In un anno chiusi due locali su 5 e creditori in fila: i retroscena del caso Mehmeti

Il 26enne senza esperienza nel settore della ristorazione ha fondato la società il Giglio e ha rilevato la gestione di Portico, Taberna Boaria, Labirinto del Gusto, Piattoforte e Stella: ora i lavoratori reclamano gli stipendi, il tribunale ha già emesso un decreto ingiuntivo per 30mila euro e la guardia di finanza ha perquisito i ristoranti dopo un denuncia per appropriazione indebita

IMG 7372Il Giglio è appena sbocciato ma sta già appassendo. Si è costituita meno di un anno fa la società che in autunno ha rilevato la gestione di due noti ristoranti del centro storico di Ravenna – l’ex Taberna Boaria ribattezzata Locanda La Vigna e l’ex Labirinto del Gusto diventato Club 23, entrambi in via Mentana – ma l’apertura è durata solo poche settimane. Il Club 23 è spento da metà dicembre, La Vigna da inizio gennaio. Basta passare per il vicolo alle spalle del municipio e buttare l’occhio attraverso le vetrate: stanze svuotate da arredi, stoviglie, bottiglie; a terra scatoloni e cassette abbandonati. Una chiusura arrivata in totale silenzio. Le pagine Facebook ufficiali delle due attività, curate da un’agenzia di comunicazione che dice di aver interrotto i rapporti di lavoro il 31 dicembre, sono abbandonate senza un cenno su cosa stia succedendo. Uno scenario che solleva interrogativi da più parti. Soprattutto perché oltre ai due locali appena ricordati, altri tre ristoranti ravennati negli ultimi dodici mesi sono finiti sotto una gestione riconducibile al Giglio e al suo amministratore unico, un 26enne senza alcuna esperienza nel settore: il Piattoforte in via degli Ariani e il Portico in via Faentina a Ravenna, l’hotel ristorante Stella in corso Matteotti ad Alfonsine.

CREDITORI IN AGITAZIONE
Lunga è la lista di chi sostiene di vantare crediti nei confronti del Giglio: lavoratori e fornitori ma anche i proprietari degli immobili affittati e addirittura gli imprenditori che hanno ceduto le due attività. Secondo un calcolo sommario e prudenziale, basato solo sulle carte e sui creditori che R&D ha potuto consultare e incontrare, si arriva verso i duecentomila euro di pagamenti reclamati. E c’è chi si è stancato di attendere e di sorbirsi scuse a raffica. Sono partite le procedure di sfratto dai due locali di via Mentana per morosità, la precedente gestione della Taberna Boaria che ha ceduto le quote della società si è rivolta al tribunale e ha ottenuto un decreto ingiuntivo per il saldo mancante di 30mila euro, l’imprenditrice che gestiva il Labirinto del Gusto ha incaricato i suoi avvocati di studiare il caso nei dettagli, almeno una dozzina di lavoratori tra cuochi e camerieri si sono rivolti ai sindacati e alle autorità.

IMG 7379CONTROLLI DELLA FINANZA
Nella mattinata del 13 febbraio la guardia di finanza si è presentata in tutti i cinque locali con un decreto di perquisizione. A innescare l’operazione è stata una denuncia per appropriazione indebita presentata dall’ex titolare del Labirinto del Gusto, Loretta Barlatti: oggetto del contendere l’arredamento e le attrezzature della cucina, in tutto una quarantina di beni immobili per cui era stato valutato un corrispettivo di 25mila euro nell’ambito della cessione dell’azienda. Secondo la versione di Barlatti è stato tutto rimosso senza averne titolo perché non è ancora avvenuto il pagamento di quanto pattuito. Secondo la versione di Edlira Mace, avvocata del Giglio, è stato solo spostato tutto in un magazzino per andare incontro alle richieste della proprietà dell’immobile che vorrebbe interrompere la locazione e riavere gli spazi liberi. Tutto l’arredo si troverebbe in un deposito di Alfonsine.

