L’esito del sopralluogo di Arpae, che esclude però «particolari conseguenze per l’ambiente»
Nella mattinata di oggi, mercoledì 27 novembre, su segnalazione del Consorzio di Bonifica della Romagna, Arpae è intervenuta a seguito della ricaduta al suolo di polvere nera a nord della zona industriale di via Bassette di Ravenna, caso segnalato ai giornali dal consigliere territoriale Gianluca Benzoni.
Durante il sopralluogo è emerso che si è trattato di una fuoriuscita di carbon black (carbonio microcristallino utilizzato come pigmento per colorare la gomma) dall’azienda Orion Engineered Carbon di via Baiona 170, a Ravenna.
«La fuoriuscita è avvenuta a causa di un errore umano – sottolinea in una nota Arpae –: durante ordinarie operazioni di riduzione di sovrapressione nei filtri che trattengono il carbon black, parte di questo è stato scaricato su di un filtro in quel momento in manutenzione, escluso dal ciclo produttivo e con la portella aperta. Da tale filtro è avvenuta la fuoriuscita del carbon black».
Dai primi accertamenti di Arpae, considerata la limitata area interessata (zona Idrovora Consorzio di Bonifica), il tipo di materiale (carbonio) e le favorevoli condizioni meteorologiche che hanno evitato la dispersione della polvere in atmosfera (pioggia a partire dalle ore immediatamente successive all’evento), “non sembrano esserci state particolari conseguenze per l’ambiente”, si legge nella nota inviata alla stampa.
L’Azienda si è attivata già nella mattinata per eseguire le operazioni preliminari di pulizia delle aree coinvolte.
Dal 5 dicembre in libreria la guida di 450 pagine dedicata alla regione: un capitolo per ogni capoluogo
Esce il 5 dicembre nelle librerie d’Italia la prima guida turistica della Lonely Planet, un’istituzione nel settore che detiene il 50 percento del mercato italiano, dedicata all’Emilia-Romagna. Cinque autori raccontano in circa 450 pagine i vari volti della vacanza in regione. «Dalle montagne dell’Appennino alle spiagge infinite della Riviera, passando per le città d’arte: la varietà dell’Emilia Romagna è la sua ricchezza, l’accoglienza che riscalda il cuore è la sua anima». Questo l’incipit della pubblicazione.
Disponibile per ora solo in italliano, la guida dedica un capitolo ad ogni capoluogo di provincia e il suo territorio. Tra i 16 elementi che rendono l’Emilia-Romagna una meta imperdibile compaionio Ravenna con i suoi mosaici Unesco, le spiagge e le pinete infinite, Faenza con la tradizione delle botteghe ceramiche e i monumenti del centro storico.
Sono i consiglieri uscenti Bessi e Rontini, l’assessore Corsini e Mirella Dalfiume
Da sinistra: Corsini, Dal Fiume, Barattoni, Rontini, Bessi
La direzione del Partito Democratico, riunitasi ieri sera (26 gennaio), ha indicato i candidati del PD della provincia di Ravenna per le prossime elezioni regionali del 26 gennaio.
Correranno nella lista Gianni Bessi, 52 anni consigliere regionale dell’attuale legislatura, Andrea Corsini, 55 anni che ha ricoperto il ruolo di assessore regionale al Turismo e Commercio, Mirella Dalfiume, 63 anni coordinatrice delle Donne Democratiche, e Manuela Rontini, 41 anni anch’essa consigliera regionale uscente.
Il segretario provinciale Alessandro Barattoni ha commentato ringraziando prima di tutto Mirco Bagnari che invece non si ricandiderà per le prossime consultazioni: «Ringrazio Mirco – ha detto – per tutto il lavoro svolto in questi anni e per le competenze e la passione che ha saputo mettere a disposizione di tutti i cittadini emiliano-romagnoli. Capisco la sua scelta personale e gli sono grato per la dedizione che finora ha dedicato all’amministrazione pubblica e al nostro partito».
