Galà dei ballerini italiani a Parigi: «Esaltiamo il repertorio dell’Opéra»

Il 12 giugno in scena al Pala De André. Ne parla il direttore artistico e produttore Alessio Carbone: «Dopo l’addio alle scene non avrei mai pensato che ci si potesse emozionare così tanto»

Francesco Mura Ballerino

Francesco Mura, uno dei primi ballerini dell’Opéra de Paris

Saranno “Les italiens de l’Opéra de Paris” diretti da Alessio Carbone ad aprire il cartellone della danza del Ravenna Festival 2022, il 12 giu-gno alle 21.30, nella cornice del Pala De André. Una serata di gala pensata per tutti gli appassionati dell’arte tersicorea, che è anche una celebrazione del contributo degli interpreti italiani nel Ballet National dell’Opéra di Parigi, tra le più antiche a prestigiose al mondo. A sfilare sul palco, Ambre Chiarcosso, Valentine Colasante, Antonio Conforti, Giorgio Foures, Letizia Galloni, Francesco Mura, Sofia Rosolini, Andrea Sarri e Banca Scudamore, accompagnati dall’étoile francese più quotato Paul Marque.
A parlare dell’evento è l’ex primo ballerino e ora direttore artistico e produttore Carbone, che riesce a coordinare il gruppo, mettendo al contempo in evidenza le qualità di ognuno.

L’ultimo suo spettacolo in scena risale al novembre 2019, poco prima dello scoppio della pandemia, poi si è dedicato alla formazione fino al giugno 2020. Ma il progetto con “Les italiens de l’Opéra de Paris” è in realtà partito sei anni prima…
«Sin da subito mi ha appassionato, e ho visto crescere tanto i ragazzi come Valentina Colasante che è diventata étoile alla fine dello spettacolo Don Chisciotte, Francesco Mura di recente nominato primo ballerino, con tutte le carte in regola per poter aspirare alla promozione a étoile. Il gala che portiamo in giro per l’Europa non è altro che, in piccolo, il repertorio dell’Opéra».

Cosa prevede il programma della tappa ravennate?
«Di certo non mancheranno brani del Don Chisciotte o del Corsaire, un paio di pezzi del repertorio tipico di Simone Valastro, il ballerino italiano diventato coreografo, In The Middle, Somewhat Elevated di William Forsythe, in un alternarsi di pezzi classici e contemporanei».

È corretto dire che i ballerini italiani si siano guadagnati uno spazio mai avuto da altri stranieri nella nota compagnia francese?
«Sì. Da sempre, per scelta, la componente straniera non può superare la quota del 10%. Quando sono entrato io nel 1997, ero il terzo straniero. Oggi ce ne sono 15 su circa 150 ballerini. Se si considera che una decina di questi sono italiani al 100% o italofrancesi, si capisce il peso che riusciamo ad avere».

Quanto ha inciso la pandemia sulla vita dei ballerini dell’Opéra?
«Di certo è stato un momento difficile anche per loro come per tutti, ma meno rispetto ai colleghi freelance che sono stati completamente fermi, senza stipendi e senza sapere se e quando poter ricominciare».

E la guerra in corso in Ucraina?
«Un dramma che ha toccato tanti colleghi, purtroppo. Sono riuscito a organizzare di recente, non senza ostacoli, un galà al teatro San Carlo di Napoli a cui hanno partecipato anche ballerini ucraini dell’Opera di Kiev e russi. Sono molto toccato da quanto sta accadendo non molto lontano da casa e sto ospitando sette ballerini ucraini nella mia casa in Spagna, con la speranza di poter organizzare per loro qualche spettacolo in estate. Ora come ora, non è semplice andare in scena per divertire ed emozionare il pubblico».

Alessio Carbone Ballerino

Alessio Carbone

Lei è figlio d’arte, suo padre è il coreografo e direttore Giuseppe Carbone, sua madre Iride Sauri insegna e sua sorella Beatrice e suo fratello Alvise sono ballerini. La danza è nel vostro dna… Ma è vero che lei voleva diventare calciatore?
«Sì, quando ero un bambino non mi sarebbe dispiaciuto. Ma a casa non se n’è mai potuto parlare. La danza ha sempre rappresentato il nostro legame affettivo, siamo cresciuti in sala di danza e per noi è stato normale continuare a frequentarla. Non mi immagino cos’altro avrei potuto fare… E anche adesso che sono in pensione come ballerino, guardo stupito i miei genitori che sono attivi più che mai nell’insegnamento».

Cosa le consiglia suo padre?
«Vorrebbe che creassi una compagnia a Venezia, la città in cui si è incontrato con mia madre, magari legata al teatro La Fenice. Ma la cosa mi fa paura, non credo ci siano i presupposti in un momento in cui le compagnie hanno più la tendenza a chiudere, purtroppo. Da solo, di certo, è impensabile, ci vogliono sponsor alle spalle».

E intanto si dedica alla produzione per “les italiens” e altri gruppi di ballerini. Che cos’ha scoperto lavorando per così dire dietro le quinte?
«Non avrei mai pensato che ci si potesse emozionare così tanto e vivere l’adrenalina degli spettacoli anche in una posizione più defilata. E, invece, è così: seguo ogni minimo movimento in scena dei ballerini e sono sempre pronto a dare loro consigli. Mi reputo fortunato perché, dopo l’addio alle scene, ho trovato subito la mia dimensione e riesco a organizzare sempre più spettacoli anche grazie a Roberta Righi che mi ha sempre dato fiducia in Italia».

Qual è stato il momento più emozionante nella sua ricca carriera da ballerino?
«Il giorno in cui, vent’anni fa, ho vinto il concorso per primo ballerino all’Opéra di Parigi. Lo avevo preparato con mio padre, quel momento ha rappresentato la sintesi di una vita a livello professionale e affettivo. Non mi aspettavo di vincere, in realtà, perché ero il più giovane, l’outsider e il pronostico pendeva verso altri due candidati. Ricordo che i miei erano in sala e, al termine, mi hanno detto che loro avevano fatto quello che dovevano fare, e che ora potevo divertirmi… L’ho sentito come un passaggio del testimone».

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