Ex infermiera condannata per omicidio Il caso sotto la lente della criminologia

Roberta Bruzzone e Flaminia Bolzan analizzano gli aspetti principali della vicenda Poggiali: foto con il cadavere, perizia mancata, movente

«Non dobbiamo rifugiarci dietro al concetto di follia per dare un quadro agli atteggiamenti che ci inquietano. Possono essere riconducibili a personalità disturbate senza bisogno di ipotizzare patologie psichiatriche. È così per molti casi di cronaca». Nel salotto di Porta a Porta, dove è spesso ospite, non si è visto il plastico del reparto dove lavorava Daniela Poggiali, ma la criminologa Roberta Bruzzone non ha trascurato la vicenda per il suo interesse professionale. E così come accaduto per l’opinione pubblica, a colpire sono le foto con il cadavere: «Hanno avuto un peso mettendo in luce aspetti abnormi della sua personalità, hanno aggiunto orrore all’orrore ma mi sembrerebbe riduttivo pensare che sia stata condannata all’ergastolo per quelle foto. Il processo parlava di altro».

Nella requisitoria il pm ha definito l’ex dipendente dell’Ausl un serial killer dominante: «Normalmente accade così con questo tipo di figure, uccidere persone inermi indifese affidate alle loro cure va ad alimentare un vissuto di onnipotenza. Esiste gente a cui piace fare del male ad altra gente. E di solito queste figure colpisco più volte, mi stupirebbe se fosse solo un caso o se l’avessero fermata al primo caso». Da chi conosce bene la macchina mediatica arriva un apprezzamento per il basso profilo tenuto dalla difesa: «Mi sento di condividere la scelta di esporsi meno possibile, mi pare una strategia valida per tutelare un cliente certamente scomodo».

Abbiamo sottoposto lo stesso caso anche all’attenzione di un’altra criminologa. «Mi stupisce che la difesa non abbia chiesto una perizia psichiatrica». È il primo commento che fa la psicologa Flaminia Bolzan – consulente per SkyTg24, Unomattina e Domenica In – riflettendo sulla recente sentenza che condanna l’ex infermiera Daniela Poggiali all’ergastolo per omicidio pluriaggravato di una paziente. La professionista romana prova a osservare il caso giudiziario dall’esterno, con valutazioni che possano aiutare l’uomo comune a orientarsi «senza dare giudizi sull’operato della difesa o dell’accusa». La mancanza di una perizia, secondo Bolzan, può avere due spiegazioni: «Una eccessiva fiducia nella proclamazione di innocenza da parte del cliente oppure l’eccessiva convinzione che il quadro indiziario non regga in dibattimento. Eppure in questa vicenda mi pare ci fossero i presupposti per la richiesta, non mi pare sia uno di quei casi in cui la perizia viene usata come una specie di jolly a cui aggrapparsi».

Il riferimento è, manco a dirlo, alle celeberrime foto in posa con un altro cadavere, scattate da una collega tre mesi prima della morte di cui ora è accusata: «Quelle dicono ovviamente qualcosa della sua personalità. Ma non pensiamo che siano necessariamente il segnale di una personalità disturbata. La psichiatria forense riconosce quali patologie sono rilevanti ai fini dell’imputabilità della persona. È quindi non è detto che avere una qualche forma di patologia sia poi rilevante ai fini della capacità di intendere e di volere che deve essere correlata con il momento in cui si è compiuto l’atto».

Spostando lo sguardo verso il banco del pubblico ministero c’è invece un altro aspetto giudicato criticamente: «L’ergastolo è una richiesta pesantissima. Se teniamo a mente che la pena dovrebbe avere una funzione riabilitativa allora personalmente non vedo il motivo di richiedere l’isolamento diurno (circostanza non concessa dalla corte, ndr), mi sembra quasi un voler calcare la mano ulteriormente su una pena già enorme». Infine c’è un aspetto che trova Bolzan concorde con l’avvocato Stefano Della Valle che ha difeso Poggiali ed è stato un mea culpa da lui stesso ammesso: la scelta di non nominare un consulente di parte per l’autopsia, «non tanto per pensare di arrivare a risultati diversi ma piuttosto per avere una supervisione nei campionamenti che molto spesso sono il tema su cui si dibatte, cioè come un campione viene prelevato per poi essere analizzato». Non è infatti un caso che la difesa sostenga che i risultati delle analisi per la ricerca del potassio nell’umor vitreo degli occhi restituiscano valori elevati perché ritenuti frutto di un inquinamento probatorio.

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