«Abbiamo messo in campo – prosegue il segretario – una squadra forte per la quale c’è grande apprezzamento, siamo pronti per affrontare la sfida che ci aspetta. Abbiamo programmi innovativi ancorati a valori solidi. C’è un clima positivo e una grande mobilitazione a sostegno di Stefano Bonaccini. Il prossimo importante appuntamento sarà sabato 7 dicembre a Bologna (Bonaccini ha invitato tutti in piazza Maggiore, ndr) dove saremo tantissimi insieme al nostro presidente che ha chiesto l’impegno di tutti, perché è con l’impegno di tutti che siamo diventati quello che oggi è e rappresenta l’Emilia-Romagna in Italia e nel mondo».
Da tutta la provincia di Ravenna partiranno (attorno alle 14) pullman da prenotare allo 0544 281611 o presso i Circoli del Partito Democratico
La docente universitaria Eugenia Baroncelli sullo stato della cooperazione internazionale, il ruolo dell’Ong, della Banca mondiale (dove ha lavorato per sei anni) e i riflessi della crisi del 2008 sugli aiuti
Eugenia Baroncelli
Eugenia Baroncelli, ravennate, è professoressa associata al dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna e docente alla laurea magistrale in International Cooperation on Human Rights and Intercultural Heritage (I-Contact): tutti i corsi sono in lingua inglese, un’alta percentuale di iscritti non a caso viene dall’estero, un po’ da tutti i continenti, e c’è chi segue il corso a distanza, anche grazie agli strumenti digitali di didattica innovativa di Unibo, perché già impegnato in missioni sul territorio. Un corso di laurea magistrale che ha sede a Ravenna e rappresenta un unicum nel panorama nazionale, un’eccellenza per la città.
Baroncelli si occupa di cooperazione internazionale, ha lavorato alla Banca Mondiale e ha all’attivo una lunga serie di pubblicazioni, l’ultima delle quali, per Routledge, incentrata sulla collaborazione tra Ue e Banca Mondiale sul tema dello sviluppo.
Professoressa Baroncelli, che figure escono da questa laurea magistrale?
«L’obiettivo è quello di formare profili con una formazione interdisciplinare, che coniughi il tema della cooperazione allo sviluppo con quelli, fondamentali, della tutela dei diritti umani e dei diversi patrimoni culturali. L’attenzione ai diritti degli esclusi e alla promozione di un approccio co-evolutivo alla tutela dell’inter-culturalità sono fiori all’occhiello del corso ravennate. Tramite il corso, gli studenti acquisiscono conoscenze nel campo dello sviluppo, acquisendo al contempo un approccio pragmatico, volto a supportarne la formazione in ottica professionale. Le figure che il corso forma comprendono, ad esempio, quella di consulente per lo sviluppo, manager di progetti internazionali di sviluppo, ricercatore, advisor di istituzioni internazionali o nazionali, sia nell’ambito pubblico, a qualsiasi livello, sia nel privato, che è in crescita e comprende oltre alle Ong anche imprese private. Riuscire a coinvolgere finanziatori privati è, tra l’altro, una delle tendenze in atto, i cui effetti potranno essere apprezzati nel tempo».
Molte Ong sono state di recente sotto attacchi politici e non, con accuse provate di comportamenti colpevoli e accuse invece mai dimostrate per esempio di facilitare l’immigrazione clandestina. Sono lo strumento ideale per intervenire in teatri di guerra o comunque di crisi umanitaria?
«Pur non essendo un’esperta del no-profit, che è una galassia enorme e in continua evoluzione, penso di poter dire che le Ong hanno un ruolo fondamentale nei processi di mobilitazione dal basso sia negli stati donatori, sia all’interno dei paesi in via di sviluppo. Le energie e la capacità di auto-organizzazione della società civile sono una misura fondamentale della reattività dei cittadini. Tuttavia, il riferimento generico alla categoria Ong non ha molto senso, sarebbe come parlare in generale di stati o di multinazionali. Il tema meriterebbe risposte specifiche sulle diverse realtà. Detto questo, sono sempre più numerosi i casi di cooperazione tra Ong e organizzazioni internazionali nelle situazioni di crisi umanitaria e nei progetti di sviluppo. In molti casi le Ong sono il primo punto di accesso per gli ultimi e gli esclusi e sono un attore fondamentale nel raccoglierne i bisogni per trasmetterli agli attori pubblici. Le Ong rappresentano, in molti casi, uno dei lati positivi della crescente compenetrazione tra pubblico e privato nella cooperazione internazionale».
