«Con i carabinieri imputati andavo al casinò a Venezia e in campagna a sparare»

Udienza 9 / La testimonianza di un commilitone di Del Dotto e Tasca, militari della stazione di Alfonsine a processo con l’amico idraulico Tarroni per l’omicidio di un 21enne nel 1987. Il teste fu anche visto in auto in compagnia di uno dei tre nei pressi della zona dove venne trovato il cadavere il giorno prima del ritrovamento

7Andavano in campagna a sparare ai barattoli, come fosse un film western, giocavano al Totocalcio e al casinò di Venezia, avevano debiti e chiedevano prestiti alle banche per lo sfizio di cambiare auto, inseguendo il mito Audi. È un ritratto sommario dei tre imputati per l’omicidio del 21enne Pier Paolo Minguzzi – rapito per estorsione ad Alfonsine nel 1987 e trovato morto dopo dieci giorni nelle valli ferraresi – emerso oggi, 25 ottobre, in occasione della nona udienza del processo che si sta celebrando in corte d’assise a Ravenna dopo 34 anni. Alla sbarra due ex carabinieri – il 59enne Angelo Del Dotto e il 58enne Orazio Tasca – e un idraulico loro amico, il 65enne Alfredo Tarroni. Il profilo è uscito dall’interrogatorio reso da Stefano Giubettini, collega dei militari alla stazione di Alfonsine all’epoca dei fatti. Nella testimonianza del 59enne romano – attualmente in servizio a Modena con il grado di brigadiere capo e poco a suo agio di fronte al microfono – sono emerse una serie di circostanze poco chiare al punto che la procura (pm Marilù Gattelli) si è riservata di chiedere la trasmissione degli atti per valutare l’apertura di un procedimento a carico del teste.

In particolare non sono sfuggite le incongruenze nel racconto di quanto successe il 30 aprile 1987, il giorno precedente al ritrovamento del cadavere di Minguzzi – carabiniere di leva a Mesola e figlio di una famiglia di industriali di Alfonsine – nelle acque del Po di Volano nella località Vaccolino (Ferrara). Il pm ha chiesto a Giubettini di fornire una spiegazione a quanto contenuto in una annotazione di servizio firmata da altri due carabinieri di Ravenna che stavano indagando sul sequestro. I militari – di pattuglia nelle valli di Comacchio – dissero di aver riconosciuto Tasca a bordo della sua Citroen Cx Pallas in compagnia di Giubettini, in due distinti momenti (alle 14.30 e alle 18) nello stesso punto come in un appostamento nei pressi di strada Portorose, in una zona dove poi venne individuata la stalla utilizzata come nascondiglio di Minguzzi dopo il rapimento.

«Stavamo andando a Venezia al casinò – attacca Giubettini per spiegare con un filo di voce – ma si guastò la macchina. Siamo rimasti un po’ fermi per capire se potevamo fare qualcosa e poi decidemmo che io sarei rimasto lì mentre Tasca tornava in autostop ad Alfonsine per prendere la mia auto e venire a riprendermi. Mentre ero da solo ricordo di aver visto passare i colleghi e di aver cercato di fermarli». I colleghi, nel frattempo deceduti, non potranno venire in aula a testimoniare ma nella loro relazione non si fa cenno a nulla di tutto ciò. Così come non si può fare a meno di notare che il punto in cui erano non stava sulla statale Romea che si dovrebbe percorrere da Alfonsine verso Venezia: «Tasca disse che conosceva una scorciatoia e io che ero lì da poco mi fidai».

E poi c’è quella scena di quattro uomini che sparano ai barattoli come fosse il far west. Giubettini ammette che era solito farlo in compagnia degli odierni imputati, quindi compreso un civile. Lo dirà anche lo stesso Tarroni a luglio 1987 quando venne arrestato con Tasca e Del Dotto per un’altra tentata estorsione – ai danni della famiglia Contarini – e l’omicidio di un carabiniere impegnato nelle operazioni per sventare il reato. Per quella seconda vicenda hanno scontato pene tra 22 e 25 anni, ma mai furono indagati per il caso Minguzzi fino al 2018 quando è stato riaperto il cold case.

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