Lo chef stellato dallo stile informale che raccoglie gli ingredienti nei boschi

Giuseppe Gasperoni, 30 anni, ha riportato il più ambito riconoscimento al Povero Diavolo di Torriana: «Il segreto? Provare e riprovare»

Povero Diavolo Gasperoni

Gasperoni del Povero Diavolo

Ha rappresentato l’unica novità in tutta l’Emilia-Romagna, nell’anno più nero (anche) per la ristorazione, durante la recente presentazione della prestigiosa Guida Michelin, edizione 2021. Si tratta della Stella che torna a illuminare Il Povero Diavolo, mitica “osteria” di Torriana di Rimini, rilanciata da Giuseppe Gasperoni, chef di appena 30 anni, reduce comunque da una lunga esperienza tra le altre nella cucina (a sua volta stellata) del Piastrino di Pennabilli. All’inizio del 2018 l’avventura in“solo”, con il più importante riconoscimento arrivato dopo nemmeno tre anni.

Gasperoni cuoco stellato, se l’aspettava?
«No, sicuramente non già quest’anno. Ho comunque sempre cercato di viverla in modo leggero, senza farla diventare un’ossessione. Certo, non si può nascondere che chi fa un certo tipo di lavoro ambisce alla stella Michelin, è un obiettivo».

E adesso cosa cambia?
«Da parte nostra niente. Forse cambierà la percezione dei clienti. O le aspettative. Noi non cambieremo davvero nulla, continueremo a fare quello che facevamo, con il nostro stile. D’altronde dovrebbe essere un riconoscimento a quello che abbiamo già fatto…».

Perché ha scelto il Povero Diavolo per iniziare la propria carriera in solo?
«Volevo fare un investimento restando in Romagna, vicino a Verucchio, dove vivo. Ero interessato a una struttura pronta, non in città. Questa aveva già un nome…».

Era cliente, ai tempi dello chef Parini?
«Conoscevo già da diversi anni Fausto e Stefania (Fratti, proprietari e protagonisti del successo del ristorante nel tempo, ndr). I miei genitori(titolari invece del ristorante romagnolo Casa Zanni, dove Giuseppe ha mosso i primi passi in cucina,ndr) sono stati clienti reciprocamente».

E qual era il suo progetto per questa nuova sfida?
«Il mio desiderio era semplicemente quello di fare ciò che mi piace. Quello di servire tutti i giorni il cliente. Con un servizio che piace a noi, nel nostro stile: giovanile, informale, che non faccia sentire a disagio. Un modo per vivere la quotidianità al ristorante».

Quotidianità che in questo periodo si scontra con l’emergenza Covid. Come state affrontando la questione delivery?
«Lo facciamo nei periodi di chiusura forzata e continueremo a farlo. Certo, ha dei limiti, non è la stessa cosa che venire al ristorante. Dobbiamo pensare a piatti più semplici, in grado di “resistere” al trasporto. Pensare poi a come rigenerarli. Ma i clienti stanno apprezzando, utilizziamo ovviamente le stesse materie prime. A casa cerchiamo di chiedere loro solo procedimenti basici, il 90 percento lo facciamo noi, utilizzando anche il sottovuoto».

Il vostro locale può contare anche sulle camere e quindi avete potuto servire gli ospiti pure a cena, quando gli altri ristoranti non potevano. È un modo per fare un po’ di turismo, in questo periodo strano…
«Sì, nel weekend in particolare ha funzionato, questa formula attira gente. E in generale molti nostri clienti vengono da fuori provincia e anche da fuori regione. In estate ci sono solitamente anche molti turisti stranieri».

Quanto c’è invece della Romagna nella sua cucina?
«Innanzitutto gli ingredienti. Il 95 percento proviene dal territorio. Molte cose andiamo a raccoglierle direttamente noi nel bosco. E in generale l’idea della mia cucina è proprio quella di ricondurre il cliente a sapori già conosciuti, rivisitati in chiave moderna. Cambia l’aspetto, il colore, gli abbinamenti, ma tutto ti riconduce ad anni passati e tradizioni che magari non ricordavi neppure. Spero che la nostra sia una cucina in grado di trasmettere delle emozioni».

Quanto ha imparato da Agostini, lo chef stellato del Piastrino dove lavorava?
«Tanto, mi ha aperto la mente su quello che rappresenta l’alta cucina. Sull’utilizzo degli ingredienti, andando oltre i soliti abbinamenti che ti insegnano a scuola. Soprattutto mi ha insegnato a provare e riprovare. Assaggiare e provare ancora. Solo così nascono grandi piatti, grandi idee. Se stai fermo su quello che sai già, invece, non cresci mai. Devi “muoverti” e provare a studiare soluzioni nuove».

E come ha reagito alla sua decisione di mettersi “in proprio”?
«Mi ha incentivato, mi ha dato una spinta, oltre a una serie di consigli su come iniziare, che ho poi seguito. In particolare sul non voler strafare subito. I primi menù erano infatti molto più semplici, rassicuranti per i romagnoli, con tagliatelle, salumi e formaggi. Poi man mano li abbiamo resi più complessi».

Qual è il piatto a cui è più legato?
«Direi le animelle di vitello con cavolfiore, aringa e miso. Mi piace perché ho utilizzato una frattaglia, un alimento poco pregiato, riuscendo ad abbinarlo a un pesce per un piatto molto equilibrato, per quanto saporito, e che piace tantissimo. Un modo anche per unire alla nostra la tradizione giapponese».

Cucina e tv: le piace Masterchef? Cosa ne pensa?
«Mi sono appassionato alla cucina anche guardando le videoricette in tv degli chef stellati quando ero ragazzino. Di Masterchef non posso quindi che pensare bene, ha cambiato tutto, è riuscito a creare interesse popolare su un determinato settore che fino a dieci anni fa era considerato di élite. Oggi forse grazie anche a Masterchef è diventato normale apprezzare determinate proposte, ci sono molti più appassionati, personalmente, per esempio, ho tanti clienti giovani, attirati dai prezzi abbordabili. In definitiva è un programma simpatico che è riuscito a valorizzare il nostro mondo e tutta l’economia che c’è dietro, a partire dai prodotti italiani».

Le piacerebbe un giorno fare il giudice?
«No (ride, ndr), farei però volentieri l’ospite, una comparsa una volta».

Un’ultima curiosità. Com’è lavorare con la propria compagna?
«Stimolante: sappiamo i nostri difetti, limiti, pregi. Ognuno si occupa dei propri ambiti, direi che così cresce anche la coppia».

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