A cosa è dovuto questo aumento del settore privato?
«Occorre ovviamente distinguere, dato che del privato fanno parte anche imprese for profit. La crisi globale del 2008 e l’impatto sui bisogni interni agli Stati ha comportato uno spostamento di risorse dalla cooperazione alle necessità interne. All’elemento fattuale della crisi si sono poi unite dinamiche politiche che hanno fatto leva sugli effetti dello shock economico per attivare paure latenti, soprattutto nei confronti dei migranti, dentro gli elettorati. Si tratta di dinamiche complesse, che hanno portato in effetti a un ridimensionamento del pubblico e a un ampliamento dell’imprenditoria privata nei finanziamenti allo sviluppo».
Le Ong stanno quindi supplendo alle mancanze delle istituzioni? Penso in particolare al Mediterraneo e alle operazioni di salvataggio dei naufraghi.
«Il problema è che l’Ue non è stata in grado di dotarsi delle competenze per gestire un problema che invece è eminentemente regionale. E così le risposte finiscono per essere di tipo bilaterale, o mini-laterale. Ci si limita al Paese nelle cui acque territoriali si trova a transitare il natante, o a spostare il problema delegandone la gestione ai paesi di transito, un approccio che non va nella direzione auspicata dalla visione multilaterale della cooperazione allo sviluppo promossa dall’Onu. Abbiamo 75 anni di esperienza alle spalle, in cui molto si è appreso in materia di tutela multilaterale dei diritti dell’individuo. Abbiamo ereditato un grosso bonus di saggezza, e penso anche ai valori civili promossi attraverso il processo di costruzione dell’Europa unita. Purtroppo adesso siamo di fronte a un momento di rallentamento dell’integrazione, di ripiegamento delle opinioni pubbliche, e di crisi delle leadership, sia nel cuore dell’Europa, che in ambito transatlantico». Ue a parte, come è possibile che l’Italia che fa parte dell’Onu sottoscriva patti con la Libia sui campi di prigionia dei migranti che vengono condannati da agenzie dell’Onu stessa, come l’Unhcr? Non c’è un cortocircuito logico, politico e forse giuridico?
«Sembra che ora il governo italiano stia ridefinendo quegli accordi. Come dicevo prima, ha prevalso la via bilaterale su quella regionale o multilaterale, con l’aggravante che gli accordi sono stati stretti con un interlocutore in condizioni estremamente precarie, il “non-sistema” libico. E questo è per la verità un problema di tutte le autorità che negoziano con paesi in via di sviluppo dove sono in atto conflitti militarizzati, e più in generale caratterizzati da elevata fragilità istituzionale. Quando si interviene e si finanzia una parte in causa occorre fare particolare attenzione, diversamente si rischia di diventare complici. Per questo sono fondamentali organismi come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati».
A proposito di organizzazioni internazionali, lei ha lavorato per 6 anni presso la sede centrale della Banca Mondiale a Washington, e poi si è occupata di questa organizzazione, e dei suoi rapporti con l’Ue, anche nel suo ultimo libro The European Union, the World Bank and the policimaking of aid. Spiega a noi profani qual è il ruolo oggi di questo ente e come è cambiato?
«Si tratta della più grande banca multilaterale di finanziamenti allo sviluppo, cui aderiscono 189 paesi. In origine era certamente il principale finanziatore, oggi non è più così, anche se resta l’unico a base multilaterale. Ci sono nuovi soggetti regionali che si stanno affermando, come la Ndb (New Development Bank, anche detta Brics Bank, voluta da Cina, Brasile, Sudafrica e Russia). Queste banche tuttavia, hanno una vocazione regionale – e non sono in grado di finanziare – come invece fa la Banca Mondiale – progetti su scala globale (penso ai fondi fiduciari per il contenimento delle pandemie o ai fondi per la gestione delle emergenze umanitarie). Inoltre, esse hanno uno stile molto diverso di finanziamento, e non condizionano i paesi creditori al rispetto dei principi di buona governance e tutela dei diritti umani che contraddistinguono invece i finanziamenti della Banca Mondiale. Per questo ritengo che la collaborazione tra organizzazioni internazionali che condividono uno stile di azione improntato al rispetto per i diritti fondamentali degli individui e ai criteri della buona governance sia di crescente rilevanza per il futuro. Anche se più strade dovrebbero essere battute per migliorarle, la Banca Mondiale e la Ue hanno molti aspetti positivi. Se ben perseguiti, i frutti della loro cooperazione nel sostegno allo sviluppo rivestiranno una importanza crescente nel nuovo contesto globale».
