Titta, mito di provincia. «Quella volta che il sindaco si scusò per il nostro concerto»

Il cantante “demenziale” festeggia 25 anni di carriera. Lo abbiamo incontrato prima dello spettacolo in due atti del 12 marzo al Socjale

Titta patrimonio di Ravenna. Magari qualcuno potrà pure scandalizzarsi, ma difficile dare torto al Comune, che ha concesso il patrocinio al concerto-evento del 12 marzo al teatro Socjale con questa sorta di giustificazione, organizzando anche una conferenza stampa per l’occasione in municipio. «Mi hanno fatto sentire importante», ci dice Giuseppe Tittarelli, di fronte a un succo di frutta, al bar. Giuseppe, in arte Titta, per tanti ravennati è ancora “il dottore dell’amore”, un piccolo mito di provincia che al teatro Socjale di Piangipane festeggia (il 12 marzo dalle 16.30) i suoi primi 25 anni di carriera. Da cantante (e basta, perché «non so suonare nulla») di rock demenziale, che ha costruito il suo mito grazie a testi quasi sempre a sfondo sessuale, «non troppo volgari però – ci tiene a precisare – con la parolaccia solo quando viene naturale, da buon romagnolo».

Sicuramente le sue canzoni possono non piacere, per usare un eufemismo – a Tredozio il sindaco ha fatto affiggere in paese il giorno dopo un suo concerto dei manifesti di scusa a «tredoziesi e villeggianti» per lo spettacolo scandaloso –, ma non c’è probabilmente un solo altro artista locale che sia riuscito come lui a regalare almeno un ricordo divertente da conservare nel tempo a migliaia di ravennati, di quelli in particolare cresciuti negli anni Novanta.

Prima ancora di diventare Titta, Giuseppe inizia a scrivere le canzoni «per gioco» nel 1992, poco più che ventenne, una volta abbandonata l’ambizione di fare l’attore (e due anni di scuola di teatro a Roma), insieme all’amico di allora, e vicino di casa, Roberto “Roda” Rotondi. Quella prima cassetta piace agli amici e così in quello stesso anno arriva il primo concerto, in un bar di Godo. «Tremendo dal punto di vista musicale, ma divertente, per noi e per il pubblico». Tanto che al concerto successivo – al teatro Socjale, non per niente scelto come location per questo anniversario, 25 anni dopo – vincono il premio del pubblico del concorso per band emergenti organizzato dall’Arci. Il gruppo di Titta, in quel momento, si chiamava ancora Cerebrolesi, «ma abbiamo pensato che avrebbe potuto offendere qualcuno». E così, al momento di creare una vera e propria band, due anni dopo, nascono le Fecce Tricolori. Il 1994 è anche l’anno del loro primo album, omonimo, che vederlo adesso su Spotify, con tanto di bollino “Il gruppo rock che piace anche alle mamme”, fa un certo effetto. “Telepippa” (su un ragazzo sorpreso a masturbarsi dal padre) e “Figlio di butano” (una ballata «intima», nata nel camerino del Socjale), di quel debutto, sono ancora tra le canzoni a cui Titta dice di essere più affezionato (insieme alla sua prima da solista, “La ballata del tamarro” e a un altro pezzo storico come “Pane e prosciutto”, in cui si narra invece delle vibrazioni positive della “passera”, citando testualmente…). «Da dove nascono i miei testi? Dall’ironia. Anzi, dell’autoironia, in quei primi tempi volevamo parlare soprattutto di sesso, ma dal punto di vista degli sfigati come noi, di chi non riusciva a scopare: paradossalmente poi quando abbiamo iniziato a cantare quelle canzoni è invece arrivata anche la gnocca… Ricordo che telefonavano a casa per cercarmi, ma rispondeva mia madre perché io ero sempre fuori, peccato non ci fossero ancora i cellulari».

