Morrone: «Sistema da cambiare, chi ci critica non conosce il decreto Sicurezza»

Il responsabile della Lega Romagna alla vigilia della manifestazione pro Salvini di Roma: «All’inizio nessuno credeva nemmeno che avremmo fermato gli sbarchi»

Morrone

Jacopo Morrone

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha firmato il decreto Sicurezza e che è al centro di tanti attacchi sarà sostenuto in piazza l’8 dicembre a Roma da una manifestazione che mobilita persone anche dai territori. Alcune centinaia di militanti sono in partenza da tutta la Romagna, dove i posti nei pullman sono andati esauriti. «Una risposta molto soddisfacente nonostante la giornata festiva» ci racconta Jacopo Morrone, segretario Lega Romagna, eletto in parlamento in questo collegio e oggi sottosegretario alla Giustizia, che riusciamo a contattare durante una riunione con la segretaria provinciale della Lega ravennate Samantha Gardin.

Morrone, cosa risponde al coro di voci secondo cui il Decreto sicurezza di Salvini finirà con l’aumentare il numero degli irregolari, aggravando alla fine anche i problemi di ordine pubblico? Vediamo in tv situazioni di gente che si è improvvisamente trovata in mezzo alla strada…
«Innanzitutto il decreto non è retroattivo, inoltre ci tengo a precisare che non è un decreto della Lega, come all’inizio si diceva, ma di tutto il parlamento visto che contro ha votato di fatto solo il Pd (più i pochi parlamentari di Leu e pochissimi disobbedienti del Movimento 5 Stelle, ndr.). Il punto è che il Pd ci ha portato in questa situazione che è per forza tuttora incontrollata. Il sistema andava cambiato. Abbiamo prima di tutto bloccato gli sbarchi per poi procedere con il lavoro di identificazione delle persone; al nostro arrivo c’erano 140mila domande di richiedenti asilo, oggi sono 90mila perché abbiamo istituito dieci commissioni speciali che devono valutare chi ha davvero requisiti per avere protezione, e per loro è previsto un percorso di integrazione, ma solo per chi davvero scappa da guerre e persecuzioni. Il terrorismo sulla situazione viene spesso fatto da quegli enti che ne avevano fatto business e oggi si vedono ridurre i soldi da 35 a 19 euro al giorno per ogni profugo. Un risparmio enorme che andrà agli italiani».
E i soldi che vengono dalla Ue?
«Sono solo una minima parte rispetto a quanto spendiamo di soldi degli italiani».
Ma siete certi che con questa cifra si potrà garantire lo stesso l’accoglienza e ci sia ancora qualcuno disposto a lavorare a progetti così al ribasso? Non tutti hanno lucrato, nel nostro territorio ci sono situazione virtuose…
«È un calcolo fatto sui costi vivi, non campato per aria. Con 19 euro non ci sono più i margini per nessuno per arricchirsi, come è avvenuto in passato. Anche qui ci sono state cooperative che hanno sfruttato i margini per appianare magari altre situazioni o realtà nate dal nulla per poter approfittare della situazione».
C’è anche chi lancia l’allarme per i posti di lavoro che si rischierebbe di perdere…
«Ma mica spero che arrivi una calamità per far lavorare le ruspe! Il sistema di accoglienza era un’emergenza, noi vogliamo liberare risorse che vadano ad agevolare fiscalmente le aziende perché crescano e creino posti di lavoro con una prospettiva, non come quelli che nascono appunto dalle emergenze».
Ma soprattutto c’è chi dice che in questo modo ci ritroveremo in strada molti più irregolari di prima, visto che avete eliminato il tipo di protezione internazionale più diffuso. E visto che tanto i rimpatri hanno sempre riguardato un’esigua minoranza di persone senza documenti…
«All’iniziano erano pessimisti anche sul fatto che avremmo bloccato gli sbarchi e invece ce l’abbiamo fatta. Se teniamo fermi gli sbarchi le procedure si velocizzeranno e intanto stiamo stringendo sempre più rapporti internazionali con i paesi di provenienza proprio per rendere più rapidi i rimpatri».
Avete anche prolungato i tempi all’interno dei Cie per l’identificazione e l’espulsione da 90 a 180 giorni. Luoghi spesso più simili a carceri che altro. Era davvero necessario? E c’è almeno un impegno per rendere i soggiorni in queste strutture più dignitosi?
«È necessario per dare il tempo di identificare queste persone senza lasciarle libere sul territorio. E l’impegno del governo è quello di velocizzare i tempi, con l’istituzione, come dicevo, di nuove dieci commissioni che esaminano i singoli casi, perché tra chi arriva ci sono anche spacciatori, delinquenti, persone che vanno rimandate subito a casa e non lasciate libere sul territorio».
E come risponde alle critiche che piovono anche dal mondo cattolico sul fatto che sembrate accanirvi contro persone fragili, povere, deboli?
«Ma sono davvero tutti poveri e deboli? Chi sono queste persone? Rendiamoci conto che arrivano anche delinquenti, che spacciano droga; le persone per bene saranno anche la maggior parte ma tra di loro c’è di tutto di più. Io credo che chi critica questo decreto è perché non l’ha letto o non lo ha capito. E comunque sono molti di più quelli che ci sostengono e sono d’accordo con noi, con il sistema di prima non si poteva andare avanti».
Tra le questioni controverse c’è anche la possibilità di revocare la cittadinanza in caso di reati di terrorismo. Ma in questo caso non si rischia di avere cittadini di serie A e di serie B, quelli che la cittadinanza ce l’hanno per nascita e non rischiano di diventare apolidi e gli altri?
«A me sembra una misura di buon senso. Posso al massimo dire che forse bisognerebbe estenderla a tutti, anche agli italiani di nascita».

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