Ravenna in Comune, Sutter candidata «Esperimento di nuova rappresentanza»

L’ex dirigente comunale pronta a diventare sindaco: «Ho lasciato l’incarico perché non capivo chi rappresentasse quella politica»

Dopo settimane di lavoro, sta per essere eletto il candidato sindaco del nuovo soggetto politico, Ravenna in Comune, cui stanno dando vita numerosi partiti di sinistra e singoli cittadini. E il nome, come anticipato, sarà quello di Raffaella Sutter, la quale presenterà la propria candidatura e, salvo clamorose sorprese, sarà eletta dall’assemblea del 29 ottobre (si parla di una possibile e non confermata candidatura di bandiera di Iuri Farabegoli per Ri­fondazione comunista). Sutter, sessant’anni, in pensione da due, da dirigente comunale si è occupata, tra le altre cose, di immigrazione, giovani, welfare. La sua è unanimemente considerata una candidatura di alto profilo dato il curriculum (i grillini addirittura la sognavano in una propria giunta), che sta peraltro preoccupando qualcuno in casa dem, e che è arrivata con la sorpresa di molti.

Sutter, ha lasciato il Comune da dirigente per tentare di tornarci in un ruolo politico, perché?
«Forse bisogna cominciare dalle ragioni che mi hanno spinto ad andare in pensione approfittando dell’opzione donna a 58 anni. L’ho fatto perché dopo la fase della fedeltà, della protesta per cercare di cambiare le cose da dentro, per me era arrivato il momento dell’uscita dal sistema, secondo le tre fasi immaginate da Albert Hirschman, uno studioso a cui mi sono sempre ispirata. Non riuscivo più a capire per chi stessimo lavorando, chi rappresentasse quella politica, non riuscivo più a sopportare l’incombere della macchina burocratica, la profonda demotivazioni di chi vi lavora, la mancanza di una strategia a lungo termine. Era venuto per me il momento di andarmene».

Lei è in realtà nota per aver interpretato il proprio ruolo con una certa autonomia, da alcuni ritenuta addirittura eccessiva.
«È vero, ma c’è un limite, che io rischiavo di superare. Credo che porsi il problema del rapporto tra politica e dirigenza comunale sia necessario. Non ho una soluzione a portata di mano, ma è evidente che c’è una questione aperta: in molte democrazie del nord, per esempio, i dirigenti sono tutti di nomina fiduciaria, ma sono in carica per la sola durata del mandato di chi li nomina».

In realtà, lei aveva vinto un concorso, al contrario della maggior parte dei dirigenti oggi in carica.
«Sì, per la verità ne vinsi due. Ma il rapporto di fiducia resta fondamentale, nel mio caso, per esempio, era venuto meno. Non ce l’ho con nessuno e non ho nulla di cui lamentarmi, ma poiché ho avuto la possibilità di andarmene e potermi dedicare alle attività che negli anni avevo comunque coltivato, ho deciso di fare un passo indietro».

In effetti è consulente editoriale, traduttrice, valutatrice di progetti di cooperazione internazionale…
«Sì, in particolare in questi due anni ho tradotto alcuni libri soprattutto dal tedesco, ho seguito alcuni progetti rivolti alla donne disabili a Gaza e sono stata anche un po’ in vacanza…».

E cosa l’ha convinta a imbarcarsi nell’avventura politica?
«Diciamo che la mia storia culturale ha avuto la meglio sullo spirito di sopravvivenza. Da sempre mi ha interessato il rapporto tra governo e società civile e il tema della crisi della rappresenta in generale. Se mi avesse chiesto di candidarmi un partito, non avrei accettato. Con Ravenna in Comune è diverso: c’è un appello che le persone hanno sottoscritto in quanto singoli e questo mi pare interessante. Non c’è la delega a essere rappresentati».

Un po’ grillino, no?
«Per la verità, le autocandidature dei grillini e il voto via web mi paiono speculari a quello che fa un partito tradizionale, mentre con Ravenna in Comune credo si possa tentare di sperimentare una politica fatta di relazioni che supera il concetto astratto di rappresentanza per ripartire dalle relazioni, dalle reti tra pari, dalla capacità di ascoltare, di mediare, di tessere rapporti. Una cosa che si può fare, come esperimento, solo a livello locale. Si tratta di un pensiero politico elaborato da donne come Annarosa Buttarelli e che credo dovrebbe diventare patrimonio anche degli uomini. Se c’è una differenza che possono fare le donne in politica credo stia proprio in questo. Si deve cambiare il modo di stare insieme e concepire il potere per far sì che sempre più donne si occupino del bene comune».

A oggi le donne sono state piuttosto assenti dal confronto pubblico locale.
«Sì e, a differenza del 2010, nemmeno si è aperto un dibattito, come se questa assenza fosse ormai data per scontata e questo mi sembra preoccupante. Anche perché le donne possono portare anche una certa concretezza e la capacità di partire da sé, dal proprio vissuto…».

A proposito di vissuto. Lei ha cresciuto un figlio come madre sola…
«Sì, mio figlio ha ventiquattro anni, devo però anche dire che tante scelte professionali non avrei potuto farle senza l’aiuto di mia madre. Anni fa scrissi sulle politiche sociali sulle madri sole. E da poco avevo iniziato a lavorare a interrogarmi sul tema di come crescere figli maschi, ma, se sarò eletta candidato sindaco, come spero, immagino dovrò sospendere la scrittura…».

Se sarà eletta candidato sindaco, cosa dovremo aspettarci?
«Non certo risposte pronte e rapide sul programma. Il lavoro che si sta facendo dentro Ravenna in Comune si basa sul confronto, su tavoli di lavoro che elaborano idee portando spesso a sintesi ragionamenti diversi. Non dobbiamo immaginare Ravenna tra dieci o vent’anni, ma piuttosto avere in mente scenari molto concreti e pensare a come le scelte di oggi possono influenzare la città di domani. Di certo posso dire che ciò che più interessa fare e che credo di saper fare è lavorare con i giovani, fare coaching, farli crescere. Non credo basti mettere persone giovani nelle giunte, se poi non si formano».

Una risposta a chi dice che una pensionata di sessant’anni potrebbe lasciare spazio ai giovani?
«È un tema che mi sono posta, ma devo dire che a farmi superare le remore è stata anche la reazione che ho visto delle tantissime persone, tra cui molti giovani, alle prime indiscrezioni di stampa sulla mia possibile candidatura. Una cosa che mi ha fatto piacere, ma soprattutto mi ha fatto capire di poter contare proprio sulle relazioni che ho costruito negli anni mediando, ascoltando, cercando di includere tutti».

Si ritiene di sinistra?
«Da sempre mi interessa il tema delle persone meno rappresentante e più escluse e questo naturalmente mi ha portato verso posizioni della sinistra, ma non sono mai stata iscritta a un partito. Come dicevo, di Ravenna in Comune, oltre naturalmente a condividere i principi cardini, mi convince l’aspetto sperimentale della forma partecipata».

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