Il Professore e la musica I tanti volti di Roberto Vecchioni

Atteso in concerto con l’Orchestra Cherubini per il Ravenna Festival, domenica 14 sul palcoscenico del Pala De Andre

Roberto VecchioniDa cantante a scrittore, da musicista a paroliere, da poeta a insegnante, e poi anche attore e, curiosamente, enigmista: tutto questo, e molto altro, è Roberto Vecchioni. In concerto per il Ravenna Festival lo abbiamo intervistato.

Dico la verità: trovarsi di fronte a lei mette un po’ di soggezione. È come relazionarsi contemporaneamente con tante persone diverse, ognuna portatrice della propria arte. Come si mescolano nella sua vita le varie forme d’arte? Come riesce a legarle fra di loro?
«Effettivamente scappo un po’ di qua e un po’ di là, non si riesce a prendermi (ride, ndr). Credo la spiegazione stia nella mia passione per la vita, per la novità, la curiosità, il piacere di cambiare e di scoprire. Anche nello stretto campo musicale: ho una vita jazzistica, una sinfonica, un’altra popolare, colta, passando per il rock leggero fino alla passione per la musica estera che va dal Sudamerica fino all’Est Europa o ancora al Canada. Ho provato di tutto, cerco sempre cose diverse».
Lei ha fatto molta gavetta, soprattutto come autore. Ha cominciato relativamente tardi (27-28 anni), perlomeno “tardi” se consideriamo i canoni odierni dove si viene catapultati al successo in età giovanissima. Crede che sia stato importante per lei?
«Fondamentale direi. Ho imparato tante cose, anche che non volevo fare. Ho acquisito l’arte dello scrivere e del tradurre. Stare vicino ai grandi artisti mi ha aiutato molto. Ho imparato a fare anche musica leggera e da festival, oltre alle cose che piacciono a me. Ho imparato ad adattarmi, sopportare e soffrire. Infatti ho fatto il mio primo disco solo otto anni dopo che avevo cominciato a scrivere canzoni per le case discografiche».

Roberto VecchioniA proposito di giovani, la mente non può che andare ai talent show. Personalmente ho  apprezzato moltissimo il suo mettersi in gioco ad “Amici”. Il suo voler portare un contributo di carattere culturale ad un format considerato di basso livello dai più. Nonostante le critiche snob che ha ricevuto, è orgoglioso di quella scelta? Lo rifarebbe? E in generale cosa pensa dei talent?
«Innanzitutto non me ne frega niente delle critiche. Il mondo va verso quella parte lì e bisogna anche saper accettare i nuovi media. La cosa importante è spiegare ai ragazzi che per cantare ci vuole dignità. La dignità viene anche dalla cultura. È la cultura che ti fa andare avanti. Questo è ciò che ho insegnato ad “Amici”, ma i soloni non lo hanno capito o non lo hanno voluto capire. Siamo nel 2015 e le forme di spettacolo si stanno evolvendo. È chiaro che io sono per la canzone seria, colta. Però devo lasciar spazio a quella che è la manifestazione primaria della canzone italiana cioè la semplicità, le canzoni d’amore, con qualche trucco del mestiere. Perché prima o poi qualcuno che ha il canto nelle vene si trova e gli si può dare spazio».
Sempre in riferimento ai ragazzi: lei che per tanti anni ha avuto (e tuttora ha) a che fare coi giovani per via dell’attività di insegnamento, cosa pensa di aver dato loro (al di là dell’istruzione) e cosa pensa che i giovani abbiano dato a lei?
«A me hanno dato una rinfrescatina ogni mattina, mi han fatto tornare alla loro età (ride, ndr). I giovani sono contrabbandieri di sogni, se li portano dentro, te li vendono sottobanco e tu ci caschi ogni volta, pensi di volertene andare e invece sei sempre con loro. Non voglio sembrare superbo ma credo di aver dato loro tante cose. Molti studenti, anche di anni passati, mi continuano a chiamare e mandare messaggi. Si vede che hanno ricevuto almeno la gioia di vivere che io gli ho comunicato».
Veniamo al Ravenna Festival. Innanzitutto: le piace Ravenna? La conosce? Sa che è stata in corsa fino all’ultimo per essere eletta capitale europea della cultura 2019?
«Certo, ho seguito, conosco benissimo. Ravenna è una splendida città romagnola, un po’ sui generis, se vogliamo. Ravenna è fantastica. Bella per l’arte e per la storia. Si pensi anche solo alla Ravenna bizantina…»