ULTERIORI INDAGINI?
A questo punto non è escluso che l’indagine si estenda. Due i filoni facilmente ipotizzabili viste le manovre messe in atto in un lasso di tempo così breve: la provenienza dei capitali utilizzati per gli investimenti e la fondatezza di alcuni esposti. Fiamme Gialle, carabinieri e Ispettorato del lavoro infatti erano già a conoscenza di una situazione con alcune zone d’ombra dopo le denunce ricevute da almeno due lavoratori, dai sindacati e da qualcuno che ha avuto rapporti professionali con il Giglio. Già prima delle perquisizioni della Finanza, l’Ispettorato si era messo in moto con una ispezione. Il caso era quindi noto anche alla procura della Repubblica e alla prefettura, sia per via formale che tramite segnalazioni informali.

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Lokrez Mehmeti, amministratore unico della società Il Giglio che ha la gestione dei cinque locali perquisiti dalla guardia di finanza

DALL’ALBERGHIERO ALLA FINANZA APPLICATA
Il Giglio è una Srl con capitale sociale di diecimila euro (2.500 versati): costituita a marzo 2018, ha avviato l’attività a settembre. Lokrez Mehmeti è la figura chiave: fondatore, amministratore unico e socio al 50 percento. Origini albanesi, nato a Ravenna 26 anni fa, diploma all’istituto alberghiero di Cervia nel 2012: qualche mese fa, quando lo raggiungemmo al telefono prima di avviare le gestioni, Mehmeti ci raccontò di essere rientrato in città da un anno dopo alcune esperienze all’estero dove si sarebbe specializzato in finanza applicata. Un’esperienza che gli avrebbe permesso di conoscere alcuni manager e imprenditori «che sostengono il nostro gruppo e hanno deciso di puntare su questa città, come me».

STIPENDI ARRETRATI, BUSTE PAGA FANTASMA
A settembre Mehmeti ci raccontò anche come immaginava la futura gestione del personale: «La nostra idea è quella della “ristorazione liquida”, i dipendenti non rimangono fissi in un ristorante ma ruotano». A distanza di mesi pare che manchino i liquidi. Quattro persone contattate da R&D hanno testimoniato di aver lavorato per il Giglio e di essere in attesa di pagamenti. Per qualcuno solo poche settimane di lavoro, per altri anche mesi. Qualcuno racconta anche di non aver mai avuto un contratto ma questi sembrano casi isolati. Almeno due di loro hanno fatto denuncia alle autorità. I sindacati completano il quadro: a settembre 2018 sono arrivate le prime segnalazioni alla Cgil, in totale a oggi una dozzina di lavoratori si sono rivolti agli uffici di via Matteucci. «La maggior parte vogliono inviare la richiesta di dimissioni per giusta causa – spiega Daniele Casadio della Filcams – che sono permesse dopo la terza mensilità senza stipendio. Posso dire che quelli incontrati avevano tutti un contratto. In media devono avere 5-6mila euro a testa comprensivi di tutto, dai mancati emolumenti al Tfr». La procedura prevede la segnalazione all’Ispettorato del lavoro che come primo passo convoca le parti nel tentativo di arrivare a una conciliazione: «La controparte non si è mai presentata. A questo punto il pallino è in mano all’Ispettorato». Diversi lavoratori che hanno chiesto l’assistenza della Cgil non avevano i cedolini degli ultimi mesi lavorati: «Le buste paga per il Giglio le compilava una società di servizi all’interno di una delle associazioni di categoria. A settembre il rapporto si è interrotto per problemi economici e da quel momento non sono stati più emessi i cedolini».

STOP ALLE FORNITURE
Alcune aziende dell’ingrosso alimentare hanno interrotto le forniture al gruppo di ristoranti per via dei ritardi nei pagamenti. Altre hanno deciso di consegnare la merce solo a fronte del pagamento immediato. La conferma arriva da un rappresentate: «Dal mio tablet non posso più inoltrare ordini per questi ristoranti, significa che dalla direzione hanno interrotto i rapporti. Mi risultava dovessero avere circa 20mila euro».

