Il premio Strega? Una vera Polveriera «Quella volta che Pasolini si infuriò…»

Parla Petrocchi, “direttore” del riconoscimento letterario più noto
d’Italia. «Nell’albo d’oro manca Calvino, ma poi c’è stata una crisi…»

Ogni anno a luglio c’è una giornata in cui l’aria dell’estate romana diventa più rovente del normale. In quella bollente serata “Gli amici della domenica” annunciano il libro che sarà destinato a entrare negli annali della letteratura italiana. Il Premio Strega da quasi settant’anni fa ribollire il sangue nelle vene dei grandi narratori italiani.

Stefano Petrocchi è direttore della Fondazione Bellonci e segretario del comitato direttivo del premio Strega e nel suo libro La polveriera (Mondadori) racconta gli scabrosi dietro le quinte del premio che tutti gli scrittori vorrebbero vincere.

Petrocchi sarà ospite della rassegna “Il tempo ritrovato” al Caffè Letterario di Ravenna mercoledì 15 aprile alle 18.30.

Il Premio Strega da sempre crea attorno a sé dibattiti infuocati che spesso coinvolgono direttamente anche gli autori. È veramente azzeccato il titolo “La polveriera”…
«La definizione nasce dalla stessa Maria Bellonci che fondò il premio nel 1947 e che si riferiva a come la competizione infiamma gli animi degli stessi partecipanti al premio. Questa struttura non è ristretta ma molto allargata. Ogni anno attorno al premio si muovono le ambizioni di scrittori ed editori che si confrontano e le cui posizioni vengono enfatizzate dalla grande cassa di risonanza che è il premio stesso, sempre seguito dai media. La sua struttura favorisce la chiacchiera, la polemica, ma anche i discorsi seri su come cambiano i temi trattati dalla letteratura italiana e sulla figura dell’intellettuale».
Il suo libro racconta i dibattiti suscitati dal premio dalla prima edizione del 1947 ai sessanta anni seguenti, quali sono state le polemiche più accese?
«Sicuramente quella nata da Pier Paolo Pasolini che nel 1968 si ritira. Pareva quell’anno che la polveriera stesse per saltare in aria».
Cosa fu a far infuriare a tal punto Pasolini che attaccò il premio e gli editori “padroni” su Il Giorno?
«Nel premio si confrontano due mondi diversi: società letteraria e industria editoriale, che finalmente aveva messo su i muscoli. Quell’anno i due mondi si scontrano frontalmente. Da una parte Pasolini e dall’altra Alberto Bevilaqua che vincerà il premio dopo il ritiro di Pasolini».
A vincere il premio sono stati, a parte alcuni casi come quello di Calvino, molti dei grandi della letteratura italiana. Scorrendo l’albo dei vincitori ce ne sono però alcuni di cui oggi non ci si ricorda più e non sono nemmeno più editi…
«Può accadere, è un premio che ha settanta anni di vita, non tutti i premiati entrano nel canone della letteratura italiana. Si nota meno nei primi anni, in cui a vincere era il meglio della letteratura che l’Italia stava producendo. È una sequela di nomi come Bassani, Buzzati, Cassola, Ginzburg, Elsa Morante, Pavese… è la letteratura italiana del novecento al completo tranne i tre casi famosi di Calvino, Pasolini e Gadda. Poi abbiamo un buco con alcune eccezioni come Primo Levi e Tommaso Landolfi, ma c’è sostanzialmente un decennio di autori che non vengono più nemmeno ristampati. Dopo l’epoca dei vincitori che danno luogo a film importanti come Il Gattopardo, La ragazza di Bube, L’isola di Arturo, c’è un vuoto che corrisponde a una crisi della narrativa e del cinema italiano».
Dell’edizione di quest’anno si sta parlando anche più del solito. Cosa dobbiamo aspettarci?
«C’è molto interesse e sarà una edizione particolare perché è cambiato il regolamento. Prima che fossero ufficializzate le candidature abbiamo introdotto due nuove importanti regole. Si voterà alla prima votazione tre libri e non uno solo. Così alcuni equilibri consolidati del voto potrebbero essere rivoluzionati. L’altra innovazione è una clausola di salvaguardia per la piccola e media imprenditoria. Se un editore medio piccolo non è presente nella dozzina finalista verrà recuperato il libro che ha ottenuto il maggior numero dei voti. Da tre anni non erano più presenti piccoli editori tra i finalisti, anche per pochi voti. I piccoli e medi editori rappresentano il 40% del mercato editoriale Italiano».
C’è chi dice che il premio Strega sia diventato il premio degli editori più che quello dei libri…
«Il peso dell’editore è evidente, ma non solo al premio Strega è così in molti altri premi, anche al Campiello. Il peso che la grande editoria ha sui premi letterari è inevitabile, ovunque, anche il famoso premio francese Goncourt spesso è vinto da Gallimard, che è l’editore più importante».
L’edizione di quest’anno si è aperta con la polemica sollevata da Roberto Saviano che ha sollecitato la candidatura di Elena Ferrante, scrittrice anonima. Come avete vissuto da dentro questa polemica?
«Si è creata incertezza sul fatto che la Ferrante potesse partecipare o no vivendo nell’anonimato, ma abbiamo tolto il dubbio. La Ferrante partecipò già nel ‘92. Inoltre abbiamo ricordato che il premio è dato al libro non all’autore. Non ci importa se l’autore ci sia o no. Saviano dice che Ferrante potrebbe sconvolgere equilibri e rimescolare le carte. Può essere, è molto nota in Italia e all’estero. Vedremo se Saviano sarà un buono o un cattivo profeta».
Dall’anno scorso avete introdotto per la prima volta una graphic novel con Gipi, e anche quest anno ce n’è una con la presenza di Zerocalcare. Volete dare un segnale di apertura a questo genere in Italia spesso snobbato? Ci sarà una graphic novel ogni anno?
«Sì è una decisione che il premio Strega ha preso assecondando una richiesta dei lettori. In Italia ci sono autori di grande talento nella graphic novel, perché non includerli? È un’apertura che fa bene. Non è però scontato che ce ne sarà uno ogni anno, dipenderà dai titoli usciti».

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