Quanto spende l’Italia per la cooperazione internazionale? I finanziamenti sono in calo o in aumento?
«L’Ocse si era posta l’obiettivo dello 0,7 percento rispetto al Pil, anche se la media è ferma allo 0,31 percento e l’Italia è addirittura allo 0,24. Per fortuna ci sono paesi come Svezia e Regno Unito che invece superano l’1 percento. Ma a fronte di un generale rallentamento, ci sono paesi come gli Emirati Arabi che invece hanno aumentato le donazioni (anche se non la trasparenza di questi finanziamenti)».
Ma questi aiuti che scopo devono avere? Qual è la filosofia? Dobbiamo “aiutarli a casa loro” solo per evitare che “vengano a casa nostra”? È davvero questa la soluzione e lo scopo?
«Eviterei di generalizzare e porrei invece l’accento sulla necessità di fornire risposte adeguate ai diversi tipi di bisogni. Da un lato occorre fare di più per l’integrazione e l’inclusione entro i paesi industrializzati, dall’altro non ha senso fermare flussi di persone che passano attraverso le frontiere. Non si possono costruire muri in eterno, così come non si può vivere in sistemi chiusi al resto del mondo: l’integrazione è in atto e crescerà ulteriormente, si tratta di capire come gestirla. Oggi il sistema multilaterale di cooperazione allo sviluppo ha molti più strumenti ed esperienza rispetto al passato, dobbiamo saperli usare. Mi sentirei di dire che il sostegno allo sviluppo e all’inclusione vanno perseguiti dove ce n’è bisogno. Soprattutto occorre capire che la cooperazione allo sviluppo è un investimento per il futuro per tutti, perché viviamo in un mondo globale dove avrà sempre meno senso distinguere tra “casa nostra” e “casa loro”».
Il 9 dicembre al teatro Alighieri. Per l’occasione si esibiranno anche 170 bambini delle scuole elementari e medie
Lunedì 9 dicembre alle 21 il tradizionale Concerto di Natale promosso da Emilia Romagna Concerti e dal Comune di Ravenna approda per la prima volta al Teatro Alighieri con molte conferme e alcune novità.
Come ogni anno il Concerto fa parte di una serie di iniziative musicali che dopo le tappe italiane di Ravenna, Forli (7 dicembre) e Cervia (8 dicembre) toccheranno la Chiesa di Santa Caterina alla Natività di Betlemme (11 dicembre) e la Chiesa di Notre Dame di Gerusalemme, sotto la direzione artistica del Maestro Paolo Olmi.
Sul palcoscenico del Teatro Alighieri si esibirà come sempre la Young Musicians European Orchestra, diretta per l’occasione dal giovane Maestro Matteo Parmeggiani e accompagnata da tre solisti: l’oboista Simone Fava, “storico” primo oboe dell’Orchestra, il violinista Vikram Sedona, a vincitore di concorsi internazionali, e il violoncellista francese Bruno Philippe, già avviato a una carriera concertistica e discografica di livello mondiale.
Al termine del concerto 170 piccoli coristi provenienti dalle scuole Guido Novello, Mordani e Randi di Ravenna, dalla scuola primaria e secondaria Castiglione di Ravenna, dalla San Vincenzo di Lugo e dalla scuola Primaria e Secondaria di Modigliana e Tredozio intoneranno tre canti di Natale preparati dalle loro insegnanti per la gioia di parenti, nonni e genitori.
Il Concerto di Ravenna ha anche una grande valenza solidale: a tutti i partecipanti è richiesto di portare beni di prima necessità quali pasta, biscotti, the, caffè, olio di semi e d’oliva, o prodotti per l’igiene personale come shampoo, bagno schiuma, dentifricio e spazzolini da denti.
Tutto il materiale ricavato sarà raccolto e distribuito dalla Caritas di Ravenna e dal Banco Alimentare alle persone e alle famiglie in difficoltà in occasione delle festività natalizie.