COME È SBOCCIATO IL GIGLIO
Una visura camerale ci dice che l’altra metà della proprietà del Giglio è di Darica Simoncelli, entrata nella compagine societaria di recente rilevando le quote da una 40enne che chiede di non essere citata perché partecipò alla fondazione ma di fatto non ha mai avuto ruoli o mansioni nell’attività (il suo nome in effetti suona sconosciuto alla maggior parte di chi ha incrociato le attività dell’impresa). Mehmeti e l’ex socia si conobbero un paio di anni fa a Ravenna in circostanze fortuite. In quella occasione la donna gli parlò di un suo futuro progetto nel terzo settore e, secondo quanto ci racconta lei stessa nel salotto di casa, Mehmeti le disse di essere uno del campo in cui lei voleva investire. Da lì a qualche mese i due arrivarono a un accordo verbale: il giovane sarebbe entrato nella società appena avviata dalla 40enne per operare nel welfare e in parallelo avrebbero aperto la Srl per muoversi nella ristorazione. Ma tra i due cominciarono presto insanabili incromprensioni. Risultato: Mehmeti non è mai entrato nella società della donna che avrebbe anche voluto tirarsi fuori subito dalla nuova azienda ma solo dopo lunghe insistenze è riuscita ad avere la necessaria firma del socio per la cessione delle quote.

LogoLE MANI SULLA TABERNA
Ma come si è sviluppata la scalata di Mehmeti ai due locali di via Mentana? Andiamo con ordine. Nel periodo di Pasqua 2018 il giovane avvicina i titolari di allora della Taberna Boaria, Paulo Rizzo e Adriana Betoni, e si dichiara interessato all’acquisto del locale tramite la società Il Giglio appena costituita. I due avevano già in animo la volontà di vendere e le trattative vanno in porto: 50mila euro per le quote (il Giglio infatti ora controlla il 100 percento della Taberna Boaria Srl) e l’impegno a estinguere tre linee di credito con la banca per altri centomila euro circa. Tutto riportato su un contratto redatto dal commercialista Guido Camprini, scelto perché da tempo è consulente di Rizzo e Betoni, firmato il 25 luglio e consultabile alla Camera di Commercio. «Finora sono stati pagati 19.200 euro – spiega l’avvocata Eleonora Zanolli che assiste i venditori – con due assegni e un bonifico da conti diversi». Poi il rubinetto si è chiuso e la legale è passata alle carte: «Le raccomandate non vengono ritirate e alle Pec non arriva risposta». Garanzie o fideiussioni su cui rivalersi? Nessuna era stata prevista nel contratto. L’unica mossa è stata rivolgersi al tribunale. Il 10 dicembre la giudice Alessia Vicini ha emesso un decreto ingiuntivo esecutivo per 30.800 euro: «Non c’è stata opposizione e sono scaduti i termini per farlo – spiega Zanolli –. A questo punto potremmo procedere anche con dei pignoramenti ma stiamo valutando quale sia la strada migliore per l’interesse dei miei clienti».

