Chi è il maestro di sessismo dei baby calciatori?

Andrea AlberiziaIl coro è noto e fa così: “Olè-lè, olà-là, faccela vedè, faccela toccà”. Si è alzato da sotto al palco centrale della festa dell’Unità di Ravenna, la sera del 10 settembre, intonato da una buona fetta della platea composta da qualche centinaio di baby calciatori – anche tesserati per i vivai delle più blasonate società professionistiche che militano in serie A e serie B, il futuro anche della nostra malridotta Nazionale – per accogliere una donna di 29 anni (attrice, presentatrice, modella) a cui toccava presentare la serata di gala a conclusione di un torneo di calcio giovanile giocato proprio dai ragazzini del pubblico. Aspiranti Messi e Ronaldo nati tra il 2005 e il 2006 (hanno finito prima e seconda media, per intenderci), provenienti un po’ da tutta Italia con allenatori, dirigenti, accompagnatori e anche genitori. Hanno cantato solo i bambini o anche gli adulti? Impossibile stabilirlo.

Sul palco sorrisi tirati, risatine e scambi di sguardi interdetti. Quanto sinceri o quanto recitati, non si sa. Show must go on, certo. Ma non un cenno di biasimo, non un abbozzo di critica. Non dall’oggetto del coretto. Difficile aspettarselo dagli altri due presentatori con lei visto che era stato uno di loro, entrato in scena a ruota della collega, a invocare il bis con una battuta: «A me non avete fatto il coro». È bastato chiederlo e la replica è stata ancora più urlata. Nemmeno tra gli adulti del pubblico si sono viste scene di particolare indignazione (ma magari qualcuno nel buio è intervenuto a metterci una pezza).

Baby sessisti? Goliardia? Sciocchezza? Decidete voi. Ma il branco imberbe di consumatori di gel per creste da calciatore vero, quel coro da qualche parte dovrà averlo sentito per ripeterlo. Quant’era la loro consapevolezza? L’episodio stuzzica la riflessione, se non altro perché accaduto nel contesto di una festa dove si è dibattuto spesso di parità di genere (piccola postilla a latere: per una serata di calcio giovanile non sarebbe stato meglio un contesto politicamente neutro?). Ma anche per una dichiarazione della vigilia rilasciata dalla responsabile dell’associazione che promuove il torneo: «Per noi lo sport è una grande palestra di formazione e di vita». Concetto ribadito dall’assessore comunale allo Sport, salito sul palco subito dopo l’episodio del coro che forse non si è sentito dietro le quinte: «Lo sport prepara i giovani alla partita più importante, quella della vita».

A qualcuno potrebbe venire la tentazione di puntare il ditino contro il pallone per celebrare una presunta superiorità morale di altri sport. Ma sicuri che sia questione di quale sport frequentino e non di quale società vivano? Ok, si fatica a immaginare una platea di baby tenniste che canta “faccelo vedè, faccelo toccà”. Però nel momento stesso in cui mettiamo la medaglietta al tennis educato e rispettoso, bisognerà anche chiedersi se alla causa della parità di genere faccia bene che una tra le tenniste più grandi di tutti i tempi in una finale del Grande Slam abbia accusato di sessismo un arbitro perché l’ha penalizzata dopo che lei ha infranto una regola nota, ha spaccato una racchetta per rabbia e ha dato del ladro all’arbitro stesso.

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