Anche a Ravenna si aggira il fantasma della povertà

Il dibattito pubblico sull’impennata del Covid, in tutti i media, infuria all’insegna di libertà e costrizioni, negazionisti e ipocondriaci, “apocalittici e integrati”, zone colorate e dati inaffidabili, conflitto di poteri e poteri allo sbando, tante aziende rovinate e poche altre che fanno soldi a palate… In un groviglio inestricabile di buone ragioni, inutili piagnistei e, non ultimi, gli interrogativi sul destino del Natale.

Ebbene, in questo bailamme si aggira uno spettro, quello della povertà, che poi è fatta di poveri cristi. Ma non se parla quasi mai, perché essendo un fantasma non appare se non lo si vuole vedere. Non lo si evoca per pudore della sua stessa condizione – la povertà è vergognosa in una società opulenta –, o peggio per incoscienza ovvero per rimozione, dato che è marginale (ma fino a quanto/quando?). L’ombra dei disagiati fa paura e crea disagio a chi è socialmente “garantito”, e pure a chi non lo è, per cui, fra pandemia e turbocapitalismo, lo spettro può essere dietro l’angolo. Anche alla politica e a chi governa la cosa pubblica, pur occupandosene magari con impegno della povertà, non piace evidenziarla visto che non porta consensi.

In cerca di cibo fra gli avanzi di mercato

immagine di repertorio

Gli ultimi numeri diffusi su Ravenna risalgono a un anno fa: 7.160 cittadini in povertà assoluta (ai limiti della sussistenza) e 141 indigenti (a cui manca anche il cibo), il 4,5% della popolazione. In attesa di un prossimo aggiornamento, sembra che i dati siano in sensibile peggioramento. Chi studia le diseguaglianze o è testimone (più che altro volontari) dello scivolamento di segmenti della comunità locale verso la povertà, parla addirittura di un raddoppio dei casi nel 2020. Si tratta di lavoratori precari, in nero o stagionali che operano manualmente, ma anche piccoli imprenditori e professionisti autonomi. In particolare nei settori del commercio e del turismo. Chi soffre di più questa deriva sono i giovani e anche le donne. Non più di tanto gli anziani (come era un tempo) che se pensionati spesso riescono a fornire qualche risorsa a familiari in difficoltà.

Come si accennava, oggi è la rete del volontariato (laico o di fede che sia) che ha il coraggio di guardare negli occhi il fantasma della povertà, con le sue mense, i pacchi di vivere da distribuire, i dormitori e altre forme di assistenza per i diseredati. Un sistema di ausilio spontaneo che affianca e integra tutta un’altra serie di sostegni erogati dai Servizi Sociali del Comune. A proposito di presa di coscienza e di solidarietà voglio ricordare l’iniziativa “Piatto Sospeso” promossa da Ravenna Food e la rete di volontario del progetto Ecologia di Comunità, e la Colletta del Banco Alimentare che parte il 21 novembre a livello nazionale.

«Chi può da, chi non può riceve» è il motto di coloro che non si voltano dall’altra parte dell’evidente solco delle diseguaglianze. Personalmente, basta poco (pochi euro) per compiere un atto solidale, magari contribuire seppur con un minimo a colmare quelle differenze ormai insostenibili che rischiano di deprimere la comunità. E dare una mano a chi non ce la fa.

Perché come ammoniva Roberto “Freak” Antoni, «la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo».

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