Da alcuni anni poi, la presenza in Terra Santa della Young Musicians European Orchestra è anche un’occasione per incontrare bambini, medici e famiglie del Caritas Baby Hospital, la struttura che si prende cura gratuitamente di tutti i bambini israeliani, palestinesi e giordani. Il concerto sarà anche l’occasione effettuare offerte da devolvere all’ospedale.
I biglietti per il concerto hanno un costo che varia da 5 a 30 euro e si possono acquistare presso la Biglietteria del Teatro Alighieri oppure online sul sito http://www.teatroalighieri.org.
A Palazzo Rasponi un incontro-riflessione sul tema del muro con il docente Marchi e il sindaco De Pascale
Enrico Liverani
La frase “Sempre dalla parte di chi ha un diritto in meno”, era il manifesto dell’impegno politico e sociale di Enrico Liverani, assessore del Comune di Ravenna e candidato sindaco del Pd deceduto nel 2016 a causa di un malore. Proprio il tema dei diritti umani sarà al centro dell’iniziativa che il Comune di Ravenna organizza annualmente per ricordarlo.
Domani, giovedì 28 novembre, alle 18 a Palazzo Rasponidalle Teste si svolgerà l’incontro “Diritti attraverso il muro”: l’obiettivo è quello di mettere a confronto, anche in prospettiva intergenerazionale, sguardi diversi sull’evoluzione del tema dei diritti negli anni che hanno fatto seguito alla caduta del muro di Berlino. Vuole anche essere l’occasione per dare spazio e voce ai giovani che si impegnano su concreti progetti di sensibilizzazione riguardanti cittadinanza europea e diritti umani, come quelli che stanno partecipando a “Europe 2019 Attraverso il Muro” e “Il mondo intorno”, promossi dall’assessorato alle Politiche europee e cooperazione internazionale del Comune e cofinanziati dalla Regione Emilia-Romagna.
Il programma dell’evento prevede una riflessione introduttiva a cura di Michele Marchi, professore di Storia contemporanea del Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna-Campus di Ravenna, dal titolo Berlino 1989-Belgrado 1999: i diritti umani dal trionfo all’illusione?. Ad essa seguirà la tavola rotonda con lo stesso Marchi, il sindaco Michele de Pascale, Ilario Salvemini e Naomi Sugita Reis, volontari di Europe 2019. Modererà Cristina Calvano, studentessa in Protection of Human Rights (UniBo) e tirocinante in Politiche europee. In conclusione, immagini a cura dei volontari e delle volontarie “Europe 2019 attraverso il muro” e “Il mondo intorno”.
Investiti 7.200 euro per scovare chi odia gli animali. Pronta la convenzione con la prefettura di Bologna
Il Comune di Ravenna mette a disposizione della polizia municipale le fototrappole per monitorare e sorvegliare le aree verdi e le zone in cui negli ultimi anni si sono verificati episodi di avvelenamento. L’investimento, pari a 7.200 euro, dovrebbe essere finanziato con i fondi ministeriali. Ad occuparsene per conto del Governo è la Prefettura di Bologna (il progetto interessa diversi Comuni in regione) che lo scorso 5 agosto ha accolto le richieste e invitato i Comuni a presentare i progetti per il finanziamento. Nei giorni scorsi è stata discussa in giunta la convenzione con la Prefettura bolognese per lo stanziamento di risorse che i vari enti locali si impegnano a utilizzare per l’acquisto di fototrappole.
Negli ultimi anni le segnalazioni in merito a bocconi avvelenati si sono moltiplicati. Ricordiamo ad esempio il caso del quartiere San Giuseppe ma anche la vicenda di Riolo Terme dove, nel 2016, un uomo fu arrestato dai carabinieri per maltrattamenti: oltre ad attentare agli animali con polpette contenenti chiodi uncinati rivendicava le sue azioni e l’odio contro gli animali con tanto di volantini.
Le richieste di mettere le fototrappole, di fronte a questi episodi, si sono moltiplicate nei mesi e sono arrivate in tal senso, lo scorso anno, sollecitazioni dal consiglio comunale e anche da quelli territoriali. Ora si passa dalle parole ai fatti.
