Pandemia, quanto sarebbe bello avere davvero gli open data

Andrea AlberiziaOgni tanto a qualcuno sorge il dubbio e rivolge la domanda al mondo dei media: ha senso dopo oltre un anno di pandemia pubblicare tutti i giorni il numero dei nuovi contagiati? La domanda è valida sia per i media locali che nazionali. Sappiamo che molte persone contagiate sono asintomatiche. E abbiamo anche imparato che il tracciamento – la ricerca dei potenziali contagiati partendo da un caso noto – non è possibile con puntualità se si sale oltre una certa soglia.

Quindi è assodato che il numero quotidiano dei nuovi casi comunicato dai media non è l’effettivo aumento degli infetti. E c’è di più: è un numero viziato da quello che la comunità scientifica chiama bias: una distorsione. Perché vengono sottoposti a tampone persone che hanno sintomi o sono stati a contatto con positivi accertati, cioè una fetta della popolazione che ha più probabilità di risultare positiva.

Gli esperti spiegano che il dato di quanti positivi abbiamo oggi potremo saperlo con buona approssimazione fra 15-20 giorni. Sì, è chiaramente un paradosso ma è anche la realtà dei fatti: il tasso di letalità (quanti muoiono tra i contagiati) è noto e allora sapendo che l’esito nefasto impiega circa tre settimane, in base al numero di deceduti del 6 maggio possiamo stimare quanti erano gli effettivi positivi di metà aprile. Chiaro che non ha molte utilità.

E allora ha senso continuare con questo stillicidio quotidiano dei tamponi positivi? Verrebbe da dire di no. Però è anche l’unico dato che viene distribuito. Il bollettino provinciale quotidiano contiene: nuovi contagi, suddivisione fra sintomatici e asintomatici, quanti dei nuovi contagi hanno avuto bisogno di ricovero e un numero di nuove guarigioni che addirittura fino a poco tempo fa veniva preceduto da un prudentissimo “circa”, espressione al limite del tragicomico.

Allora perché i giornali continuano a dare così tanto risalto ogni 24 ore a questa statistica e non ad altre? Perché in questa storia della pandemia, il custode dei dati è uno solo e se il custode non li rilascia, non ci sono altre fonti qualificate. Una volta a settimana le Ausl e la Regione forniscono un riepilogo. L’intervallo di sette giorni è ragionevole per imbastire riflessioni che non risentano delle oscillazioni. Però il dato viene fornito con un file pdf: cioè un documento chiuso e non lavorabile. Prendi quello che ti danno e te lo fai andare bene. Chiedere di più, cosa legittima per i giornali, non corrisponde a ottenere di più.

Quanto sarebbe bello se gli enti pubblici mettessero a disposizione dei giornali tutti i dati grezzi che hanno nelle loro reti informatiche (a puri fini statistici, epurati da dati sensibili per la privacy) e poi chi vuole prenderli lo fa e li elabora come meglio crede e può. Si fa tanto parlare di data journalism e open data, ma la strada è ancora lunga.

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