Sanità, scuola, cultura: a tre anni dal primo lockdown, cosa (non) abbiamo imparato

«Non si è trovato un punto di incontro convincente per quanto riguarda le altre richieste avanzate da noi. Non abbiamo ricevuto infatti alcuna garanzia in merito alla copertura al 100% del turn over e tantomeno riguardo l’aumento della dotazione organica che riteniamo necessaria a garantire il potenziamento della medicina territoriale come previsto dal Pnrr, a garantire la qualità dei servizi e la tutela della salute psicofisica dei lavoratori in essere che si vedono gravati da una mole di lavoro insostenibile».

Sono le parole dei sindacati Cgil, Cisl e Uil dell’Emilia-Romagna dopo l’incontro con l’assessore regionale alla Sanità, un incontro avvenuto mentre cade di fatto il terzo anniversario dell’inizio dell’emergenza Covid. Era il 9 marzo 2020 quando tutti ci trovammo improvvisamente immobilizzati, chiusi in casa, preoccupati e spaventati da ciò che stava accadendo.

A tre anni di distanza, qual è il bilancio? Cosa è cambiato? Cosa abbiamo imparato? Di certo, l’unica cosa che sembrava condivisa da tutti era che si sarebbe da subito dovuto investire in salute pubblica. Tutti, improvvisamente, ne avevamo riscoperto l’importanza. E invece la situazione nelle strutture pubbliche sembra sempre più difficile, si profilano addirittura nuovi tagli e gli investimenti del Pnrr ancora non sortiscono effetti.

Avevamo improvvisamente, con la chiusura delle scuole, scoperto l’importanza dell’ambiente in cui i nostri ragazzi passano intere giornate. Ma quando le aule si sono riaperte, ci siamo accorti che le classi erano rimaste affollate esattamente come prima (peraltro un curioso primato proprio della provincia di Ravenna, secondo Il Sole 24 Ore su dati Miur di giugno 2022), gli insegnanti “Covid”, ossia di potenziamento, non sono stati confermati e a crescere semmai è stato solo il disagio di tanti ragazzi. Un disagio che spesso non viene accolto o viene accolto solo in parte dal servizio pubblico, in un circolo vizioso.

La senzazione è che non abbiamo imparato molto. Ci era anche parso di capire che tutti fossero dispiaciuti e preoccupati per la chiusura di teatri, rassegne, incontri, eppure, anche a livello regionale, tante realtà lamentano i tagli dei fondi alle iniziative culturali.

Certo, qualche amministrazione virtuosa e qualche impresa fa più largo uso di smart working e riunioni online, ma può essere solo questo ad essere migliorato rispetto a prima della pandemia? Magari a livello individuale, per tante persone è stato un momento di riflessione sulla propria vita privata e professionale (la mancanza di lavoratori per alcune mansioni da alcuni osservatori è proprio attribuita a una nuova consapevolezza e a nuove esigenze rispetto ai tempi di vita). Ma a livello collettivo, possiamo essere soddisfatti di questo bilancio?

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