Senza scuole il mosaico è arte (e tecnica) senza un vero valore

Fausto PiazzaNello scorso numero di R&D (dell’8 dicembre) abbiamo realizzato una piccola inchiesta per capire l’evoluzione dell’offerta formativa nelle scuole superiori della nostra provincia, sia in campo umanistico, che tecnico o professionale. Una questione importante rispetto ai bisogni di istruzione e conoscenza puntuali e adeguate a nuove prospettive economiche e sociali delle nuove generazioni.

Fra le diverse problematiche e le proposte innovative che sono emerse da questa indagine, vorrei puntare un mio riflettore sul tema dell’insegnamento dell’arte e della tecnica del mosaico. Potrebbe sembrare secondario, ma non possiamo scordare che Ravenna è riconosciuta in tutto il mondo – non foss’altro per i suoi monumeti Unesco – come erede di questa particolare e secolare disciplina estetica. E non si tratta solo di pura espressione creativa, ma anche di abilità artigianale e di varie implicazioni e applicazioni che vanno dal design all’architettura. E quindi con risvolti economici e occupazionali non prorio irrilevanti. Dalla metà del secolo scorso e per qualche decennio ancora l’eccellenza delle scuole e dei laboratori ravennati era ben nota, come rivela questa curiosa citazione storica del ministero dell’istruzione, già pubblicata su questa testata.

La circostanza per discuterne (e agire) su questo tema è anche legata alla Biennale che si è appena conclusa, dedicata alle declinazioni contemporanee del mosaico. A mio parere, la più importante manifestazione culturale organizzata quest’anno, che ha coinvolto innumerevoli istituzioni pubbliche e private, artisti e operatori del settore con l’ambizione di sostenere Ravenna come città leader del mosaico sul piano internazionale. Trarre ora un bilancio (a partire dal numero di visitatori delle mostre) è forse prematuro, ma le buone intenzioni c’erano tutte e sono stati ottenuti alcuni esiti soddisfacenti fra esposizioni, incontri e progetti.

In questo contesto – mi vien da dire finalmente – si è rimesso mano proprio alla questione delle scuole, ormai ridotte al lumicino, che dovrebbero essere alla base del “saper fare” e innovare dell’arte musiva e delle possibili sinergie con altre pratiche d’alto artigianato.
Questione, va ricordato, da tempo evidenziata dal compianto Nino Carnoli e dall’associazione culturale di ex insegnati d’arte DisOrdine presieduta da Marcello Landi.

Per cui va apprezata e sottolineata la lettera inviata dal sindaco De Pascale e dal dirigente scolastico del liceo Nervi-Severini, Gianluca Dradi, al Ministro dell’Istruzione, per spronarlo a risolvere l’inghippo burocratico/amministrativo che oggi penalizza studenti e insegnati di mosaico, relegando questa disciplina in una dimensione senza valore didattico e professionale. Uno dei soliti “buchi neri” all’italiana che rischiano per insipienza di vanificare valori culturali, tradizioni, mestieri.

Inoltre, va evidenziato un primo passo, almeno sul versante promozionale, del protocollo firmato fra Ravenna e Faenza per intrecciare le tessere dei mosaici con la terra e il fuoco della ceramica, sempre in una dimensione allargata di arte, alto artigianato ma anche industria, di bellezza, attrazione turistica e spunto economico.

Speriamo che queste ultime iniziative non restino lettera morta o solo “propaganda”, così come si consolidi e si incrementi l’impegno dimostrato recentemente dal Comune, e da una certa coesione fra tutti gli attori in campo, per rilanciare strategicamente la vocazione musiva di Ravenna.

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