Roberto VecchioniChe tipo di spettacolo proporrà al festival il 14 giugno?
«Faremo uno spettacolo notevole, grosso, impegnativo con molta musica ma allo stesso tempo molto parlato. Discuteremo delle canzoni ma anche del mio ultimo romanzo, Il Mercante di Luce, una storia sulla vita di un professore di greco e latino. Il tutto in maniera allegra ovviamente. Suoneremo una quindicina di brani con un’orchestra sinfonica (la Cherubini, ndr). L’abbiamo già provato a Milano ed è stato un successo meraviglioso».
Domanda banale: lei è un grande scrittore e cantautore, ma c’è una canzone o un disco che avrebbe voluto scrivere lei?
«Anche solo rimanendo in Italia, tantissime. Da “Com’è Profondo Il Mare” di Dalla, a “Via Paolo Fabbri 43” di Guccini, “Alice” di De Gregori. Sono opere dei miei tempi per cui ho un rispetto enorme. Anche “Giubbe Rosse” di Battiato».
Chi le piace nel panorama musicale odierno? Si rivede in qualcuno? Chi è, se esiste, il Vecchioni del 2015?
«Diciamo che noi degli anni ’70 siamo dei singoli, siamo dei lupi solitari, nessuno ci ha più copiato o comunque raggiunto. Hanno tutti intrapreso altre strade. La musica è cambiata: i testi sono diventati più semplici, la comunicazione ha meno sfumature, è o più rabbiosa o più amorosa. I tempi odierni non vogliono più un’analisi larga. Vogliono una sintesi, vogliono la rapidità della canzone. Però di gruppi o persone singole, di cui non faccio nomi per non disturbare gli altri, in Italia ce ne sono tanti che valgano la pena di essere ascoltati».
Lei ha dimostrato di essere molto versatile e trasversale riuscendo a mettere d’accordo critica, un pubblico eterogeneo e vincendo premi diversi tra loro (Sanremo, Festivalbar, premi della critica e Tenco). Qual è il segreto?
«Non è che lo faccia apposta. Non mi metto a scrivere una canzone per il “Tenco”, una per il Festivalbar o una per Sanremo (ride, ndr). Nel mio modo di scrivere ho a volte una grande intensità culturale con cui genero canzoni alte che solitamente ascoltano in pochi; poi ho anche una propensione per la canzone all’italiana, una canzone che, pur usando una terminologia abbastanza elevata, arriva e funziona subito. Questa, se vogliamo, è quella che ho usato per Sanremo».
Progetti per il futuro o che sta già portando avanti? Un nuovo disco? Un libro?
«Adesso musicalmente sono fermo. Ho finito un romanzo (Il Mercante di Luce, Einaudi, ndr) che sta andando benissimo e che continuo a presentare di tanto in tanto in vari posti. Ha venduto più di 60 mila copie, ed è già alla quarta ristampa. Finito questo poi, a parte occuparmi della famiglia, seguirò e sistemerò tutta la mia parte poetica, quella che non ho mai edito. Ho più di 300 poesie da parte. L’anno venturo invece ricomincerò a fare nuova musica».

E allora nell’attesa del concerto del 14 giugno al Pala De Andrè, noi continuiamo a seguire il suo insegnamento: quello spontaneo e genuino: ridere, ridere, ridere ancora, che non si è fatto mancare nemmeno nell’arco dell’intervista.

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