«Idem voleva sfruttare l’Amministrazione» E il Comune le chiede oltre 18mila euro

Il sindaco nell’atto di citazione contro la senatrice: «Ha approfittato
del suo ruolo istituzionale». E Ancisi ride: «Mi davano del poveretto»

Si è svolta martedì, 13 ottobre, la prima udienza preliminare del procedimento giudiziario che vede la senatrice ravennate del Pd Josefa Idem accusata di truffa aggravata per essersi fatta assumere come unica dipendente dell’associazione sportiva di cui era presidente il marito, pochi giorni prima di essere confermata, nel 2006, assessore comunale allo Sport (vedi articoli correlati). In tal modo, il Comune, come prevede la legge per i lavoratori che vanno in aspettativa per assumere incarichi politico-amministrativi, avrebbe pagato i suoi contributi previdenziali. L’udienza è stata rinviata a maggio, ma il procedimento ha assunto una svolta importante – sottolinea Alvaro Ancisi di Lista per Ravenna – a seguito dell’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ravenna, depositato martedì, con cui il sindaco rivendica il risarcimento di due danni civili: patrimoniale, per gli 8.642 euro versati dal Comune, più 1.500 di interessi, e d’immagine dell’amministrazione, per altrettanti 8.642.

Ancisi poi ricorda come l’iniziativa della magistratura sia stata avviata da un suo esposto, dopo che il sindaco non aveva risposto a una sua interrogazione sul tema. All’atto poi della conclusione delle indagini giudiziarie così innescate – ricorda Ancisi –, il sindaco dichiarò, il 19 marzo 2014: «Mi auguro e confido che, come rivendicato con nettezza nella dichiarazione che la Senatrice Idem ha rilasciato in queste ore, l’iter giudiziario accerti la sua estraneità ad ogni illecito».

«Tali augurio e fiducia non corrispondono, però, a quanto Matteucci stesso ha invece “accertato” su quegli stessi fatti, venuto in luce martedì col deposito dell’atto di citazione in giudizio – sottolinea ancora il capogruppo di Lista per Ravenna –; e cioè che: la Idem “approfittando, in concorso con suo marito, del ruolo istituzionale che le stava per essere attribuito e che le è stato assegnato” – dal sindaco stesso con l’incarico di assessore – “ha dimostrato di considerare la stessa amministrazione comunale, cioè l’ istituzione che rappresentava, un soggetto da sfruttare per un proprio tornaconto personale, svilendone così il ruolo agli occhi della collettività. Il tutto segnato da “una stretta concatenazione temporale”, in un “quadro indiziario univoco sempre secondo l’atto dal quale emerge, con evidenza, la natura simulata” dell’ accaduto».

«Chapeau. Io non ero mai arrivato ad esprimere un giudizio politico così severo, anzi non ne ho mai espresso alcuno, facendo parlare solo i fatti», commenta ironicamente Ancisi, ricordando poi come ai tempi «tra i tanti epiteti ricevuti al riguardo dal suo partito, non mi è mancata, dal parlamentare ravennate onorevole Pagani, quella di “poveretto” dedito alla sua “solita battaglia politica”. Presumo che oggi Matteucci sia considerato dal suo partito più “poveretto” di Ancisi, cioè il massimo della povertà politica».

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