Del 1994 è anche il primo tour italiano, anche se Titta il successo lo ha ottenuto in particolare a Ravenna. «Non abbiamo mai avuto una vera distribuzione nazionale, quando ci siamo approcciati con case discografiche vere si è sempre creato fin da subito il problema dei testi, di togliere una parolaccia, sostituirne un’altra. Non ne avevamo voglia. Non ce ne fregava niente, volevamo solo divertirci e già trovare gente che ci pagasse per suonare, all’inizio, ci sembrava incredibile. Ricordo ancora la prima volta che successe, 50mila lire a testa alla Ca’ Bruna. Non pensavamo che poi sarebbe diventato una sorta di mestiere (Titta è riuscito a campare di musica fino ai 30 anni, oggi fa il magazziniere part-time, ndr)…».

Tra i concerti da ricordare, quello del 1995 per il Primo Maggio in una piazza del Popolo affollatissima e quello alla festa dell’Unità di fronte a 5mila persone, ma anche in vari locali in “trasferta”, in Lombardia e Veneto, dove Titta continua ad avere un certo seguito. «Poi c’è stato il caso di Torino, dove siamo finiti a suonare al parco del Valentino in un momento in cui era frequentato solo da spacciatori, delinquenti e prostitute. Durante le prove venne un tipo a parlarci con una pistola sotto il piumino e  alla sera il pubblico era più che altro composto da ubriachi, oltre a una coppia di nostri fan che ci aveva conosciuto in una vacanza al mare. Appena finito il concerto c’è stata una retata con diversi arresti: ci piace pensare che i poliziotti abbiano aspettato la fine perché si stavano divertendo…». Anche Titta e le Fecce furono arrestati, una volta, ma solo per finta. «Ci eravamo inventati una bufala radiofonica, d’accordo con il dj, facendo credere agli ascoltatori che ci avevano arrestato a Bucarest per istigazione all’omosessualità…». La festa di Pieve Cesato con il prete, invece, era vera. «Ci avevano invitato a sostituire un gruppo che aveva dato forfait a una manifestazione cattolica. Durante il concerto ho iniziato a non sentire più la mia voce, nonostante l’impianto funzionasse benissimo: beh, abbiamo poi scoperto che era il fonico, a ogni parolaccia abbassava il volume, per non far sentire nulla al prete…».

La storia delle Fecce finisce dopo circa 12 anni. «Non ci parliamo più da allora e preferisco non tornare sull’argomento». Resta il fatto che le ex Fecce hanno tentato di sostituire Titta senza successo, mentre Titta continua tuttora a fare dischi, coadiuvato per la composizione della parte musicale dall’unico membro storico che lo ha seguito, il chitarrista Giuliano Guerrini. Il nuovo album, il quarto solista, esce (per una nuova etichetta, la Pms Studio) proprio il 12 marzo, si chiama Canzoni di provincia. «Lo presenterò nella prima parte del concerto al  Socjale, mentre nella seconda ci sarà spazio per i pezzi vecchi, con coriste, foto, video realizzati per l’occasione…». E fan in arrivo appositamente anche da Lecce… «In molti verranno da fuori, per questo lo facciamo di pomeriggio». Il rapporto con il pubblico, d’altronde, è sempre stato molto stretto. «A parte le groupie, la cosa bella è che io non ce l’ho fatta, ma alcuni si sono invece sposati dopo essersi conosciuti ai miei concerti. Sono nate amicizie. Altri li vedo a distanza di anni e mi dicono che ora a sentirmi vengono i loro figli. E in effetti li noto tra il pubblico, diversi ragazzini…». Magari qualcuno che ha conosciuto Titta in tv, per la sua ormai storica audizione-lampo a X Factor, in infradito e con in mano un bicchiere di Sangiovese. «È stato un po’ come tornare nei militari, tutti in fila ad aspettare per ore. Devo dire che ritrovarmi faccia a faccia con Morgan mi ha un po’ intimorito, io lui non l’ho mai sopportato, avrei preferito la Ventura, con le donne mi sento più a mio agio, riesco a scherzare con più naturalezza». Il provino, naturalmente, è finito male. «Certo non avevo l’obiettivo di cantare cover a X Factor, l’ho fatto solo per farmi pubblicità, e per una settimana sono passato tutti i giorni su tutti i canali, o quasi. È andata bene per me e per loro, che cercano personaggi particolari da mandare in onda ogni tanto…».

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