L’ente pubblico non pagava ma lo Stato voleva l’Iva: così finì la Valerio Maioli

L’azienda ravennate era un’eccellenza internazionale dell’illuminotecnica ma le difficoltà legate all’intervento
in piazza Plebiscito a Napoli causarono il declino

Maioli

Foto di Nicola Strocchi

Nel 2008, dopo aver illuminato il circuito di Formula Uno a Singapore, Radiocor – l’agenzia di stampa del Sole 24 Ore – parlò addirittura di una possibile quotazione in borsa. Quattro anni dopo il giudice Alessandro Farolfi ne decretava il fallimento. Il caso della Valerio Maioli, eccellenza ravennate dell’illuminotecnica è forse quello più emblematico tra le storie di imprenditori che la crisi e i ritardi dei pagamenti dello Stato hanno messo in seria difficoltà.

Il patron, Valerio Maioli, è morto nel gennaio dello scorso anno. In tanti ne hanno ricordato i successi nel mondo con la crisi economica che ha messo in ginocchio l’azienda con sede in via Classicana. Partita come piccola ditta, era riuscita ad occupare un centinaio di dipendenti. In pochi sanno però che la Maioli inciampò in un mancato pagamento che provocò un effetto domino portandola poi alla chiusura, facendo finire una storia iniziata nel 1977.

È stato proprio uno dei suoi lavori più apprezzati ad aver portato al fallimento la Maioli: alla fine degli anni Novanta l’azienda ravennate si aggiudicò l’appalto per valorizzare piazza del Plebiscito a Napoli. L’appaltatore non era un ente locale ma una società satellite di un’importante azienda pubblica. L’illuminazione di quella piazza oggi è citata come uno dei lavori di pregio della Maioli ma nel 2003 un’indagine interna alla stazione appaltante portò al blocco dei pagamenti. Si parla di una cifra attorno ai 5 milioni di euro e solo dopo due anni, attraverso un accordo tra le parti, si arrivò ad una soluzione. La Maioli incassò meno del dovuto ma i problemi non erano finiti perché a quel punto fu lo Stato a presentare il conto: c’era da pagare l’Iva sulle fatture emesse, anche quelle che non erano state onorate. «Lo Stato – ricorda oggi con amarezza un ex dipendente che preferisce non comparire con nome e cognome – non fece sconti e pignorò anche i crediti dell’azienda presso terzi. Poi arrivò la crisi e la Maioli non si riprese più». Nel frattempo anche le banche strinsero i cordoni della borsa.

L’illuminazione del circuito di Singapore fu il canto del cigno di una ditta che si era già fatta conoscere nel mondo, portando la luce in alcune aree archeologiche di pregio come la Valle dei Templi ad Agrigento o Pompei. A Ravenna è stata la Maioli ad illuminare il complesso di San Vitale e la zona dantesca. «Il lavoro a Singapore non fu sufficiente a fermare la crisi economica. Mi chiedo ancora cosa abbia guadagnato lo Stato da quella vicenda: alla fine non incassò quanto doveva e cento dipendenti rimasero senza lavoro». L’azienda ravennate era un’eccellenza del settore e quasi tutti si sono ricollocati. Lo stesso fondatore, grazie all’esperienza accumulata, si era ritagliato in città un ruolo da consulente: l’illuminazione del Darsena Open Show del 2015, ad esempio, era stata curata da lui che – nel 2003 – aveva ripensato all’illuminazione nella testata del Candiano.

Oggi però il mercato non è più quello di prima: «Le commesse di oggi – dice l’ex dipendente – non sono nemmeno paragonabili a quelle antecedenti al 2008. Quelle cifre ce le sogniamo, non soltanto negli appalti pubblici ma anche tra i privati. È un altro mondo, come se ci fosse stata la guerra in mezzo». Vale la pena ricordare come l’azienda descriveva il suo lavoro nel sito aziendale: “Nell’eterna lotta tra la luce e il buio noi facciamo sì che entrambi possano esprimere al meglio le forme architettoniche affinchè i monumenti illuminati siano in grado di raccontare la loro storia di testimoni della nostra vita passata, presente e futura”.

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