Oggi, 27 novembre, alla Sala Buzzi di via Berlinguer saranno presenti la regista Wilma Labate, la sceneggiatrice Federica Iacobelli e il film-maker Fabrizio Varesco
La regista Wilma Labate alla 75esima mostra del cinema di Venezia nel 2018
Oggi pomeriggio, 27 novembre, alla sala Buzzi di via Berlinguer 11 si terrà una conversazione sul tema “Io no. Il dissenso della donna nel cinema”, a cura dell’associazione Femminile Maschile Plurale e di Ravenna cinema. L’evento, inserito nel programma della rassegna ravennate “Una soscietà per relazioni” contro la violenza sulle donne, ha l’obiettivo di analizzare il tema del dissenso delle donne nel settore audiovisivo, un’industria che ha un’importanza strategica nella formazione e anche nell’eliminazione degli stereotipi di genere.
L’incontro inizierà alle 17.30 con una intervento che vede la partecipazione della regista Wilma Labate, della sceneggiatrice Federica Iacobelli e del film-maker Fabrizio Varesco. Dopo una pausa conviviale, si proseguirà alle 20.30 con approfondimenti per sequenze tratte da alcuni dilm di Wilma Labate. In chiusura, un ricordo di Valentina Cortese.
Wilma Labate è regista e sceneggiatrice italiana. Ha lavorato per la Rai a diversi programmi tv, documentari e fiction. All’inizio degli anni Novanta, realizza il suo primo lungometraggio, Ambrogio (1992). Nel 1996 il film La mia generazione viene selezionato per entrare nella cinquina degli Oscar per il miglior film in lingua straniera. Nel 2001 gira due documentari incentrati sui fatti e i temi del G8 di Genova, Genova. Per noi e Un altro mondo è possibile. Nel 2003 e nel 2018, partecipa alla Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, rispettivamente con i documentari Maledetta mia e, nella sezione Sconfini, Arrivederci Saigon.
Federica Iacobelli è scrittrice, sceneggiatrice e drammaturga. Insegna Sceneggiatura all’Isia di Urbino ed è autrice di script per film documentari, serie di animazione, programmi televisivi e audioguide kids, in collaborazione tra gli altri con la Rai (L’Albero Azzurro), Antenna International, Marechiaro film di Antonietta de Lillo e Aranciafilm di Giorgio Diritti. È autrice di testi teatrali rappresentati in Italia e Francia, tra i quali Il était de mai, Novelle fatte al piano e con Marinella Manicardi La Maria dei dadi da brodo e Nelle mani di Anna.
Fabrizio Varesco inizia la sua carriera lavorando prevalentemente in ambito teatrale. Dagli anni Ottanta organizza rassegne e incontri dedicati alla cultura cinematografica, si dedica alla regia e produzione di documentari e svolge corsi di linguaggio cinematografico nelle scuole. Nel 2012 fonda l’Associazione Ravenna Cinema. Negli ultimi anni si è dedicato ai problemi legati alla diffusione del gioco d’azzardo, realizzando nel 2015 il documentario Game over. Dirige la Varesco Produzioni, specializzata in documentari a carattere culturale, didattico e artistico.
Le associazioni Dalla Parte dei Minori, Linea rosa, Udi e Casa delle Donne chiedono che il medico sia spostato da Port’Aurea: «Dovrebbe essere in un’altra struttura in quanto condannato all’ergastolo»
Processo Cagnoni per l’ omicidio di Giulia Ballestri
Un sit-in davanti al carcere di Ravenna per chiedere il trasferimento di Matteo Cagnoni, il dermatologo condannato all’ergastolo (in primo grado e in Appello) per aver ucciso la moglie Giulia Ballestri. A promuoverlo, a cadenza settimanale, sono le associazioni parti civili nel processo: Dalla Parte dei Minori; Linea Rosa; Unione Donne in Italia e Casa delle donne di Ravenna.
Le associazioni ritengono ingiusto che il medico si trovi in carcere a Ravenna nonostante la sua condizione di ergastolano. Era stata la stessa difesa di Cagnoni a chiedere il trasferimento del dermatologo che era detenuto alla Dozza di Bologna ma voleva tornare più vicino a casa. Trasferimento concesso dal Tribunale, con le rimostranze delle associazioni femministe.
