Un fine settimana di festa e sport lungo i Fiumi Uniti

In acqua e sugli argini, con la canoa, a nuoto, sulla bici, nei capanni, ecco, fra natura e cultura, gli eventi organizzati da Romagna Trail

canoe fiumeDomenica 31, alle 9.30, l’evento centrale della manifestazione, madrina d’eccezione l’olimpionica Josefa Idem, che darà il via alla “Discesa dei Fiumi Uniti“ in canoa e kayak, percorso non competitivo di 13 chilometri che correrà lungo il fiume dalla chiusa di San Marco alla foce.Rinviato a questo week end del 30 e 31 maggio – a causa del maltempo della scorsa settimana – ecco un programma di iniziteve all’aria aperta aperto a tutti fra escursioni, racconti e incontri conviviali lungo lo storico corso d’acqua ravennate. L’obiettivo per l’associazione Trail Romagna che ha organizzato l’evento assieme a diverse istituzioni, realtà associative e del volontariato legate allo sport, alla tutela dell’ambiente, alla cultura e al turismo. Si va dall’Assessorato allo sport e ambiente del Comune  al Consorzio di Bonifica della Romagna, dall’Uisp alla Coop dei capannisti fluviali, dal Touring Club al Ravenna Festival…   La manifestazione remiera, in particolare, coadiuvata dagli esperti del Gruppo Canoa Uisp di Ravenna, avrà anche una versione più abbordabile con partenza dalla Chiusa Rasponi di Porto Fuori. Poco più di 3 chilometri con guida fluviale per conoscere ed apprezzare il fiume visto dall’acqua. A galleggiare non solo canoe e kayak ma anche paddle e pure qualche nuotatore èmulo di Gianni Gambi che, coperto di grasso di foca sfiderà le acque su cui il leggendario “Italian Express“ si allenava. A seguire la discesa in canoa dalle rive ci saranno anche i ciclisti, Nordic Walker e un gruppo di appassionati fotografi che parteciperanno al challange #unfiumedifoto. Le mostre fotografiche di Riccardo Muzzi e Luciano Pagani racconteranno per immagini la storia dei capanni come singolare spazio di incontro uomo e natura. Domenica 3, a Lido di Dante, nel piazzale Mastin Vecchio, dalle 11.30 alle 15 è prevista anche una festa per accogliere canoisti, amanti del nordic walking, impavidi nuotatori, ciclisti per passione, fotografi e curiosi spettatori con la musica pirotenica di DJ Carto e quella più nostrana dei Malardot che faranno da colonna sonora agli arrivi di tutti i partecipanti e ad gustoso piada party. Di seguto due racconti dedicati alla natura e alla storia dei Fiumi Uniti firmati rispettavimente da Pier Lugi Bazzocchi e Mauro Mazzotti. Un mondo tutto da scoprire Il fiume visto dall’acqua è un mondo tutto da scoprire, brulicante di vita, pieno di sorprese, di presenze, di storie, di emozioni che, percorrendolo dalle sue rive, neppure si possono immaginare. Uccelli che si confondono fra le canne, immobili, tanto da sembrare uno dei loro steli come i tarabusi altri, coloratissimi, come i martin pescatore che attendono pazienti su un ramo che sporge dall’acqua, il passaggio di un piccolo pesce per tuffarsi e stringerlo nel becco ritornare sul ramo  e divorarlo o portarlo ai piccoli nati nel nido scavato dentro la tenera terra dell’argine. C’è anche chi pratica la pesca subacquea come il merlo acquaiolo che si tuffa sotto la superficie alla ricerca di cibo utilizzando zampe coda e ali come pinne. Gli eleganti aironi, cenerini o rossi nidificano a gruppi sulle cime più alte degli alberi e le anatre che si fingono ferite al passaggio della canoa per distrarre l’attenzione degli intrusi dal loro nido. Poi ci sono i materiali che le piene hanno depositato lungo le sponde a memoria dell’incuria dell’uomo ma spesso anche segni del tempo che passa, di ponti o case che c’erano fin dai tempi lontani. Dentro al fiume si scoprono odori, rumori, silenzi e colori che sono unici e richiedono rispetto da parte di noi ospiti di un luogo che non è il nostro ma dal quale dipende gran parte della nostra vita perchè è il luogo nel quale sta l’acqua che insieme alla terra e all’aria ci permette di esistere. (Pier Lugi Bazzocchi) La diversione dei Fiumi Uniti Nel XIII secolo – quando le acque del fiume Primaro (oggi il Reno), che scendeva da Ferrara, iniziarono a scarseggiare – i fiumi appenninici Montone e Ronco, portati a circondare Ravenna, furono la soluzione: acque per usi domestici, acque per i fossati a difesa, acque per azionare i mulini da farina, i mangani, le segherie idrauliche. Ma cinquecento anni dopo, nel Settecento, con la costa che si allontanava in mare, i percorsi fluviali che si allungavano, gli argini più alti delle mura e le piene che dominavano pericolosamente la città, i due fiumi riuniti  erano diventati il problema. Già un secolo prima, nel maggio del 1636, per una rottura arginale le acque avevano invaso la città (Fin qui l’acqua arrivò, è ancora scritto in una lapide all’incrocio di via Salara con via Cavour, due metri e quaranta sopra il piano stradale), undici morti (ma  fortunatamente tutti di bassa condizione, come ci informa piamente il canonico Fabri, testimone diretto dell’evento), settecento case distrutte, danneggiate, pericolanti. Insomma,  nei primi decenni del Settecento erano ormai due secoli che se ne parlava, progetti a non finire, commissioni inconcludenti, esperti che bisticciavano, soldi che mancavano ma  finalmente,  con l’arrivo a Ravenna del cardinal Alberoni, legato pontificio della città – un tipaccio che pretendeva di essere obbedito al primo comando, ma sapeva anche andare a Roma per bussare a cassa – le cose presero un altro andazzo e nel giro di pochi anni il lavoro era completato: il laccio che cingeva la città fu reciso, i due fiumi furono resecati due chilometri a sud delle mura da un cavo diversivo che raccoglieva le acque del Montone (nel sito attuale di Chiusa S.Marco) e del Ronco (oggi località ponte Assi) e le portava direttamente a mare per il nuovo corso unificato dei Fiumi Uniti, lì a fianco della via Marabina. Due ponti, il ponte Assi, di legno appunto, e il  ponte Nuovo, in muratura, assicurararono la viabilità a sud interrotta dal diversivo fluviale mentre, per sostituire il porto della Torrazza (il vecchio Candiano) che si congiungeva alla città tramite il canale Panfilio (di fianco alla via Cesarea), fu necessario escavare un nuovo cavo portuale, il Naviglio Corsini, che prendeva il mare a nord, tramite una collegamento di vecchi canali riciclati (lo scolo della Città, il cavo Fossina) e di vene lagunari che solcavano la valle Baiona. I fondali navigabili del nuovo porto canale – che i ravennati, poco amanti delle novità, ribattezzeranno subito Candiano – erano dunque assicurati dal flusso e riflusso delle maree dentro i bacini vallivi. La Chiusa San Marco – sul punto di diversione del Montone – garantì l’azionamento dei molini di città e la distribuzione delle acque. (Mauro Mazzotti)

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