che cancella ogni altro interesse».

Chiara Pracucci è una psicologa che si occupa da tempo di ludopatie e della vicinanza fra il gioco d’azzardo e videogame apparentemente distanti dal mondo delle slot machine. La professionista fa parte dei collaboratori di Esc, lo sportello del Comune di Ravenna che segue le dipendenze da gioco.

Durante il lockdown è stata tra i relatori di un ciclo di incontri online dedicati proprio al rapporto tra adolescenti e videogame.

Adolescenti VideogiochiDottoressa Pracucci, cosa vede la psicologa quando guarda a un videogioco?
«Vedo una possibilità per fare un’esperienza virtuale da aggiungere a quelle che facciamo nella vita reale. Entriamo in uno scenario che ci porta altrove e ci mettiamo un costume per essere qualcun altro. È una simulazione, è un “come se” in un contesto con regole sue dove posso scoprire se sono bravo o meno in qualcosa. Dal mio punto di vista può essere positivo perché si può sperimentare e scoprire qualcosa di se stessi, soprattutto se pensiamo a un adolescente che scopre cosa vuole essere andando anche per tentativi ed errori».

Le ambientazioni possono essere anche molto violente. Sperimentare un’esperienza di guerra non è pericoloso?
«Se ci pensiamo nella vita reale sono molte le esperienze pericolose che una persona può provare, senza che queste siano la guerra. E potrebbero piacere a chi le prova al punto da attrarlo. Chi gioca deve capire che quelle esperienze devono restare confinate nell’ambiente del gioco».

Allora quando i videogiochi possono essere pericolosi per i giovani?
«Quando un adolescente si concentra su quello e non su una gamma di esperienze. Ma è un principio valido in generale: l’attrazione esclusiva verso qualcosa fa iniziare una relazione potente e pericolosa. Se i videogiochi sono una delle passioni fra tante si può stare tranquilli».

Quali sono i segnali a cui prestare attenzione per leggere in anticipo un possibile rapporto malsano con i giochi?
«Come già detto, il primo segnale preoccupante è se il ragazzo abbandona altri interessi che aveva e non ne cerca di nuovi per concentrarsi solo sui giochi. Cambiare gusti e passioni, anche in fretta è normale in giovane età, il problema è fissarsi su una cosa sola. Poi bisogna stare attenti a quanto rispettano le regole sui tempi di gioco dettate dai genitori. E poi attenti all’umore che hanno quando smettono di giocare, sia se sono nervosi e sia sono estremamente euforici. Il consiglio che do più spesso ai genitori è quello di farsi raccontare dai figli le loro esperienze di gioco, parlarne con loro come parlerebbero di qualunque altra esperienza che fanno nella vita reale. Si facciano raccontare cosa fanno nel gioco».

I genitori degli adolescente del 2021 possono essere stati videogiocatori a loro volta. È un bene o un male?
«Se due generazioni hanno un linguaggio in comune credo sia sempre un bene. Diventa più facile capirsi e parlarne. Sarebbe molto bello e utile se i genitori giocassero con i figli».

Esiste un rapporto tra videogiochi e giochi d’azzardo?
«C’è una vicinanza molto stretta. In Italia il gioco d’azzardo è legale solo per i maggiorenni e così il mercato strizza l’occhio ai più giovani entrando nei videogiochi ammessi per loro con dinamiche molto simili. Ad esempio c’è il meccanismo del “pay per win”: il risultato non si ottiene grazie alle proprie abilità ma bisogna acquistare migliorie facendo pagamenti veri tramite il gioco. Oltre all’aspetto economico c’è anche un valore fortemente diseducativo con il messaggio di poter comprare un risultato senza bisogno di impegnarsi. E poi c’è il fenomeno delle loot box: sono scatole virtuali che si comprano nell’ambiente del gioco che possono contenere oggetti o personaggi nuovi ma non sai cosa troverai. Non è difficile notare che ci sia poca differenza da un gratta e vinci».

Come si spiega l’attrazione esercitata dai gamer che trasmettono in streaming le loro partite?
«Per i ragazzi è un modo per stare vicini a una cosa che amano. In un certo senso mi ricordano quello che sentiamo dire da molti giocatori compulsivi: quando avevano finito i soldi restavano accanto alle slot a guardare gli altri giocare per l’adrenalina e la fantasia. Molti genitori ci chiedono se le ore davanti a Youtube vanno conteggiate come ore di videogioco e io penso di sì».

Anche in età adulta si può sviluppare una dipendenza da videogiochi?
«I videogiochi sono un modo per allontanarsi dalla realtà, un diversivo, un’esperienza piacevole. L’adulto dovrebbe avere un bagaglio di conoscenze per tutelarsi ma abbiamo visto che altre dipendenze nascono anche in età adulta. Il pericolo è quando si comincia a non uscire più, quando si preferisce il virtuale al reale».

In conclusione, cosa c’è di buono nei videogiochi?
«La cosa principale è la possibilità di sperimentare se stessi in una realtà sollevata e distaccata. Se tutto resta circoscritto è un’altra possibilità di divertimento, per staccare la spina. E per i giovani sono stati anche un modo per tenere rapporti con amici e coetanei in questi ultimi due anni di pandemia e isolamento».

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