Da venerdì 29 novembre, ogni settimana, ci sarà quindi un sit-in (dalle 17.30 alle 18) «per ribadire che la presenza di Matteo Cagnoni nel carcere della città di Ravenna è in imbarazzante contrasto con le disposizioni vigenti prescritte e previste per la gestione dei detenuti e per i loro trasferimenti».
Il rispetto da parte delle istituzioni – scrivono le associazioni – «per Giulia Ballestri e i suoi figli pretende l’applicazione della legge senza alcuna discriminazione».
Frasi shock al Sarti di Faenza alla presenza dello scrittore Roberto Matatia, da anni impegnato nella sensibilizzazione al tema della Shoah
Roberto Matatia
È successo ieri sera, 26 novembre, al cinema Sarti di Faenza.
Roberto Matatia, noto scrittore locale di origine ebraica molto attivo nell’opera di testimonianza e sensibilizzazione al dramma della Shoah, è stato coinvolto in un episodio a dir poco spiacevole mentre si trovava in sala assieme alla sua famiglia. Matatia era in attesa dell’inizio della proiezione quando ha colto le parole della conversazione che alcune persone stavano tenendo dietro di lui:«Mi sono rotto i coglioni di questa Shoah etc etc, una memoria pilotata dagli ebrei!», si legge sul post pubblicato sulla sua pagina Facebook. Al che lo scrittore ha reagito indignato per le parole udite:”Mi giro e gli dico di vergognarsi di quello che sta dicendo: «Ma lo sa che io sono ebreo, e che la mia famiglia è stata massacrata ad Auschwitz?»”. Tuttavia, la risposta che ottiene è tutt’altro che una scusa:«Lo so che lei è ebreo. La Shoah è stata inventata dagli ebrei per dominare il mondo. Si informi meglio». L’episodio, come lascia intendere lo stesso Matatia, non è il primo ad essergli capitato; ad esso si accompagnano minacce, non troppo velate, ricevute via messanger da persone a lui sconosciute.
Raggiunto telefonicamente, lo scrittore faentino ha espresso i suoi sentimenti sul pensiero antisemita che purtroppo, a più di ottant’anni dall’emanazione delle leggi razziali in Italia, è ben lungi dall’essere stradicato:«È raggelante il disprezzo con cui la persona ne parlava – rivela Matatia – Quello che posso dire è che sono molto amareggiato, perchè mi chiedo allora che senso abbia tutto l’impegno che metto nel parlare della Shoah e della storia della mia famiglia. C’è tanta amarezza e tanta rabbia».
Alle otto di mattina un rovescio ha colpito la zona industriale. Il consigliere territoriale testimone dell’accaduto
Una pioggia nera si è abbattuta alle Bassette di Ravenna. A segnalarlo è il consigliere territoriale di Lista per Ravenna Gianluca Benzoni, testimone dell’accaduto e autore delle foto che pubblichiamo: «Erano circa le otto del mattino quando sulle Bassette di Ravenna – scrive Benzoni – una nube nera si è abbattuta al suolo. Molte le vetture ricoperte da residui simili al carbone, diversi i cittadini colpiti. Non sappiamo cosa stia succedendo, né dove tutto questo sia partito, ma di certo auspichiamo l’immediato approfondimento da parte delle autorità competenti per scongiurare qualsiasi fenomeno di tossicità».
In manette un 43enne che aveva tenuto per sé il secondo bancomat di un pensionato e arrotondava così lo stipendio
Aveva fatto indebiti prelievi per poco meno di 30mila euro ad un cliente, usando il secondo bancomat mai ritirato. Un 43enne è stato arrestato dai carabinieri di Ravenna all’esito di un’indagine che ha portato l’uomo ad essere considerato responsabile delle sottrazioni. Secondo quanto riportato dal Resto del Carlino di Ravenna e dal Corriere di Romagna oggi in edicola, l’uomo – con un passato da direttore in una filiale in centro storico – avrebbe utilizzato per ingenti prelievi il conto di un pensionato. Il tutto è stato innescato dalla denuncia dello stesso pensionato. Inizialmente si pensava ad un uomo che aveva sottratto la tessera all’anziano, poi dalle indagini svolte in collaborazione con l’istituto di credito è emersa un’altra verità. Il direttore di banca nei mesi scorsi era stato assunto, per cause indipendenti da questa vicenda, da un’altra banca.