JAZZ IN VIA MENTANA
Mentre perfezionava l’ingresso in quello che molti a Ravenna ancora chiamano ex Melarancio, il 26enne aveva già avviato contatti con Loretta Barlatti, titolare dell’omonima Snc alla guida dell’adiacente Labirinto del Gusto. «Nel giro era cosa nota che Barlatti volesse vendere – spiegano gli avvocati Luigi Berardi e Mirco Tonetti –. Un giorno Mehmeti si è presentato come nuovo vicino di casa interessato ad acquisire anche il suo locale per rilanciarlo come jazz club». Le trattative si sviluppano subito dopo l’estate «e la controparte aveva particolare fretta di concludere», ricordano i due legali. L’accordo si trova per 70mila euro per l’avviamento, le attrezzature della cucina e gli arredamenti. Fideiussioni o garanzie di altra natura a copertura di eventuali mancati pagamenti? Anche in questo caso nessuna. E così come forma di tutela si sceglie di procedere con quella che, in gergo tecnico, si chiama vendita con riserva di proprietà: in parole povere dalla firma sul contratto l’acquirente può già operare in prima persona ma fino a quando non ha versato tutta la cifra pattuita non è realmente proprietario della società e chi cede può esercitare le clausole per tornarne in possesso. Dei 70mila euro non è stato versato un euro, la prima cambiale da 40mila euro scadeva il 20 dicembre. «L’unico pagamento è stato quello di qualche migliaio di euro di utenze e affitti pendenti che avevamo chiesto prima della firma dal notaio arrivata il 26 ottobre». E la sera di quel giorno c’è stata la festa di inaugurazione. «È vero che si potrebbe riavere indietro la società – dicono gli avvocati – ma in che condizioni è il locale? A vedere da fuori sembra sia stato svuotato e ci risultano ritardi nei pagamenti degli affitti».

PORTICO E STELLA, AVANTI TUTTA
Oltre ai due locali chiusi appena ricordati, al Giglio fa capo la gestione anche di altri due ristoranti tuttora in funzione. Il Portico a Ravenna, aperto all’inizio di settembre, e l’Hotel Stella di Alfonsine inaugurato il 7 gennaio con uno spettacolo di Ivano Marescotti e Franco Costantini. Nel primo caso il Giglio è entrato nell’immobile di via Faentina alle porte della città lasciato libero dalla curatela del fallimento della società Maggiore. Il marchio non era registrato e per le attrezzature è stato siglato un accordo con il curatore in attesa di una futura asta giudiziaria. Per Alfonsine invece le visure camerali parlano di un affitto di ramo d’azienda dalla società proprietaria dell’edificio. Il contratto è stato firmato il 15 novembre: 60mila euro all’anno per sei anni. Dai proprietari si apprende che finora ogni rata è stata saldata puntualmente e i rapporti tra le società sono ottimali.

IN PRINCIPIO IL PIATTOFORTE
Per completare la mappa della galassia della ristorazione ravennate marchiata Mehmeti va citata l’Osteria Piattoforte a due passi dal Battistero degli Ariani. In effetti si può dire che tutto sia cominciato da questo angolo in centro storico. Da marzo 2018 infatti la gestione è della società Emme Diem di Cesenatico, costituita due mesi prima: le quote sono detenute dalla Giglio e Mehmeti è amministratore unico. Un assetto raggiunto solo di recente. Fino a poco tempo fa il Giglio aveva solo il 5 percento. L’altro 95 percento era di Jacopo Maraldi che, secondo il sito dell’osteria, è l’executive chef del locale. «Il mio imprescindibile Varenne», lo definiva Mehmeti in un post su Facebook tempo addietro. Maraldi, 27 anni, è il rampollo di una famiglia di albergatori e ristoratori del litorale cesenate. Fu il nonno a trasmettergli la passione per i fornelli come lui stesso raccontò a Masterchef: partecipò al talent culinario di Sky nel 2016, l’edizione poi vinta dalla ravennate Erica Liverani, e fu il primo eliminato cadendo su una ricetta di Cannavacciuolo. Alla nascita della Emme Diem, la fettina del 5 percento era intestata al padre del cuoco da reality. Furono Maraldi junior e senior a condurre le trattative, sia per l’acquisto dell’avviamento dallo chef Giuseppe Utili che aveva la gestione in precedenza e sia con la ditta Assisium che è proprietaria dei locali e della licenza. Il contratto con quest’ultima è di sei anni di durata a 3.500 euro al mese, ridotti per i primi due anni come compensazione per lavori di ristrutturazione che di recente sono stati svolti. Fonti riservate ritenute attendibili affermano che i pagamenti mensili finora sono arrivati con puntualità e la trattativa con Utili è andata a buon fine senza intoppi.

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