Il renziano Collina: «Il Pd ha pagato gli effetti della crisi. Ripartiamo da capo»

Rieletto nell’uninominale, il senatore faentino spiega così la sconfitta: «Il voto ai nostri avversari è stato di “reazione”. Ma non credo che le loro proposte siano realizzabili»

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Stefano Collina e Matteo Renzi

Scampato alla debacle elettorale del Pd, il faentino Stefano Collina è stato riconfermato al Senato per il secondo mandato nel collegio uninominale di Ravenna (correva peraltro senza paracadute nel proporzionale). Renziano della prima ora si troverà in Parlamento in una fase a dir poco complicata per il partito. Lo sentiamo all’indomani della direzione del Pd che ha deciso di affidare la guida al vice di Matteo Renzi – dopo le dimissioni del segretario – Maurizio Martina fino all’assemblea prevista per aprile.

Senatore, si aspettava un risultato così risicato?
«Il risultato generale è stato sicuramente inferiore alle attese, e dunque aver raggiunto l’elezione in un simile contesto è sicuramente importante. Detto questo, non è che noi abbiamo preso zero voti, abbiamo una base importante da cui ripartire».
Per andare dove?
«Va portata avanti l’idea di un partito moderno, vanno trovate risposte nuove a problemi nuovi, non dobbiamo perdere la spinta all’innovazione».
Ma dunque, questa spinta non c’era nel Pd? Per cosa vi hanno punito gli elettori?
«In tutta Europa c’è stato un terremoto politico, dalla Brexit del Regno Unito alla scomparsa dei socialisti in Francia fino al risultato tedesco con la Spd penalizzata e lacerata e alla situazione della Catalogna in Spagna. Noi siamo arrivati per ultimi e, come dicevo, si tratta sicuramente di una sconfitta, ma non di un azzeramento. Credo che abbiamo pagato anche noi i lunghi anni di crisi».
Insomma, siete stati penalizzati dal fatto che eravate al governo.
«Diciamo che guardando anche a chi ha vinto, mi è sembrato un voto di reazione. Noi abbiamo fatto proposte concrete e realizzabili, ma anche se non mi sembra sia stato altrettanto vero per gli altri, non abbiamo convinto gli elettori a proseguire per la strada che abbiamo tracciato».
Quindi ci conferma che va in Parlamento per fare l’opposizione?
«Non vedo l’ora di metterli alla prova per vedere come il reddito di cittadinanza sia di fatto irrealizzabile, così come la flat tax proposta dal centrodestra».
Quindi è tra coloro convinti che a spostare il voto sul Movimento 5 Stelle sia stato proprio il tema del reddito di cittadinanza?
«Basta vedere la mappa del voto…».
Ma non è che al Sud semplicemente non hanno ritenuto voi efficaci e piuttosto che votare Lega abbiano preferito dare fiducia al Movimento?
«Il divario tra Nord e Sud in Italia non è certo di oggi ed è dovuto a cause strutturali. Noi avevamo fatto una proposta per dare omogeneità al Paese, la riforma costituzionale che avrebbe rivisto la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, ma come noto è stata bocciata con il referendum del 4 dicembre. Ora sta ad altri governare e vedremo quello che saranno capaci di fare».
Cosa si immagina che accadrà in Parlamento?
«Molto si capirà da come si formeranno i gruppi parlamentari, anche nel 2013 nacquero gruppi che non erano presenti alle elezioni».
C’è chi dice che questo potrebbe succedere anche con il Pd. C’è chi dice che Renzi sia pronto a fare il suo partito.
«Mi pare che abbia chiaramente chiuso con queste ipotesi dicendo che non andrà da nessuna parte. Bisogna ripartire dal Lingotto (dove di fatto è nato il partito con il discorso di Veltroni del 2007, ndr), dalla fondazione del Pd come partito che parla al paese e al futuro, oltre i singoli passaggi elettorali che possono anche essere negativi. Ora dobbiamo esercitare discernimento su come attivare nel concreto nuovamente quella visione».
Ma secondo lei Renzi potrebbe tornare a competere per la leadership del partito? Magari più avanti, dopo un periodo di guida Delrio?
«Si è appena dimesso, non mi pare sia questo il tema al momento attuale. Resterà sicuramente una risorsa del partito, ma da questa fase dobbiamo uscirne insieme, non dobbiamo sciupare questa occasione di discussione che ci viene offerta anche dal fatto di trovarci all’opposizione. Non dobbiamo correre sulla scelta della leadership perché conosciamo gli orientamenti e le sfumature di pensiero presenti, dobbiamo ragionare di più su come ripartire. Poi arriverà anche il momento della scelta del- la leadership che ciascuno riterrà migliore, per il futuro».
Eppure i giornali parlano di faide interne e regolamenti di conti…
«Le saghe fanno vendere più copie, ormai si sa, e quale saga migliore del Pd che fornisce ogni giorno nuovi materiali? Ma ripeto, ora serve lavoro di condivisione e confronto. Anche perché abbiamo visto che chi ha fatto la scelta di abbandonare il Pd non è stato certo premiato».
In effetti, se c’è qualcuno che è andato peggio di voi sono sicuramente gli ex di Leu, spera che torneranno nel Pd?
«Il Pd è un partito ampio e plurale che ha sempre parlato al Paese, ma, pur nella diversità bisogna anche avere basi condivise che, come dicevo, non possono certo essere quelle di una visione ante-Lingotto, anche perché abbiamo visto che non dà riscontri positivi nelle urne. Ne abbiamo avuto la controprova. E noi, per quanto sconfitti, siamo ancora il secondo partito del paese».
Ma lei si definisce ancora renziano?
«Non certo nel senso, deteriore, con cui è stato usato il termine, cioè come un’obbedienza fideista al leader. Matteo Renzi ha incarnato e incarna una forte voglia di cambiamento della sinistra, supportata dalla dimensione della concretezza per affrontare le mutazioni di una società post-industriale, digitale, complessa, unita anche a una grande passione per l’Italia. In questo senso sono ancora renziano. Le lea- dership sono questo, uomini in grado di dar forma a idee, ma è successo sempre in passato con personalità che tutti ricordiamo essere stati leader dei grandi partiti».
Come giudica il fatto che non si sia presentato alla prima Direzione del partito dopo la sconfitta elettorale?
«Un gesto che non è una resa perché ha chiarito che resta nel Pd, ma che invece vuole aprire una fase di discussione sgombrando definitivamente il campo da valutazioni personalistiche che troppo spesso hanno fatto scudo al vuoto di sostanza di molte critiche».
Tornando a Roma, il primo appuntamento è con l’elezione dei presidenti della Camere. Sarebbe pronto eventualmente a votare Calderoli, che sembra sia il candidato della Lega?
«Io credo che noi come Pd faremo le nostre proposte perché abbiamo persone di valore che possono sicuramente essere candidati a quelle cariche. E mi immagino che, non avendo i numeri, non otterremo l’elezione. Ma noi voteremo il nostro candidato. Mi sentirei di escludere strane alchimie per quanto ci riguarda, saranno gli altri eventualmente a trovare accordi».

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